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Monsignor Bruno Bartoccini, il prete arbitro con la missione per lo sport

Un uomo di fede e di cultura sul quale Città di Castello ha potuto contare per oltre 40 anni

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Il suo passato di arbitro di pallavolo e la sua fede calcistica per la Juventus lo fanno ricordare tutt’oggi come il prete sportivo per eccellenza e sarà un’etichetta che gli rimarrà per sempre, ma monsignor Bruno Bartoccini – per tutti rimasto affettuosamente don Bruno – era senza dubbio assai di più. Un uomo di fede e di cultura sul quale Città di Castello ha potuto contare per oltre 40 anni; un importante maestro di vita per tanti giovani, che sapeva educare in una chiave moderna, più diretta e più familiare, anche attraverso la pratica agonistica. E così era anche nella sua veste di sacerdote: il sorriso, la semplicità e la straordinaria immagine di uomo comune, capace di stare fra la gente senza che il suo “abito” si notasse, sono stati i segreti che hanno reso efficace il suo apostolato. Lo sport è stato il veicolo che ha permesso a don Bruno trasmettere ai ragazzi quei principi fondamentali validi anche e soprattutto nella vita di tutti i giorni: la serietà, il sacrificio, la correttezza, il rispetto delle regole e dell’avversario e la maniera con cui stare in gruppo e socializzare. Se n’è andato troppo presto, don Bruno: aveva soltanto 65 anni quando nella prima domenica d’Avvento del 2011 (era il 27 novembre) ha lasciato questo mondo. Purtroppo, determinate malattie non lasciano scampo, per quanto lui avesse combattuto la sua con grande determinazione; il “don della pallavolo” non c’era più: si era arreso anche lui e Città di Castello ha avvertito questa pesante “botta” sul piano umano, oltre che religioso. Diversi ragazzi di allora gli sono grati per i suoi insegnamenti e per averlo avuto come figura centrale nel loro percorso di crescita. Anche chi ha raggiunto il top della carriera come arbitro di volley (e poi lo vedremo) gli deve tantissimo.

IL TRASFERIMENTO DA MARSCIANO, L’INGRESSO IN SEMINARIO A 9 ANNI

Papiano, borgo di origini molto antiche nel cuore dell’Umbria: non arriva a 500 abitanti ed è una frazione del Comune di Marsciano. Qui nasce Bruno Bartoccini, il 4 marzo del 1946: Ennio il nome che porta il padre e Teresa (cognome Foresi) quello della madre. Bruno è il più grande di tre fratelli: nel 1949 viene alla luce Elpidio, più conosciuto come Ivano, attualmente medico in pensione e nel 1956 è la volta di Marida, la sorella, che tuttora è insegnante. Ma quando nasce Marida, la famiglia Bartoccini si è già trasferita a Città di Castello: l’anno è il 1953 e a Promano (dove vive tuttora oggi il fratello Ivano) i genitori di Bruno aprono l’attività del forno. Lui ha soltanto 7 anni: è andato a scuola in anticipo e quando di anni ne ha 9 entra nel seminario tifernate; qui frequenta la quinta classe elementare per poi studiare alle superiori quando si trasferisce nel seminario di Assisi. Il 18 marzo 1970, a 24 anni appena compiuti, è ordinato sacerdote nella diocesi di Città di Castello; nel frattempo, in parallelo con la missione sacerdotale va avanti anche il suo percorso universitario che lo porta, nel 1985 e sempre in marzo, a conseguire la laurea in Sociologia. Quella di Scalocchio, località del Comune tifernate ubicata sul versante orientale del territorio, dalla parte delle Marche al confine con il territorio di Apecchio, è la prima parrocchia nella quale viene inviato e vi rimane per poco più di un anno, dal 1° maggio 1970 al 30 giugno 1971, poi diventa vicario parrocchiale di San Domenico a Città di Castello dal 1° luglio 1971 al 31 gennaio 1976. La titolarità di parroco gli viene conferita poco dopo, il 1° gennaio 1977, a San Pietro in Nestoro, luogo nel quale opera per sette anni esatti, perché lo attende un nuovo incarico di parroco nella chiesa di San Giuseppe alle Graticole, rione del capoluogo tifernate. Ultima tappa: il passaggio, sempre come parroco, in una realtà ancor più numerosa, quella di San Pio X, dove è effettivo fino in pratica al giorno della sua morte. In ambito ecclesiastico, Bartoccini è cancelliere vescovile dal 4 ottobre 1994 all’11 settembre 2008; il 9 novembre 1994 viene nominato cappellano di Sua Santità e monsignore. Per anni e anni, è assistente degli scout dell’Agesci e direttore dell’ufficio diocesano missionario, nonché consulente ecclesiastico del Centro Sportivo Italiano ininterrottamente dal 1979. Don Bruno è stato anche insegnante di religione nelle scuole di Città di Castello: dal 1971 al 1994 nella media “Dante Alighieri”, poi all’Ipsia, all’istituto comprensivo “San Francesco di Sales” e all’istituto tecnico commerciale “Ippolito Salviani”.        

