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Lo Stato italiano rischia di finire in tribunale per non aver agito contro l’emergenza climatica

Prima causa legale collettiva per obbligare il governo a impegnarsi nella difesa del Pianeta

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Che la Terra sia in pericolo ormai non è più un mistero e che i suoi abitanti debbano fare qualcosa di concreto per assicurarsi un futuro, neppure. Ma che cosa? E soprattutto come? Un gruppo di associazioni, movimenti e semplici cittadini riuniti in una campagna dal titolo emblematico, “Giudizio universale”, ha deciso di passare dalle parole ai fatti, o meglio, dalle manifestazioni dei Fridays for future ai tribunali. Sì perché l’obiettivo della mobilitazione lanciata proprio oggi in occasione della Giornata mondiale dell’Ambiente ha un obiettivo preciso: portare davanti a un giudice lo Stato italiano per non aver agito di fronte allo sconvolgimento climatico. L’iniziativa è la prima nel suo genere in Italia e si ispira a un’azione simile lanciata nel 2015 in Olanda dalla “Urgenda Foundation”. Il presupposto era lo stesso e cioè un’accusa al governo (olandese) di non aver fatto abbastanza nella lotta contro l’inquinamento e il surriscaldamento globale. Oggi i promotori di Giudizio Universale si augurano di ottenere lo stesso risultato perché a distanza di 4 anni la causa legale olandese ha superato i primi due gradi di giudizio, ha ottenuto sentenze di condanna ed è entrata nella fase cruciale, quella in cui il governo dovrà dare delle risposte.

Le indicazioni del mondo scientifico sulla strada da intraprendere non mancano. L’ultimo rapporto dell’Ipcc (Internationl Panel on Climate Change) invita i Paesi ha un drastico cambio di rotta che porti a dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2030 e ad azzerarle del tutto entro il 2050 considerato come l’anno del non ritorno. Finora gli Stati hanno fatto poco e male. I “progressi” in questo senso sono fermi all’accordo di Parigi del 2015 quando venne firmato un accordo (peraltro non vincolante) di mantenere l’aumento delle temperature entro la soglia di +1,5°C rispetto al periodo preindustriale. Ma questo proposito non si è tradotto in azioni concrete. A marzo l’Italia ha presentato il “Piano energia e Clima 2030” che dovrebbe recepire gli obiettivi europei e in questi giorni a Torino il governo ha lanciato il protocollo “Aria pulita”, ma il percorso è tutt’altro che in discesa: «L’impegno del nostro Paese è insufficiente a garantire il rispetto degli obiettivi suggeriti dai più importanti scienziati del clima - spiega Fabio Ciconte, fra i referenti della campagna Giudizio Universale -. Il Piano non contiene gli interventi radicali di cui abbiamo bisogno per azzerare le emissioni nette entro il 2050. Con questa azione legale vogliamo spingere l’Italia a fare un passo in più nella lotta al cambiamento climatico, che è la più grande emergenza del nostro tempo». Restano 11 anni per cercare di arginare i mutamenti climatici e le sue conseguenze, fenomeni estremi come inondazioni, ondate anomale di caldo, siccità, alluvioni e uragani. Calamità che non risparmiano nessuna area del mondo. E la conferma arriva dai numeri diffusi dai promotori di “Giudizio universale” secondo cui sono oltre 1000 i contenziosi che vedono la società civile in 25 Paesi portare alla sbarra lo Stato, le imprese o singoli progetti dal forte impatto sul clima. La causa legale italiana verrà depositata in autunno e la data non è casuale. A novembre in Cile si terrà la prossima Conferenza sul clima (Cop25). In quella sede serviranno pressioni esterne e una forte mobilitazione della società civile se non vogliamo veder naufragare un’altra volta le speranze e insieme anche il Pianeta.

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
05/06/2019 14:29:43


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