Opinionisti Claudio Cherubini

Le colture granducali e le rapette e le zatte del Borgo

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Il paesaggio agrario alla metà del XIX secolo differiva di poco in Valtiberina da quello del secolo passato e forse anche da quello del Seicento. La differenza principale, e forse l'unica sostanziale, stava nel fatto che la coltura del guado era stata quasi ovunque abbandonata, mentre iniziavano ad affermarsi le nuove colture introdotte nell'età moderna: la produzione delle patate negli anni Trenta fu giudicata sufficiente ai fabbisogni della popolazione; mentre il granturco, che era già una fra le principali colture da rinnovo, era ben lontana dall'acquisire quell'importanza che avrebbe avuto in seguito; il tabacco, la cui manifattura fu un elemento fondamentale per l'economia della valle nella prima metà del XX secolo, era ancora assente quasi ovunque e per tutto l'Ottocento la sua coltura avvenne a titolo sperimentale.

Quindi le colture principali erano il frumento e i cereali in genere e la caratteristica fondamentale del paesaggio agrario nella bassa collina e in pianura era quella tipica toscana e cioè la coltura promiscua. Attilio Zuccagni Orlandini scriveva che nella Valtiberina granducale la raccolta dei grani e delle biade poteva dirsi ubertosa, considerando la popolazione che doveva farne consumo.

La valle era per poco meno di un terzo con terreni a sodo e a pastura, per quasi altrettanto era coperta dal bosco e per oltre un terzo era destinata alla coltivazione, mentre il territorio di Sansepolcro era quasi per metà coltivato a scapito del bosco. Ovunque salendo verso la montagna si incontravano sempre di più terreni lavorativi nudi e sempre meno arborati, mentre tra le colture diminuiva gradualmente il grano: più aumentava l'altitudine, più le colture dei cereali lasciavano il posto ai boschi.

Giovan Battista Landucci, un possidente e abitante di Viaio, nella Comunità di Anghiari, elencò all'amico dottor Sebastiano Brillandi di Castiglion Fiorentino le varietà di grano che si seminavano in Valtiberina; il Brillandi a sua volta le riporta nella sua pubblicazione del 1836 commentandole: "Grano gentile chiamato biancone; deve essere la cascola di Cortona. Grano rosso, che sarà cascola rossa. Calbigia gentile bianca e rossa, bottoncino, ravanese, tangarog, e grano duro. Ne annunzia altra qualità, senza descriverla, a cui dà il nome di terrecchio; sarà forse il maremmano. Due qualità di grani marzoli, pure vi si coltivano, uno con spiga e resta, che deve essere il vernella; l'altro senza resta, che sarà il comune".

La marginalità del territorio della Valtiberina toscana, che ancora nei primi decenni del XIX secolo aveva pochissime strade rotabili, segnava anche l'arretratezza dell'attività agricola e il ritardo con cui arrivavano nella valle le innovazioni nelle tecniche agrarie. Se dal lato dell'offerta non si creavano incentivi alla produzione agricola, nessun stimolo al cambiamento derivava anche dal lato della domanda, benché la sua curva fosse assai inelastica essendo nel complesso la produzione poco sopra il limite di sussistenza. Così il carattere di marginalità era nel contempo causa ed effetto, chiudendo l'economia della valle in un circolo vizioso. Inoltre nella pianura tra Sansepolcro e Anghiari, il Tevere spesso allagava i campi coltivati provocando notevoli danni all'agricoltura, come anche in altre zone i suoi affluenti.

Sul finire degli anni Trenta del XIX secolo, anche in Valtiberina, come in quasi tutta la Toscana, si preferì il mais alle altre colture da rinnovo. In questo modo la coltivazione del grano succedeva a quella del granturco e con essa si alternava. Gli alti prezzi dei cereali, determinati quasi sempre da scarsi raccolti, stimolavano la coltivazione dei grani in genere e fra questi il mais godeva di un elevato rapporto seme/prodotto. Questa fu una fra le principali motivazioni che indussero le popolazioni agricole alla coltivazione del granturco. Inoltre il mais ha un alto valore nutritivo e in più nessuna parte della pianta in quei tempi rimaneva inutilizzata. Infatti i tutoli essiccati venivano usati come combustibile o dati come alimento sussidiario al bestiame; tuttavia come foraggio erano usati soprattutto i fusti e le foglie della pianta; con le foglie della spiga, invece, si imbottivano i materassi; le brattee interne più sottili erano spesso utilizzate dai fumatori delle campagne per arrotolare il trinciato da sigarette; infine il resto della pianta che rimaneva nel campo serviva ad 'ingrassare' il terreno, essendo assai in uso nell'economia agraria la pratica del sovescio, considerata fin dal medioevo alternativa alla concimazione.

Redazione
© Riproduzione riservata
28/08/2017 16:25:15

Claudio Cherubini

Imprenditore e storico locale dell’economia del XIX e XX secolo - Fin dal 1978 collabora con vari periodici locali. Ha tenuto diverse conferenze su temi di storia locale e lezioni all’Università dell’Età Libera di Sansepolcro. Ha pubblicato due libri: nel 2003 “Terra d’imprenditori. Appunti di storia economica della Valtiberina toscana preindustriale” e nel 2016 “Una storia in disparte. Il lavoro delle donne e la prima industrializzazione a Sansepolcro e in Valtiberina toscana (1861-1940)”. Nel 2017 ha curato la mostra e il catalogo “190 anni di Buitoni. 1827-2017” e ha organizzato un ciclo di conferenza con i più autorevoli studiosi universitari della Buitoni di cui ha curato gli atti che sono usciti nel 2021 con il titolo “Il pastificio Buitoni. Sviluppo e declino di un’industria italiana (1827-2017)”. Ha pubblicato oltre cinquanta saggi storici in opere collettive come “Arezzo e la Toscana nel Regno d’Italia (1861-1946)” nel 2011, “La Nostra Storia. Lezioni sulla Storia di Sansepolcro. Età Moderna e Contemporanea” nel 2012, “Ritratti di donne aretine” nel 2015, “190 anni di Buitoni. 1827-2017” nel 2017, “Appunti per la storia della Valcerfone. Vol. II” nel 2017 e in riviste scientifiche come «Pagine Altotiberine», quadrimestrale dell'Associazione storica dell'Alta Valle del Tevere, su «Notizie di Storia», periodico della Società Storica Aretina, su «Annali aretini», rivista della Fraternita del Laici di Arezzo, su «Rassegna Storica Toscana», organo della Società toscana per la storia del Risorgimento, su «Proposte e Ricerche. Economia e società nella storia dell’Italia centrale», rivista delle Università Politecnica delle Marche (Ancona), Università degli Studi di Camerino, Università degli Studi “G. d’Annunzio” (Chieti-Pescara), Università degli Studi di Macerata, Università degli Studi di Perugia, Università degli Studi della Repubblica di San Marino.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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