Opinionisti Claudio Cherubini

Mio figlio è bravissimo!

Nella fiaba di Cappuccetto rosso c'è il «lupo cattivo». Ma chi è in realtà il «lupo cattivo»?

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Le cronache di questi giorni risollevano il problema di come anche il calcio giovanile sia “malato”, soprattutto perché incita eccessivamente alla competizione e perché i genitori mettono troppo sotto pressione il figlio per verificare se ha la stoffa del campione, o peggio pretenderla. Si arriva al punto di prendersela con dei giovanissimi arbitri come successe nel 2004 a San Giustino o come accaduto domenica scorsa a Monterchi.

Nella fiaba di Cappuccetto rosso c'è il «lupo cattivo». Ma chi è in realtà il «lupo cattivo»?

Il «lupo cattivo» nell’immaginario collettivo rappresenta il male che va ricercato nei comportamenti quotidiani di ciascuno di noi. Poi ci sono genitori tifosi che trascendono in violenze, come in questi giorni, e così finiscono anche nelle cronache dei giornali.

Durante le partite di calcio giovanile (putroppo anche in quelle di altri sport) si sentono da parte di alcuni padri bestemmie per ogni pallone toccato male e minacce verso i propri figli (anni fa ho sentito un “babbo” di un bambino di dodici anni che giocava nel San Secondo dire: “ti lincio se non fai gol”, “aggredisci”, ecc.; e quando un suo conoscente gli ha detto: “calmati, c’è l’allenatore a dirgli cosa deve fare”, lui gli ha risposto “ma a cena torna a casa mia”).

Educare al rapporto con i bambini è un’attività di formazione che dovrebbe essere maggiormente sviluppata in ambito sociale dalle istituzioni perché tutti commettiamo errori, ma da questi possiamo trarne risorsa per capire le nostre responsabilità nel comportamento dei nostri figli e porre in essere azioni per favorire e non danneggiare il loro processo di crescita. Infatti, i problemi insorgono tanto più quanto noi facciamo ricadere sui bambini i nostri errori, facendoli vivere in un’atmosfera di tensione e di ansia e senza dar loro la giusta considerazione.

Come denunciò il neuropsichiatra Andrea Sacchi, in un incontro di qualche anno fa, il «lupo cattivo» dei giorni nostri deve essere identificato nel “problema del superlativo assoluto”: «Mio figlio è bravissimo».

Gli insegnanti da una parte devono riuscire a mettersi in contatto con la parte negativa del bambino, mentre i genitori dall’altra devono incontrare quei tratti di personalità del figlio che sono diversi dai propri. Entrambi devono avere la consapevolezza che il figlio non è bravo in modo assoluto, bensì ha comportamenti diversi in tante situazioni differenti e deve poter vivere libero dalla somiglianza dei genitori, dei nonni, ecc.

Il ruolo della famiglia è centrale nello sviluppo del bambino e per questo, ci spiegò il prof. Sacchi, l’educazione si deve fondare sulla consapevolezza che “noi costituiamo una famiglia, ma ognuno ha una propria individualità”, perché il bambino ha il bisogno di essere qualcosa di diverso da noi.

E’ la nostra debolezza che ci porta a vedere i nostri figli con la “cultura dei superlativi assoluti”: l’idea del bambino grande è solo un tentativo per mitigare le nostre ansie. Solamente le nostre aspettative ci conducono in questa direzione, mentre dobbiamo invece pensare che ogni bambino ha i propri ritmi di crescita e dobbiamo convincerci che noi come adulti siamo meno colti di lui rispetto al suo processo di crescita. Il nostro bisogno di accelerazione fa parte della nostra parte fragile e questo vale anche per gli insegnanti, evidenziò il prof. Sacchi, che aggiunse ad esempio: “Il bambino che risponde positivamente è un’esigenza di stimolo dei docenti perché li gratifica per il lavoro svolto, ma immediatamente ci si deve chiedere se i bisogni dell’insegnante corrispondono a quelli del bambino”. Si deve riuscire ad uscire dall’individualismo.

Il rapporto con i figli è un rapporto complesso e deve essere basato sui “forse”, sui “proviamo”, perché tante volte feriamo nostro figlio, tante altre volte diciamo che ciò è normale, ma poi puntiamo l’indice quando questo tocca a noi. Allora avere la consapevolezza che le nostre verità sono solo un punto di vista è fondamentale per far sì che i nostri errori diventino una ricchezza. E’ quindi necessario riconoscere i nostri errori e far vedere ai bambini che anche il babbo e la mamma non sono perfetti e che gli adulti possono sbagliare, ma anche imparare qualcosa ogni giorno.

