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Sergio Marrani, il dottore di Sansepolcro inflessibile nel rispetto delle regole

La storia del medico e ufficiale sanitario che ha vaccinato generazioni di bambini

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Baffi e pizzetto lo rendevano inconfondibile: magari, era un look tipico più degli intellettuali e degli insegnanti ai quali eravamo abituati, ma lui era un medico. Non era il dottore di famiglia; in compenso, era il particolare dottore dal quale dovevano passare tutti i bimbi in età scolastica, perché le vaccinazioni – che oggi in Italia sono diventate persino un problema politico – allora erano obbligatorie per prevenire gravi malattie. Anzi, sulla loro utilità nemmeno si discuteva. Chi a Sansepolcro – dai 40 anni in su di adesso – non ricorda il dottor Sergio Marrani, scomparso nel 1995 a 67 anni non ancora compiuti? Una figura indimenticabile sul percorso della vita: arriva il giorno in cui ti devi vaccinare e, ancora piccolo, provi lo stesso timore di quando devi sottoporti a una iniezione (la classica “puntura”, come la chiamavamo), che è sempre stata la grande paura di tutti quando eravamo costretti a stare a letto con la febbre. Con la differenza che a scuola non c’erano nemmeno la mamma - o il babbo - a rincuorare o a tenerti per mano: in quel momento c’eri soltanto tu con la maestra (o il maestro) e il dottor Marrani, pronto a volte a dare una sana strigliata a chi si metteva a piangere o tremava alla sola vista del pennino. A suo modo, uno dei primissimi esami di vita i bambini di Sansepolcro lo hanno sostenuto proprio con il dottor Marrani, riuscendo a eliminare la paura e a prendere un minimo di coraggio, che avrebbe dovuto durare uno-due secondi. E spesso, era proprio lui a fare in modo che la paura sparisse. I piccoli “cerchi” che portiamo sul braccio sono i “ricordi” tangibili del dottor Marrani, che con un semplice pizzico ci preservava dalle malattie più pericolose. Ma il medico biturgense non può e non deve essere ricordato solo per questo motivo; le capacità professionali, unite con l’inflessibilità e il rigido rispetto delle regole (ricordiamo che anche nell’assegnazione o meno delle invalidità era lui a dover decidere), sono la grande eredità morale lasciata in una Sansepolcro che avrà probabilmente diviso in due nel sentimento popolare provato nei suoi confronti, ma ciò testimonia ancora una volta quanto sia difficile imporre i crismi della trasparenza, perché in caso di diniego per motivi oggettivi si rischia di diventare antipatici o di essere catalogati con chissà quali appellativi, quando invece l’unico principio applicato con forza è stato quello della correttezza. Lui ne aveva fatto un cavallo di battaglia. E adesso, del dottor Marrani tracciamo la storia attraverso il racconto della moglie Laura, che a 91 anni dimostra ancora una lucidità davvero straordinaria e della figlia più giovane, Francesca, alla quale si è poi unito il fratello Marco.

 

