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Ictus, ecco in che modo reagisce il nostro cervello: non riesce a ripararsi

Dopo un evento cerebrale acuto, aumenta il rischio di demenza

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L’ictus ischemico, 200 mila nuovi casi l’anno nel nostro paese, è un evento dagli esiti molto spesso gravi: sono un milione gli italiani che vivono con gli esiti invalidanti della malattia. È un’emergenza neurologica che va trattata il prima possibile, poiché il tempo trascorso dall’ictus all’intervento terapeutico ha un ruolo decisivo sulla prognosi in termini di mortalità e di disabilità cognitiva e motoria. Accanto alle problematiche acute, l’emergere di conseguenze di medio e lungo periodo, come ad esempio l’aumentato rischio di demenza, ha portato gli scienziati a indagare meglio i meccanismi cerebrali di risposta a un insulto acuto come un ictus.

In particolare, è stata analizzata la capacità di «autoripararsi» del nostro cervello, a lungo ritenuto organo incapace di rigenerarsi nel tempo. Sulla nascita di nuovi neuroni, oggi, non c’è ancora unanimità nella comunità degli scienziati. La complessità della situazione emerge dal susseguirsi di pubblicazioni tra loro in disaccordo: a studi che confermano la produzione di nuovi neuroni da parte del cervello, si ribatte con ricerche che mostrano il contrario, come quella apparsa su Nature lo scorso anno.

«C’è ancora moltissimo da capire e le ragioni risiedono in parte nelle metodiche di studio utilizzate finora, che sono in continua evoluzione, e in parte nella necessità di individuare quali fattori possano essere responsabili dell’eterogeneità della risposta rigenerativa osservata, come ad esempio l’età del soggetto e il tipo di danno cerebrale» dice Elisa R Zanier, responsabile del laboratorio Danno Cerebrale Acuto e Strategie Terapeutiche del Mario Negri di Milano dove lavora proprio allo sviluppo di nuove terapie per riparare il tessuto cerebrale danneggiato. L’ictus causa fenomeni di morte neurale e di tossicità molto noti, ma da il via anche a processi di rigenerazione cellulare in alcune aree cerebrali, come mostra uno studio sui topi condotto dal team di Albrecht Kunze dell’ospedale universitario di Jena che ha osservato un processo di neurogenesi post ictus nell’ippocampo, un’area critica per la memoria. Le nuove cellule, tuttavia, non riescono a svilupparsi correttamente. Questo tentativo imperfetto di creare nuove sinapsi e nuove connessioni funzionali porta a connessioni abbozzate, che peggiorano i sintomi motori e cognitivi causati dall’ictus e aumentano l’infiammazione dei tessuti.

Come a dire che «l’azione rigenerativa non è da considerarsi sempre positiva, se avviene in maniera disordinata può addirittura contribuire all’amplificazione del danno – chiarisce la dottoressa Zanier, che aggiunge – Il lavoro pubblicato introduce dunque un ulteriore elemento di cautela nel capire come interferire/potenziare la risposta neurorigenerativa, al fine di migliorare le condizioni cliniche del paziente dopo un trauma o un ictus».

Secondo altri dati, proprio questa limitata capacità del cervello di autoripararsi scatenerebbe anche altri processi anticamera delle demenze, come un’aumentata deposizione delle proteine beta-amiloide e tau. Oggi si sa che andare incontro ad un ictus significa vedere raddoppiata la probabilità di sviluppare demenza nel decennio successivo e che un terzo dei pazienti presenta un deterioramento cognitivo grave 6 mesi dopo l’evento. In Italia, dove i casi di ictus sono 200 mila l’anno, ci sono 50 mila nuovi casi di demenza correlati. Secondo i dati 2018 dell’Osservatorio Ictus Italia, l’ictus cerebrale rappresenta la prima causa di invalidità nel mondo, la seconda di demenza e la terza di mortalità nei paesi occidentali.

«Questi studi – conclude la ricercatrice - hanno l’obiettivo di chiarire i meccanismi in atto dopo un danno cerebrale acuto, requisito indispensabile per sviluppare soluzioni terapeutiche in grado di limitare gli effetti altamente invalidanti di condizioni come l’ictus o il trauma cranico».

Notizia e Foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
03/06/2019 17:38:32


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