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Il confine fra calamita’, negligenza umana e giustizia

Agli “unti del Signore” è permesso di fare tutto

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Oramai è diventata una triste consuetudine: basta un giorno di pioggia in più, a mo’ di tempesta, che in Italia succede qualcosa. È sufficiente, insomma, un evento atmosferico un tantino più forte del normale che subito si parla di danni. Ed è grassa se non vi sono di mezzo i morti, come purtroppo accaduto in Sicilia (solo per citare l’ultimo caso), con capitolo finale il medico pediatra che ha pagato con la propria vita il grande zelo che metteva nella sua professione. Abbiamo riportato l’esempio della Sicilia, ma le conseguenze si sono estese a tutta Italia, perché anche in Trentino, in Alto Adige e nel Bellunese i segni lasciati sono stati evidenti. Le cronache degli ultimi anni non fanno distinzioni: il maltempo, quando decide di colpire, non conosce Italia settentrionale, centrale, meridionale e insulare. Quell’Italia che si fregia di avere un efficiente apparato di protezione civile in un territorio che però dimostra di essere alquanto fragile e friabile. Ma allora è gloria vera? È un po’ come la logica del digestivo: sarà efficace quanto si voglia, ma il peccato originale sta nell’abbuffata che lo ha reso necessario. Sia chiaro: la protezione civile ha tutte le ragioni di esistere (riconoscenza massima per una missione fra le più nobili in assoluto), al contrario della negligenza, che ha il suo concorso di colpa nelle tragedie attribuite alle cosiddette “calamità naturali”. Non a caso, qualcuno lo ha detto esplicitamente: “Un 20% può essere attribuito all’accentuazione degli eventi atmosferici, fenomeno sempre più comune anche in Italia, ma per il resto vi sono precise responsabilità umane”. Della serie: manutenzione scarsa, se non addirittura inesistente e irregolarità o inopportunità relative a concessioni edilizie. Quella casa era abusiva, oppure in quel punto non avrebbe dovuto essere costruita. Già, ma la tentazione del cemento era così forte che aree agricole sono diventate edificabili, tanto il condono avrebbe sanato tutto. Fin quando ovviamente non è accaduto il peggio e qualcuno vi ha rimesso la propria pelle. E allora ci si domanda il perché sia stato chiuso a suo tempo un occhio sulle concessioni, o il perché quel consorzio deputato a pulizia e manutenzione si sia rivelato l’ennesimo carrozzone politico. Silenzi e complicità: sono queste le reali cause delle morti che poi andiamo a piangere. E meno male che ci riempiamo la bocca con la parolina magica: prevenzione. La predichiamo in continuazione – e giustamente – ma questo concetto è valido non solo per la nostra salute, che pure sta al primo posto. Anche per la sicurezza si può fare benissimo prevenzione: se rendiamo la casa antisismica, possiamo meglio fronteggiare i forti terremoti; se teniamo puliti e ordinati fiumi e fossi, evitiamo allagamenti e altri danni. Se però costruiamo le case lungo le sponde dei fiumi, non andiamo poi a lamentarci se la piena (che prima o poi arriva) ci porta via il garage e mezzo piazzale davanti a casa. Chi allora non si è adoperato per fare manutenzione e chi ha voluto continuare a costruire per l’esclusivo interesse di palazzinari e politici corrotti, oggi dovrebbe fare un attento esame di coscienza sui disastri che sono venuti fuori. Gli esempi alle varie latitudini non mancano: in Veneto, l’impermeabilizzazione del suolo ha raggiunto limiti quasi intollerabili per la presenza soprattutto di capannoni industriali. Da un lato, è senza dubbio sintomo di un’economia che tira (o tirava), ma dall’altro se si consuma suolo in eccesso e non si fa prevenzione a monte, ecco poi che sui verificano danni, anche se i veneti sono veloci e ammirevoli nel rimboccare le maniche e nel ricostruire. Al sud, invece, il problema si chiama speculazione. C’è quella legale e poi anche quella illegale, come dimostrano i tanti “mostri” di cemento che hanno finito con il deturpare angoli anche incantevoli. Un dato fornito da Legambiente evidenzia un abusivismo edilizio che arriva addirittura a toccare il 47,3% del patrimonio immobiliare, a cominciare dalla Campania e dalla Sicilia, le regioni in cui la casistica è più alta. La logica dello scambio in materia di affari ha agito in maniera tale che al nord siano stati i grandi imprenditori ad arricchirsi con gli imperi immobiliari, grazie a importanti agganci politici, mentre al sud sono stati i mafiosi a lottizzare e costruire o risistemare abusivamente con la compiacenza dei politici corrotti, che invece di far leva su rigide regole urbanistiche le applicano in base al principio della convenienza. Poi si spiegano le cosiddette varianti “ad hoc”, i condoni e le licenze rilasciate in regime di massima flessibilità, ma quando domina la corruzione anche l’impossibile diventa possibile. Poi, di fronte ad arresti e operazioni delle forze dell’ordine, si parla di “collusioni” con il sistema. Da buoni italiani, quasi non ci facciamo più caso; siamo grati alle forze dell’ordine quando prendono qualche “pesce” nella rete, ma siamo anche consapevoli del fatto che questa è purtroppo la cruda realtà di un’Italia che ha saputo approfittare anche dei terremoti per fare sciacallaggio e business, fregandosene