Opinionisti Claudio Cherubini

Le acque minerali della Valtiberina...

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Su "L'eco del Tevere" in distribuzione questo mese il nostro direttore Davide Gambacci ha redatto un articolo su "La bellezza di Sigliano". Uno dei fascini di questa piccolissima frazione di Pieve S. Stefano è la sua acqua minerale. A integrazione di quanto già scritto, riporto altre notizie tratte dal mio libro "Una storia in disparte. Il lavoro delle donne e la prima industrializzazione a Sansepolcro e in Valtiberina toscana". Nel libro potrete trovare anche le fonti d'archivio per approfondire la questione.

Nell'Ottocento s'iniziò a pensare di imbottigliare l'acqua delle sorgenti minerali con metodi industriali per farne commercializzazione: in Italia la S. Pellegrino fu fra le prime, nel 1899. Anche per la sorgente di Sigliano ci fu un tentativo in questa direzione che però non andò a buon fine come invece si sperava.

A Pieve Santo Stefano, accurati studi, svolti agli inizi degli anni Settanta dell'Ottocento, avevano verificato e comprovato le qualità salutari dell'acqua della sorgente di Sigliano, giustificando così scientificamente «l'uso empirico che ne fu fatto fin qui in molte malattie» come scrisse il dottor Torquado Gigli nel 1873 (cfr. Elda Fontana, 2003). Fu paragonata all'allora famosa acqua di Vichy, tanto da chiamarla la «Vichy italiana», e Francesco Chieli, proprietario dell'albergo Fiorentino di Sansepolcro ne divenne concessionario. Nei primi anni del Novecento si documentano le prime vendite, fino a che nel 1903, con l'ambizione di sostituirsi al più celebre marchio Vichy, venne istituita la Società per "La Sigliano" e il Chieli ne iniziò ufficialmente l'imbottigliamento. Ma questo tentativo imprenditoriale non riuscì ad assurgere a forma d'impresa industriale. Le difficoltà di Francesco Chieli nel far decollare l'iniziativa imprenditoriale sono documentate anche dalle notifiche che le autorità inoltrano per far regolarizzare quest'attività: benché nel 1921 il prefetto minacciasse la chiusura della fonte e la proibizione del commercio dell'acqua, "non essendo pervenuta alcuna domanda" ed essendo scaduti i termini per richiedere l'autorizzazione secondo una legge del 1916, nel 1923 il Chieli era ancora dietro a richiedere le analisi dell'acqua presso i laboratori specializzati e a domandare nuove proroghe all'autorità competenti per il rilascio dell'autorizzazione alla vendita dell'acqua di Sigliano; d'altra parte è anche vero però che nel frattempo il Chieli non ne interruppe la commercializzazione. Tuttavia alla metà degli anni Trenta la sorgente di Sigliano non era più utilizzata "da diversi anni", come si legge in una lettera del 1935 del podestà di Sansepolcro indirizzata al prefetto.

Analogamente anche la sorgente dell'acqua acidula della Selva, nel comune di Caprese, non aveva trovato spazi di mercato. Infatti, analizzata nel 1855, venne chiusa al pubblico nel 1857 e messa in commercio "fino alla scoperta dell'acqua di Sigliano", quando "fu lasciata di nuovo aperta perché lo smercio non compensava la spesa occorrente per un custode e non si trovò nessuno che la richiedesse in affitto". Successivamente, nel 1903, il comune tentò di darla in concessione di nuovo, ma con scarsa fortuna, come si legge nelle corrispondenze degli amministratori locali, sia per le offerte che furono al di sotto delle aspettative della pubblica amministrazione sia per la protesta di alcuni Capresani e di altri cittadini della valle perché l'acqua acidula ferruginosa dalla Madonna della Selva "era luogo di 'pellegrinaggio' anche per i residenti negli altri Comuni della Valtiberina, compresi quelli di Badia Tedalda e Sestino e di Città di Castello, in Umbria" (Cfr. Maria Teresa Baroni, 2013).

Sul finire dell'Ottocento, i pievani Fanghi e Baldassarri, avevano tentato inutilmente di promuovere anche l'acqua di Fungaia e di Conchi "atta a curare la malattia cutanea delle pecore", come si sosteneva nel catalogo ufficiale del "Concorso industriale della provincia aretina e Concorso nazionale di strumenti musicali" tenuto ad Arezzo nel settembre 1882.

Redazione
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18/04/2017 16:27:57

Claudio Cherubini

Imprenditore e storico locale dell’economia del XIX e XX secolo - Fin dal 1978 collabora con vari periodici locali. Ha tenuto diverse conferenze su temi di storia locale e lezioni all’Università dell’Età Libera di Sansepolcro. Ha pubblicato due libri: nel 2003 “Terra d’imprenditori. Appunti di storia economica della Valtiberina toscana preindustriale” e nel 2016 “Una storia in disparte. Il lavoro delle donne e la prima industrializzazione a Sansepolcro e in Valtiberina toscana (1861-1940)”. Nel 2017 ha curato la mostra e il catalogo “190 anni di Buitoni. 1827-2017” e ha organizzato un ciclo di conferenza con i più autorevoli studiosi universitari della Buitoni di cui ha curato gli atti che sono usciti nel 2021 con il titolo “Il pastificio Buitoni. Sviluppo e declino di un’industria italiana (1827-2017)”. Ha pubblicato oltre cinquanta saggi storici in opere collettive come “Arezzo e la Toscana nel Regno d’Italia (1861-1946)” nel 2011, “La Nostra Storia. Lezioni sulla Storia di Sansepolcro. Età Moderna e Contemporanea” nel 2012, “Ritratti di donne aretine” nel 2015, “190 anni di Buitoni. 1827-2017” nel 2017, “Appunti per la storia della Valcerfone. Vol. II” nel 2017 e in riviste scientifiche come «Pagine Altotiberine», quadrimestrale dell'Associazione storica dell'Alta Valle del Tevere, su «Notizie di Storia», periodico della Società Storica Aretina, su «Annali aretini», rivista della Fraternita del Laici di Arezzo, su «Rassegna Storica Toscana», organo della Società toscana per la storia del Risorgimento, su «Proposte e Ricerche. Economia e società nella storia dell’Italia centrale», rivista delle Università Politecnica delle Marche (Ancona), Università degli Studi di Camerino, Università degli Studi “G. d’Annunzio” (Chieti-Pescara), Università degli Studi di Macerata, Università degli Studi di Perugia, Università degli Studi della Repubblica di San Marino.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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