LA CARRIERA DI ARBITRO BLOCCATA DALLO SPOSTAMENTO DELLE GARE ALLA DOMENICA

Amante dello sport in generale, aveva – come specificato - nella pallavolo e nel calcio le due grandi passioni. “Ma in mezzo allo sport lui c’era da sempre – commenta il fratello Ivano – e fra le sue tante originali trovate ci sono state anche le “olimpiadi” della pallavolo fra Promano, Trestina, Montecastelli, Umbertide e Morra, sintesi significativa di quella voglia di creare momenti di socializzazione attraverso lo sport e l’agonismo. Ed era così attivo che anche chi non faceva parte della sua parrocchia finiva con il frequentarla. Pensate soltanto ai campeggi e alle due settimane estive al passo San Pellegrino, sopra Moena”. Con il volley, Bruno Bartoccini ha vissuto la fase di evoluzione di questa disciplina a Città di Castello dai tempi della Serie A femminile con Fausto Polidori. In qualità di arbitro di pallavolo, aveva raggiunto il top, dirigendo partite di Serie A fra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, ma la missione di religioso gli era diventata di fatto incompatibile con lo spostamento delle partite dal sabato alla domenica. Ha pertanto dovuto abbandonare sul più bello il percorso che era riuscito a costruire, senza però distaccarsi da un mondo che lo affascinava molto. Anzi, fino al 1° novembre 2011 (ultima sua apparizione al Pala Ioan), cioè a una ventina di giorni prima della sua morte, ha svolto le mansioni di addetto all’arbitro della Gherardi Città di Castello, che allora militava in A2. La pallavolo era nel suo dna e costituiva anche l’occasione per stare a contatto con i giovani. Due suoi “discepoli” in ambito sportivo, Simone Santi e Francesco Puletti, hanno iniziato fin da giovanissimi a intraprendere questa carriera grazie agli insegnamenti e ai preziosi consigli di Bruno Bartoccini; Santi è divenuto poi un apprezzato direttore di gara di livello internazionale (mondiali e olimpiadi nel suo palmares) e comunque una domenica significativa è stata a suo modo quella del 6 marzo 2016, quando la gara di Superlega maschile fra Exprivia Molfetta ed Lpr Piacenza è stata diretta proprio da Santi e Puletti. Per la prima volta, una coppia tutta tifernate designata per una partita della massima serie nazionale. Il miglior omaggio che si potesse fare a don Bruno: chissà se avesse potuto vederli all’opera quanto sarebbe stato orgoglioso di loro! La Juventus era l’altro particolare amore sportivo di questo prete, capace di organizzarsi al meglio anche in parrocchia con gli impegni, pur di non perdersi le grandi partite della formazione bianconera in campionato e nelle coppe. Nonostante la grande maturità sportiva che applicava anche da tifoso, era uno juventino dichiarato, di quelli che facevano festa a ogni trionfo. Lo ricordiamo benissimo in mezzo agli altri supporter della “signora”, che a Città di Castello sono tanti (il sindaco Luciano Bacchetta e l’onorevole Franco Ciliberti su tutti), ogni qualvolta vi fosse da celebrare, anche a tavola, un successo ottenuto dalla squadra torinese.   

 IL “DISCEPOLO” ARBITRO SIMONE SANTI: “MI DISSE DI ANDARE AVANTI PERCHE’ IL SUO IMPEGNO DELLA DOMENICA ERA LA MESSA”