DA MEDICO CONDOTTO SUPPLENTE A PRIMO “STORICO” UFFICIALE SANITARIO DI ZONA

Un biturgense nato in via Giovanni Buitoni, traversa del corso principale di Sansepolcro nel bel mezzo del rione di Porta Romana. Sergio Marrani viene alla luce il 25 agosto 1928; il padre, Alfredo, lavora in una impresa edile e la madre si chiama Maria Dindelli. Tre anni più tardi, nel 1931, sarebbe nato Artemio, il fratello più giovane di Sergio, tuttora in vita e residente a Papiano, frazione del Comune umbro di Marsciano; Artemio è stato maresciallo dei carabinieri, poi aveva aperto una fabbrica di ceramiche. Il giovane Sergio studia al liceo scientifico e sostiene gli esami ad Arezzo, perché ancora al Borgo lo scientifico non è stato istituito. Una volta diplomato, si iscrive alla facoltà di Medicina dell’Università degli Studi di Firenze: sopraggiunti problemi di salute lo costringono a ritardare la laurea, che comunque consegue nel 1959, con successiva specializzazione in Pediatria e con studi anche da igienista; era praticamente arrivato a discutere la tesi per aggiungere anche questo titolo. I primi passi nella professione li muove ad Anghiari e a Caprese Michelangelo: come sempre accade, si comincia con le supplenze e lui sostituisce un collega di quelli che un tempo erano chiamati “medici condotti” e che hanno più volte cambiato denominazione, ma che restano i medici di famiglia. Un inizio senza dubbio promettente: “Lo venivano a cercare anche quando non era più in servizio per chiedergli consigli su malattie che i suoi assistiti avevano da anni e che lui gli aveva individuato”, sottolinea la moglie Laura. “Un dottore con l’occhio clinico – prosegue - di quelli da tenere stretti: così lo aveva definito il professor Giannini, affermato cardiologo di Città di Castello”. Arriva poi il momento nel quale Sansepolcro necessita per la prima volta di un ufficiale sanitario, figura nuova da assumere tramite pubblico concorso. Il dottor Marrani è uno dei partecipanti e si classifica secondo, preceduto da un aiuto professore di Assisi che era interessato a vincere solo per questioni di curriculum e punteggio, non per fare l’ufficiale sanitario. Quest’ultimo rinuncia quindi al posto, che di conseguenza viene ad essere occupato dal successivo in graduatoria, appunto il dottor Marrani, il quale diviene così il primo “storico” ufficiale sanitario di zona; siamo agli inizi degli anni ’60 e per oltre un ventennio sarà lui il titolare di questo importante ruolo in un comprensorio che nel frattempo è stato esteso ai 7 Comuni della configurazione attuale, per cui avrà competenze in materia da Monterchi a Sestino, anche con la successiva nascita di quella che fino a inizio 1995 è stata l’Unita Sanitaria Locale numero 22 della Valtiberina Toscana. Ma nel ’94 era già andato in pensione a causa nuovamente di problemi di salute, che lo avrebbero portato alla morte il 21 giugno 1995, altrimenti sarebbe rimasto in attività per altri due-tre anni, come era nelle sue volontà.

 

IL “TERRORE” DEI BAMBINI SOTTOPOSTI A VACCINAZIONE E IL FIUTO DEL PEDIATRA

Scrupoloso e allo stesso tempo veloce nel dare risposte, come accade nell’ambito del privato, il dottor Marrani era una persona dotata di grande senso di responsabilità e abile nell’organizzazione del lavoro; le sue cartelle sanitarie costituiscono tuttora uno storico ed era portato come primo esempio di serietà fra i membri delle commissioni incaricate di valutare i gradi di invalidità delle persone. Argomento sul quale torneremo più avanti, perché intanto il dottor Marrani… “Era il terrore degli scolari e dei bambini più in generale, me compresa”, dichiara sorridendo la figlia Francesca. Che aggiunge: “La mattina della vaccinazione era di ansia continua per intere scolaresche; gli alunni sapevano che il dottore gli avrebbe praticato un buco nel braccio e allora l’uno diceva all’altro: “Vai prima tu!”, perché in questo modo si sarebbe fatto raccontare se il pizzico era doloroso oppure no. Figuriamoci quando anch’io mi sono dovuta vaccinare e sapevano che ero sua figlia, ma avevo paura né più e né meno che come le altre! Il pennino con il quale somministrava il vaccino era l’oggetto più temuto e lui lo adoperava con estrema precisione e con la giusta calma; se qualche bambino si fosse ostinato per paura, sarebbe stato capace con i suoi modi diretti e decisi – ma sempre psicologicamente stimolanti ed efficaci – di convincerlo e di farlo stare più tranquillo. Alla fine, riusciva con tutti”. Anche il sottoscritto, autore del pezzo a lui dedicato, ricorda un episodio con il dottor Marrani, quando aveva 19 anni e doveva sottoporsi al classico prelievo del sangue per le analisi; c’era lui con una giovane assistente già pronta con la siringa e come notò la mia resistenza perchè l’ago mi aveva suscitato una certa impressione, mi disse subito: “Ah, che figura hai fatto davanti a questa ragazza!”. Facendo leva anche sull’orgoglio personale, riuscì a togliermi all’istante la paura dell’ago. Che in effetti non ho più avuto. Questo era il dottor Marrani, che i giovani ritrovavano in ambulatorio anche quando dovevano sottoporsi a visite mediche per idoneità varie, dopo che con il suo pennino aveva agito iniettando l’antipolio e l’anti vaiolo, ma c’erano anche le vaccinazioni antidifterica e antitetanica. Era lui di persona che si recava nelle scuole. “Solo i suoi nipoti non ha vaccinato, proprio perché erano i suoi nipoti – evidenza la figlia Francesca – e quindi in questo caso a vivere l’impasse è stato lui”. Anche per il rilascio delle patenti di caccia, era lui il medico dal quale recarsi. “Spesso, nel corso di queste visite – tengono a ricordare la moglie Laura e la figlia Francesca – lui era in grado di individuare malattie e di scoprire malformazioni e patologie nascoste. Essendo pediatra, non impiegava molto per scoprirle: la diagnosi che ti stilava era sempre azzeccata”.