Ogni bambino, scolarizzato e non, in qualsiasi parte del mondo, mette in moto dei meccanismi per controllare l’ansia e spesso lo fa con un gioco. Occorre capire che il gioco è il nutrimento base (funzione educativa e terapeutica, non solo per il bambino) e non deve essere assolutamente mai subordinato a qualcos’altro, raccomanda il prof. Sacchi.

Un altro «lupo cattivo» è pertanto quello che, ad esempio, porta a dire “hai giocato abbastanza, ora devi fare i compiti, le cose serie”. Il gioco è più importante dello studio perché è falso e sbagliato il detto “tanto più studia tanto più diventerà bravo”; per il bambino vale “tanto più gioca, tanto più imparerà a vivere”, evidenziò il prof. Sacchi, e quindi anche ad entrare nel mondo delle regole e degli impegni. La riprova di ciò sta nel fatto che nel gioco del bambino niente è lasciato al caso ed anche le regole ad un certo punto diventano un’esigenza.

Occorre quindi saper ascoltare i bambini e non lasciarsi distrarre da ciò che ci circonda perché da tutte le parti arrivano messaggi che vanno verso i «superlativi assoluti».

La televisione in questo è foriera non solo di immagini negative per i bambini (violenza, pornografia), ma anche di personaggi che esprimono il «superlativo assoluto» (esempi negativi vengono soprattutto dai programmi del tipo di quelli di Maria De Filippi). Ma un altro esempio è anche lo sport, perché non è vero che lo sport fa bene quando per il bambino (ma anche giovane adolescente) non è un gioco, quando non si diverte, quando diventa un obbligo fatto per il piacere dei genitori, quando diventa competizione, quando al bambino arrivano messaggi che lo invitano ad essere il migliore: il bambino dei «superlativi assoluti» è un bambino compresso che non controlla le proprie emozioni e che spesso reagisce con aggressività. Perché nessun bambino nasce aggressivo, ma ci sono situazioni che  generano e sviluppano l’aggressività.

Occorre dedicare del tempo ai figli, parlare con tutta la famiglia delle proprie esperienze quotidiane, dei propri sentimenti ed emozioni e chiedere che anche i figli facciano altrettanto; allora vanno presi sempre sul serio (anche le obiezioni e le critiche), mai derisi ed occorre rispondere seriamente alle loro domande. Questo è il punto di partenza per esercitare un sano controllo sulle attività dei figli, per fissare regole e norme, nella consapevolezza della loro autonomia e senza avere pretese che siano i migliori o che somiglino a noi.

Redazione
© Riproduzione riservata
07/02/2018 11:21:31

Claudio Cherubini

Imprenditore e storico locale dell’economia del XIX e XX secolo - Fin dal 1978 collabora con vari periodici locali. Ha tenuto diverse conferenze su temi di storia locale e lezioni all’Università dell’Età Libera di Sansepolcro. Ha pubblicato due libri: nel 2003 “Terra d’imprenditori. Appunti di storia economica della Valtiberina toscana preindustriale” e nel 2016 “Una storia in disparte. Il lavoro delle donne e la prima industrializzazione a Sansepolcro e in Valtiberina toscana (1861-1940)”. Nel 2017 ha curato la mostra e il catalogo “190 anni di Buitoni. 1827-2017” e ha organizzato un ciclo di conferenza con i più autorevoli studiosi universitari della Buitoni di cui ha curato gli atti che sono usciti nel 2021 con il titolo “Il pastificio Buitoni. Sviluppo e declino di un’industria italiana (1827-2017)”. Ha pubblicato oltre cinquanta saggi storici in opere collettive come “Arezzo e la Toscana nel Regno d’Italia (1861-1946)” nel 2011, “La Nostra Storia. Lezioni sulla Storia di Sansepolcro. Età Moderna e Contemporanea” nel 2012, “Ritratti di donne aretine” nel 2015, “190 anni di Buitoni. 1827-2017” nel 2017, “Appunti per la storia della Valcerfone. Vol. II” nel 2017 e in riviste scientifiche come «Pagine Altotiberine», quadrimestrale dell'Associazione storica dell'Alta Valle del Tevere, su «Notizie di Storia», periodico della Società Storica Aretina, su «Annali aretini», rivista della Fraternita del Laici di Arezzo, su «Rassegna Storica Toscana», organo della Società toscana per la storia del Risorgimento, su «Proposte e Ricerche. Economia e società nella storia dell’Italia centrale», rivista delle Università Politecnica delle Marche (Ancona), Università degli Studi di Camerino, Università degli Studi “G. d’Annunzio” (Chieti-Pescara), Università degli Studi di Macerata, Università degli Studi di Perugia, Università degli Studi della Repubblica di San Marino.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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