Una persona con dentro una grande dote: quella di figura aggregatrice. Così il collega Simone Santi ricorda monsignor Bruno Bartoccini, che aveva conosciuto alla fine degli anni ’70. “Quando da Scalocchio scese di nuovo in città con l’incarico di vice del parroco don Luigi Spallacci nella chiesa di San Domenico – dice Santi – era un sacerdote considerato moderno e all’avanguardia e da sempre è stato organizzatore dei campeggi. Aveva una capacità incredibile di tenere insieme i giovani e tutti quei ragazzi di allora, che frequentavano gli oratori, hanno impresso nella mente il periodo dei campeggi. In contemporanea, coltivava la grande passione per gli sport, con in testa la pallavolo, disciplina che da ragazzo ha praticato per un breve periodo come giocatore. È diventato subito arbitro e dirigeva in parallelo sia le partite del Csi che quelle della Federazione”. Come ricordato, siamo alla fine degli anni ’70 e per il giovane don Bruno ha appena preso il via una splendida carriera da arbitro di volley, che lo porta a dirigere le partite delle squadre più in auge di quell’epoca: la Robe di Kappa Torino, la Toseroni Roma, la Riccadonna Asti e la Santal Parma erano alcune, le più famose. “In Serie A1 femminile c’era a inizio anni ’80 la Isa Fano – aggiunge Simone Santi – e l’ho visto arbitrare assieme al perugino Oreste Bittarelli”. E quando la Federazione optò per la domenica. “Lui, amaramente – sono sempre parole di Santi - fu costretto a smettere, anche se la prese con filosofia e in maniera molto simpatica mi chiamò per dirmi: “Simone, continua tu perché io ho “sposato” Gesù Cristo e la domenica debbo dire la Messa”. È come se idealmente quel giorno fosse avvenuto un passaggio di testimone. Quindi tu, Simone, avevi già cominciato ad arbitrare? “Era accaduto qualche anno prima, quando ancora ero un ragazzino. Don Bruno è stato fra i fondatori e gli organizzatori del torneo femminile “Francesca Fabbri”, manifestazione organizzata sotto l’egida del Centro Sportivo Italiano, che da 40 anni a questa parte (con la sola eccezione del 2018) porta a Città di Castello migliaia e migliaia di persone da tutta Italia fra atlete, tecnici e dirigenti nei giorni a cavallo fra Natale e Capodanno. Don Bruno ha tenuto unito il Csi e a firmare il grande successo del torneo “Francesca Fabbri” sono stati lui, Angelo Leandri (altro arbitro) e Lanfranco Rossi. Loro hanno portato al massimo un appuntamento creato per ricordare una sfortunata ragazzina di San Giustino, appunto Francesca Fabbri, morta in età molto giovane e ospitata dalle suore Serve di Maria Riparatrici, più conosciute a Castello come “le ciechine”. A lei è stato intitolato il torneo”. E allora, cosa successe? “Che io – spiega Simone Santi - giocavo a pallavolo e che lui, frequentando l’ambiente, mi fece presente la necessità che aveva di reperire arbitri per la direzione delle gare di questo torneo. Ebbene, a me e ad altri ci scritturò in quel frangente. Ricordo benissimo quando mi contattò: avevo 13 anni e da quel momento il destino aveva stabilito che nella vita sarei dovuto diventare anche un arbitro di pallavolo. Ma con don Bruno ho anche studiato all’Università di Urbino: lui era già sacerdote quando si è iscritto alla facoltà di Sociologia; un paio di esami li abbiamo preparati assieme e dati nella stessa sessione. Non dimenticherò mai quello di storia contemporanea, nel quale si parlava della “teologia della liberazione”, la corrente di pensiero sviluppatasi 50 anni fa con i preti guerrieri in America Centrale”. Un’amicizia che con il tempo, quindi, non è stata più soltanto personale. “Da me si è estesa alla mia famiglia e ho ancora vivo nella mente il giorno della sua morte: ero impegnato in Giappone con la World Cup e scrissi subito due righe al vescovo Domenico Cancian, perché le potesse leggere durante la funzione religiosa. Fu un dispiacere doppio, per me, il non poter prendere parte ai funerali: gli ho voluto bene, anche perchè era impossibile non volerglielo”.