letteralmente del prossimo. Perché purtroppo l’etica prevalente (non in tutti, per fortuna) è quella del massimo profitto con il minimo sforzo, da raggiungere con compromessi e intrallazzi. Alla faccia della giustizia e della morale. Un principio perverso che viene applicato laddove vi siano le condizioni, altrimenti non si esisterebbero – per esempio – i furbetti del cartellino negli uffici pubblici, perché sappiamo bene che nel privato simili comportamenti verrebbero stroncati sul nascere. E anche chi sarebbe tentato di ristabilire giustizia e correttezza, ben si guarda dal farlo. Provate a denunciare abusi, irregolarità e metodi mafiosi: in determinate zone d’Italia, qualcuno si ritroverebbe con i giorni contati o, nella migliore delle ipotesi, con la scorta perenne alle tacche. Questo lo scenario davanti al quale il governo grillino-leghista si ritrova a dover fare i conti, nonostante i suoi buoni propositi di cambiamento. Già, il verbo cambiare: straordinario nella sua portata, quando la necessità di farlo è forte, ma alla fine solo “bello e impossibile”, perché quando cambiare metodo significa pestare i piedi a qualcuno che conta, ecco che il “paladino” della giustizia ha fatto la sua: spesso, i trasferimenti di sede per i detentori di determinate cariche sono stabiliti da chi muove i fili dietro le quinte. “Questo signore si è spinto un po’ troppo avanti”, oppure “ha rotto i c…..ni” e allora bisogna allontanarlo da qui. Alla fine, i poteri forti vincono sempre. Per tornare alle emergenze create dal maltempo, attendiamo che il nostro capo del governo, Giuseppe Conte, convochi  il consiglio dei ministri e deliberi di conseguenza: alla manovra di bilancio, si sono sovrapposti i danni del maltempo e per ripristinare la normalità occorrono soldi. Ma tutto ha poco senso se non si agisce realmente sulla prevenzione e sui controlli. Si dice sempre che in Italia, per fare veramente qualcosa, deve scapparci il morto. A quanto pare, nemmeno i morti sembrano averci scosso, perché prendere provvedimenti è un conto e in che modo prenderli è un altro. Se insomma una casa non avrebbe dovuto essere costruita in quel luogo, che venga eliminata e non risistemata. Il ministro Luigi Di Maio ha detto che ci saranno più fondi a disposizione dei Comuni per gli abbattimenti delle case abusive. Prendiamola per buona, ma ci sono già giustificati motivi per storcere la bocca: a Ischia, per esempio, dopo il forte terremoto dell’agosto 2017 si parla di ricostruzione e insieme anche di condono. Vi sono le intimazioni ai Comuni perché facciano sapere se le case crollate siano state già oggetto di condono. È qui che si gioca la partita chiave: vedremo se il Movimento 5 Stelle saprà rimanere rigido nella sua posizione, in nome della certezza del diritto e quindi impedirà che vengano sanati abusi in aree vincolate, oppure saprà dire “no” ai condoni che riguardano soggetti affiliati alla criminalità organizzata. Siamo molto curiosi, perché è inammissibile che con lo strumento del condono si arrivi a sorvolare ancora una volta su situazioni irregolari pregresse (avete capito bene, insistere sul condono di una irregolarità, con il rischio di recidività anche nella tragedia) e magari si facciano sudare le proverbiali sette camicie a un imprenditore che, per esigenze operative, deve ampliare la propria attività su un contesto regolare e si presenta con tutte le carte bollate a posto. Quando un imprenditore chiede più spazio, vuol dire che economicamente non sta male (anzi, il contrario!) e un’azienda in salute è un bene per l’intera collettività. Ma magari quell’imprenditore fa ombra a qualcuno – forse perchè si sta ingrandendo più del previsto – e allora si trovano cavilli e cavillini per allungargli i tempi fino a stremarlo e costringerlo a dare il classico calcio al barattolo. Da una parte, licenze facili per cose irregolari, dall’altra licenze difficili per operazioni regolari. È il grande paradosso di una Italia che viaggia sempre a due velocità, nell’economia come anche nella giustizia. Il problema descritto a livello nazionale ha ovviamente ricadute anche nel locale, dove agli “unti del Signore” è permesso di fare tutto: basta fare un giro in Valtiberina per accorgersi delle bruttezze e degli abusi che siamo stati capaci di realizzare ieri, che realizziamo oggi e che probabilmente continueremo a realizzare domani. Sono diventato “grande”, conosco perfettamente questa valle e i suoi “movimenti” e mi sento di gridare tutta la mia amarezza per una situazione che non accenna a volersi modificare: cambiano i suonatori, ma la musica è sempre quella!     

Domenico Gambacci
© Riproduzione riservata
29/11/2018 09:56:48

Punti di Vista

Imprenditore molto conosciuto, persona schietta e decisa, da sempre poco incline ai compromessi. Opera nel campo dell’arredamento, dell’immobiliare e della comunicazione. Ha rivestito importanti e prestigiosi incarichi all’interno di numerosi enti, consorzi e associazioni sia a livello locale che nazionale. Profondo conoscitore delle dinamiche politiche ed economiche, è abituato a mettere la faccia in tutto quello che lo coinvolge. Ama scrivere ed esprimere le sue idee in maniera trasparente. d.gambacci@saturnocomunicazione.it


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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