 

INCORRUTTIBILE SU TUTTA LA LINEA ALLA TESTA DELLE COMMISSIONI PER IL RICONOSCIMENTO DELLE INVALIDITA’

Come capo della commissione per il riconoscimento della invalidità era incorruttibile, tanto che… “Se non la concedeva, si beccava epiteti di ogni genere; se invece ravvisava le oggettive condizioni, allora era il gran medico – aggiungono ancora moglie e figlia – per cui niente di nuovo sotto il sole, ma lui era soprattutto rigido e fiscale nell’applicazione delle regole. Non guardava in faccia a nessuno: amici o non amici, nell’esercizio della professione era intransigente con tutti. E per accorciare i tempi d’attesa, nell’espletamento delle domande di accompagnamento, adoperava un sistema tale da non avere tempi morti generati da facili imprevisti creati da persone anziane e invalide. Per questo motivo, ricevette un elogio personale dal medico provinciale. Se poi qualcuno che aveva inoltrato domanda per l’invalidità gli avesse portato un pensierino – che poteva essere in termini di polli, piccioni o bottiglie di vino o di liquore – lui dapprima chiedeva sempre: “Questo signore è già a posto? A pratica conclusa, era propenso ad accettare qualcosa in cambio, ma quando era ancora in corso l’istruttoria non ne voleva sapere. E qui interviene anche il figlio: “Più volte mi sono ritrovato a dover girare per le campagne e a riconsegnare i polli che avevano portato per lui, pensando che con un omaggio di questo genere avrebbero potuto ottenere favori. Ma lui odiava questo sistema”. Interviene la moglie: “Un’altra volta arrivò a casa una busta nella quale dentro c’erano presumibilmente soldi; con atteggiamento molto arrabbiato, l’ha rispedita subito indietro. Un giorno, nel corso di uno dei suoi tanti sopralluoghi, era entrato nel magazzino di un’azienda, dove venne attirato da una botte per il marsala e chiese in quale modo si potesse avere. Il titolare gliela fece recapitare a casa, ma a distanza di giorni gli operai di questa ditta – parlando con un nostro parente – si lasciarono sfuggire una frase, dalla quale si evinceva che il dono in questione avrebbe avuto una precisa finalità: quella di evitare le visite dall’ufficiale sanitario e comunque di risolvere una ben determinata situazione con un iter poco corretto. Venuto al corrente di questa informazione, mio marito – che aveva fissato giorno e orario delle visite – attese gli operai, che non si presentarono. Di conseguenza, rimandò indietro la botte”. E il figlio Marco rafforza il concetto: “Quando era nell’esercizio del proprio lavoro, si preoccupava di far capire all’interlocutore che non stava parlando con il dottor Sergio Marrani, ma con un ufficiale sanitario”. E la figlia Francesca riporta un episodio particolare, che chiama in causa le suore di clausura di Santa Chiara, quelle con il convento davanti all’ex collegio Inadel: “La Buitoni aveva affidato alle clarisse il compito di confezionare le fette biscottate, quindi di lavorare con prodotti alimentari. Un giorno, a mio padre arrivò in ufficio la telefonata di un signore che non si qualificò, il quale gli disse che l’ambiente in cui vivevano e operavano le suore non era quello adatto; in altre parole, lì dentro la pulizia avrebbe lasciato molto a desiderare. Lui cosa fece, allora? Telefonò alle suore, dicendo che si sarebbe recato da loro nel giro di una ventina di minuti. In effetti, andò giù dopo questo lasso di tempo e trovò tutto straordinariamente pulito. “Vi ho avvertito – disse alle suore – ma in soli venti minuti non era possibile trovare una pulizia così”. Aveva fissato una sorta di “tempo critico” per rendersi conto che le suore fossero a posto che quel signore al telefono aveva detto una malignità”.