PERSONA FANTASTICA: I CAMPEGGI PER I GIOVANI, LE SETTIMANE BIANCHE E IL MARE PER LE FAMIGLIE TIFERNATI

Che persona era, monsignor Bruno Bartoccini? “Fantastica. Con il sorriso – rimarca Santi - sapeva unire tutti ed era straordinaria la sua capacità aggregante, che si manifestava attraverso lo sport. Pensate: appena lo inviarono a Verna di Umbertide per fare il parroco della chiesa di San Pietro in Nestoro, stupì subito tutti. Si aspettavano il prete classico di campagna e invece ne arrivò uno giovane, che fece subito realizzare il campo da tennis e quello per giocare a pallavolo. Aveva in mente di far socializzare i ragazzi fra loro scegliendo la strada più accattivante, nella convinzione che la chiesa – con attorno i suoi “impianti” - sarebbe ben presto diventata il punto di riferimento. È stato vicino poi alla società di pallavolo del Città di Castello, seguendola dai tempi della Serie C fin quando nel 1991 è approdata in Serie A con molti atleti del posto, fra i quali i vari Claudio Nardi, Antonio Leonardi, Stefano Pellegrini e Marco Magrini. Il volley era in testa alle sue preferenze, ma tennis e calcio seguivano subito a ruota; non a caso, anche nella parrocchia delle Graticole a Città di Castello, di cui è stato titolare, ha fatto costruire il campo da tennis, disciplina che praticava in media due-tre volte alla settimana”. Il fratello Ivano aggiunge: “Al Nestoro ha seguito direttamente di persona le pratiche per costruire i campi, mentre alle Graticole ha proprio fatto costruire lui la chiesa”. E il suo rapporto con il calcio? “Era uno juventino dichiarato – premette Simone Santi - e non ha mai fatto mistero della sua grande fede per i colori bianconeri, tanto che alla fine sotto la chiesa aveva creato la sede dello Juventus Club Città di Castello. Sempre pronto a festeggiarne i trionfi con gli altri illustri tifosi che la “signora” del calcio vanta qui da noi, aveva fatto l’abbonamento a Sky”. E il Bruno Bartoccini come uomo e come religioso? “Eravamo infatti portati a conoscerlo come grande personaggio della pallavolo, però don Bruno era molto di più: intanto, sia d’inverno che d’estate aveva sempre tempo da mettere a disposizione dei giovani. Abbiamo parlato dei campeggi che organizzava e che lo avevano reso famoso, ma lui è stata anche la persona che si è impegnata per fare in modo che la gente di Castello potesse permettersi di fare la settimana bianca a prezzi accettabili. Si era messo d’accordo con un albergatore di Moena per convogliare i tifernati nella sua struttura ricettiva e con questo sistema è stato capace di portargli anche oltre 400 persone nel corso della stagione che va da dicembre a febbraio. Stesso discorso per il periodo estivo: era amico di un ex insegnante di educazione fisica che aveva conosciuto a Perugia e che era il gestore di un albergo a Pineto, nota città balneare abruzzese. Anche in questo caso, erano diverse centinaia coloro che partivano nei mesi di luglio e agosto per la vacanza al mare, compreso il sottoscritto con la famiglia”, sottolinea Simone Santi. Che poi parla di monsignor Bartoccini sacerdote: “Le sue omelie non erano lunghe, perché andava subito alla sostanza delle cose. Con una dialettica semplice e accessibile, trasmetteva in forma molto chiara il suo messaggio a chi lo ascoltava in chiesa. Pur avendo tanti impegni giornalieri, imposti dalla responsabilità di avere una parrocchia da mandare avanti, riusciva comunque a trovare il tempo per fare tutto. Come tipo era anche scherzoso, ma sempre rispettoso e soprattutto sorridente: il suo sorriso era conciliatore. Non appena era venuto a sapere della malattia che lo aveva colpito, si era battuto come un leone fino a quando le forze lo hanno supportato, poi ha ceduto, ma il suo decesso è stata abbastanza celere. Lui stesso – sono convinto di questo – non pensava di morire in un lasso di tempo così breve”.   

IL FRATELLO IVANO: “IL COINVOLGIMENTO DEI GIOVANI COME OBIETTIVO DA PERSEGUIRE”

