Opinionisti Giorgio Ciofini

Il Pernici...

Quel negozio era per me la bottega del mago Merlino

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Stava apollaiato com'un gufo sul banco da lavoro, in via Cavuor, la lente fissa in un occhio strizzato su 'n orologio guasto. Quando entrava qualcuno e sonava il campanello della porta, alzava appena il capo, dava 'n occhiata di sfuggita all'intruso e aspettava che fosse l'ospite il primo a'prire bocca. I clienti non gli mancavano, ma era meglio che stessero a la larga perché, a l'epoca, erano quasi tutti cacciatori, lui si chiamava Pernici e l'equivoci, anch'allora, erano all'ordine del giorno. Alla parete erano ataccati diversi orologi a cucù, che cantavano all'unisono e invitavano a considerare il tempo com'una fregatura. Ma chi era citto non raccolse l'invito e li considerò una magia, o un gioco da grandi. Quel negozio era per me la bottega del mago Merlino, senza Maga Magò. Ne ero affascinato al punto che, una volta, chiusi un cucù a la Befana, ma quella vecchiaccia mi portò solo qualche caramella e un gran pezzo di carbone. La mia passione per l'orologi è nata nell'infanzia, dal Pernici. Mio nonno Edoardo n'aveva uno da taschino, un Perseo delle Ferrovie dello Stato, la cui catena d'argento pendeva eternamente leggiadra sul panciotto, come un fregio d'antichi capitelli. Quand'ero con lui, a'Rezzo o a casa Barboni, li chiedevo l'ora almeno dieci volte al giorno. Mi piaceva guardallo mentre l'estraeva con cura dal taschino e l'apriva con una lieve pressione sul pomello. Imparai dal mi' nonno Edoardo a leggere l'orologio e a'vere una qualche cognizione del tempo. Aldo, mio padre, ne portava uno da polso, che conservo ancora come una reliquia. Quell'orologio ha scandito i miei primi diciannove anni, un'età lunghissima, quando il tempo era un gioco che non finiva mai. Dopo pranzo in estate il babbo andava a fare la pennichella e lo lasciava sul comodino. Allora io entravo in punta di piedi e lo prelevavo di nascosto. Mi sarebbe piaciuto da matti smontarlo come faceva il Pernici, per vedere le magie ma, per quanto amassi l'avventure, il rischio era troppo grande. Così mi limitavo a portarlo all'orecchio come si fa con le conchiglie, per ascoltare il respiro del mare e sentivo il fluire del tempo. Quel ticchettio ritmato, era un istante in transito, un soffio di vita che proveniva da millenni e si perdeva nell'universo come l'eco del Big Ben, dietro la fantasia che non ha confini. Ma allora non sapevo che il tempo della vita non si può misurare. Avevo diciannove anni quando il babbo se n'andò. Gli altri quaranta sono volati via in un attimo e gli orologi al quarzo hanno segnato tutto il resto del mio tempo, estranei e precisi com'un cervello al silicio. Il cucù del Pernici m'aveva avvertito, ma io non gli detti retta. Non c'è orologiaio che lo possa riparare, il tempo non torna indietro, né si rimette come i peccati. Nemmeno il Pernici che, nel suo negozio magico, faceva parlare l'orologi a cucù come Geppetto i pezzi di legno.

Giorgio Ciofini
© Riproduzione riservata
05/01/2018 17:21:01

Giorgio Ciofini

Giorgio Ciofini è un giornalista laureato in lettere e filosofia, ha collaborato con Teletruria, la Nazione e il Corriere di Arezzo, è stato direttore della Biblioteca e del Museo dell'Accademia Etrusca di Cortona e della Biblioteca Città di Arezzo. E' stato direttore responsabile di varie riviste con carattere culturale, politico e sportivo. Ha pubblicato il Can da l'Agli, il Can di Betto e il Can de’ Svizzeri, in collaborazione con Vittorio Beoni, la Nostra Giostra e il Palio dell'Assunto.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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