È tanto semplice quanto bello il ricordo di Ivano, il fratello medico di don Bruno, pubblicato nel volume di Maria Masi Ruggiero dedicato alla chiesa di San Pio X. Il dottor Ivano spiega a suo modo anche la precisa strada imboccata dal fratello: “Mio padre faceva il fornaio, lavoro faticoso in particolare per gli orari, mentre mia madre era il perno della famiglia. Trattandosi di una donna profondamente religiosa, può aver influito nella scelta di mio fratello, entrato in seminario già a 9 anni. E il seminario di Città di Castello era molto rigido: gli allievi tornavano a casa un solo mese d’estate, le visite dei genitori erano ammesse solo la domenica dalle 12 alle 13 e quando è nata la nostra sorella, Marida, lui non ha avuto il permesso di tornare a casa per vederla. Situazione diversa invece ad Assisi, dove c’era un’altra apertura”. E qui, Ivano Bartoccini mette in evidenza la figura dell’allora rettore del seminario di Assisi, quel Carlo Urru che sarebbe in seguito diventato vescovo di Città di Castello e che era propenso a lasciar liberi i giovani di coltivare le proprie passioni e ambizioni. “Così è nata la sua passione per la pallavolo – dice il fratello Ivano - in quanto disciplina veloce e non violenta e dai 16 ai 18 anni di età lui è stato giocatore di discreto livello. Da tutte le parti, inoltre, lo ricordano con piacere, a cominciare da Apecchio: quando infatti lo spedirono come primo incarico di religioso a Osteria Nuova e Scalocchio, si ritrovò in due località isolate e allora chiamò i giovani della vicina Apecchio per formare una squadra unita, che sapesse incarnare un’etica sportiva cristiana. Questo è il messaggio che mio fratello ha sempre portato avanti. Con il suo carattere allegro, aperto e compagnone, ha costruito amicizie nate principalmente ai tempi del seminario e fortificate dal punto di vista umano: il suo amico più caro fu Giovanni Torresi, che abbandonò il sacerdozio, ma fra coloro che hanno poi proseguito la missione ci sono stati i vari don Giovanni Gnaldi, don Tonino Rossi e don Giancarlo Lepri, che si ritrovarono insieme nella diocesi tifernate, a capo della quale il papa di allora, Paolo VI, nominò monsignor Cesare Pagani, uomo di forte personalità con il quale mio fratello non entrò in sintonia per ciò che riguarda le scelte pastorali. Al contrario, fu particolare il legame di stima e affetto con monsignor Urru. Dall’inizio del suo apostolato fino all’ultimo giorno di vita, il suo desiderio più importante è stato sempre uno: quello di coinvolgere il maggior numero di giovani, perché sentivano in lui un’autentica passione per “tutte le attività sportive che servivano di tramite al mondo spirituale e religioso”. L’altra passione era la montagna: fra inverno con le settimane bianche ed estati con i campeggi, riusciva a portare centinaia e centinaia di persone sulle Dolomiti. Gli piacevano anche le gite all’estero e bella fu quella che facemmo in Russia. A San Pio X, si era portato come fido collaboratore il diacono Alessio Gonfiacani e insieme a lui, oltre a dare continuità alla missione di don Edoardo e don Fabio, ha dato il via a una serie di lavori quali il rifacimento del tetto del teatro, la messa a norma degli impianti della chiesa e della canonica e tutta la serie degli interventi di cui aveva bisogno il complesso di Montemaggiore, che San Pio X aveva ricevuto in comodato. Nell’evidenziare il bagno di folla che ha accompagnato il giorno dei funerali e la commozione che ha assalito il sindaco Luciano Bacchetta, Ivano Bartoccini conclude con una frase lapidaria: “L’amore per la gente ha lasciato un segno indelebile”.

PRETE DELLA CITTA’ E FIGURA GUIDA CON STILE DA… ANTIDIVO

Due testimonianze scritte, conservate anch’esse dal fratello Ivano, costituiscono una sorta di efficace compendio della figura di monsignor Bruno Bartoccini. La prima arriva dagli ultimi parrocchiani in ordine di tempo: quelli di San Pio X nel giorno della morte. “Dopo un primo momento di difficoltà, nel quale hai sofferto per qualche critica gratuita, ti abbiamo percepito come una persona che ci assomigliava e attenta alla realtà sociale e a tutti i suoi problemi. Mai hai dato la percezione di essere superiore, facendo valere un titolo di studio od ecclesiastico e anche nello stile di vita sei apparso come una persona semplice. La tua presenza in mezzo a noi ci ha fatto capire che a volte, anche con un semplice sorriso o con una battuta, si possono affrontare dei momenti un po’ difficoltosi della vita di tutti i giorni. E come non ricordare il tuo amore per la Juventus: sei riuscito, anche attraverso essa, a portare in parrocchia che mai sarebbero altrimenti venute. La generosità e la disponibilità verso i bisognosi e i poveri sono state sempre le tue armi vincenti”. Altrettanto significativo e toccante quanto lasciato da don Luigi Spallacci, il primo parroco con il quale don Bruno ha collaborato in San Domenico: “Anche tu, nella tua vita, non hai mai privilegiato le appartenenze, ma l’impegno concreto per una società più solidale e fraterna. Non sei stato mai soltanto il prete di una parrocchia: la città, a vario titolo, ti ha visto presente e impegnato e oggi sente il vuoto lasciato da un amico che non rinunciava ad essere anche una guida, non con l’arroganza di un sapere presuntuoso, ma con l’umile testimonianza di chi accettava di mettersi a capo della cordata, per segnare il passo e indicare la strada”. Frase conclusiva: “Vivi nella pace don Bruno, per sempre e prepara anche a noi un posto nella casa dei giusti”.                  

Notizie tratta dal periodico l'Eco del Tevere
© Riproduzione riservata
15/07/2019 09:00:07


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