 

L’INCONTRO CON LAURA, LA COLLEGIALE DIVENUTA POI SUA MOGLIA

Nel 1955, ancora giovane e non laureato, Sergio Marrani sposa Laura Turrini, una giovane veneta sua coetanea e originaria di Sommacampagna (in provincia di Verona), che a Sansepolcro è venuta per studiare, vivendo all’interno di quel collegio Inadel del quale da convittrice sarebbe diventata più avanti istitutrice. Dal matrimonio sono nati cinque figli: Ornella, Marco, Sandro, Sandra e Francesca, racchiusi nell’arco di dieci anni. Ornella, la maggiore, vive da molti anni a Subbiano ed è la madre di Ilaria Mattesini, che lo scorso 26 maggio è stata eletta nuovo sindaco del Comune casentinese. Anche Sandra abita in Casentino, a Bibbiena, mentre Sandro si è trasferito da tempo a Milano per motivi di lavoro. I due rimasti a Sansepolcro e in via Giovanni Buitoni, accanto all’appartamento originario del padre e vicini alla madre Laura, sono Marco e Francesca. Dieci in totale i nipoti di nonna Laura, ai quali si sommano gli otto bisnipoti. E proprio alla signora Laura chiediamo in quale circostanza ha conosciuto colui che sarebbe poi diventato suo marito. “Vorrei partire con un antefatto: da ragazzina, nel 1940 – spiega - quando ero già convittrice a Sansepolcro, sono passata un giorno per combinazione proprio davanti alla casa nella quale allora non avrei immaginato di poter venire ad abitare una volta sposata e l’ho fin da subito apprezzata perché era diversa dalle altre di via Giovanni Buitoni. Gli occhi mi andarono subito sui pomelli lucidi della porta e sulle piante verdi. Ciò premesso, il nostro primo incontro risale a un giorno nel quale Sergio scendeva giù dal convento dei cappuccini assieme a al professor Fortunato Giubilei, insegnante di musica con problemi alla vista che aveva tenuto esecuzioni dentro il collegio; io ero in compagnia della mia sorella più giovane, che quel giorno indossava la divisa di convittrice. Lui indicò la convittrice al professore e lo seguì in collegio; poi però, quando passarono, Sergio – che da giovane aveva la fama di essere un tantino “galletto” - guardò me. Alla sera, siamo di nuovo uscite: porto mia sorella a fare una passeggiata per il corso e incrociamo di nuovo Sergio con il professor Giubilei; non appena lui mi vede e prosegue, io dico a mia sorella: “Vuoi vedere che questo si gira?” Abbiamo atteso qualche istante e puntualmente è andata così. In seguito, lui si è voluto informare su di me, che all’inizio non lo avevo guardato con lo stesso interesse suo e ricordo quando al pomeriggio aspettava che uscissi dal collegio. Ci siamo sposati dopo tre anni di fidanzamento”.

 

PASSIONI, CULTURA E TANTA MANUALITA’

E adesso, parliamo del Sergio Marrani uomo. Quali erano, per esempio, le sue passioni? “Il camper – risponde subito la figlia Francesca – tanto che dapprima aveva preso un vecchio furgone Volkswagen, poi un Mercedes e li aveva trasformati in camper. Lui e i miei fratelli avevano provveduto all’allestimento degli interni. Ma lui si ingegnava nel fare tutto, compreso l’orto. Era capace di rimediare a ogni situazione: quando partiva con il fare qualcosa di inedito, ci provava – questo è vero – ma si informava adeguatamente e allora gli riusciva qualsiasi cosa. Fantasioso ed estroso, era bravo anche come saldatore e addirittura raddrizzava i chiodi vecchi”. A chi somigliava di più, signora Laura, dei vostri cinque figli? “Fisicamente e anche come carattere, Sandro è quello che lo ricorda meglio. Come modo di fare e come manualità, il più vicino è senza dubbio Marco, che in passato ha fatto il pittore e prodotto pezzi in ceramica, mentre Sandro è tutto computer. A livello di titolo di studio, nessuno dei cinque figli gli “somiglia” e lo dico a mo’ di battuta per precisare che nessuno di loro si è laureato, traguardo che invece hanno raggiunto i nipoti, anche se lui è morto quando ancora erano molto giovani”. Ne ha parlato quando lo ha accostato a Sandro: che carattere aveva suo marito? “Era fondamentalmente un timido, che però cercava di vincere questo suo atteggiamento con una forma determinata, spesso persino aggressiva, però era dotato di indubbia intelligenza e intuito. Te ne accorgevi quando con abilità risolveva rebus e cruciverba, oppure parlava con disinvoltura le lingue tedesca e spagnola. Non solo: era sempre informato e aggiornato in tempo reale sulle normative riguardanti la sua professione, tanto che una volta si arrabbiò perché nel luogo in cui lavorava avevano disdetto l’abbonamento con la Gazzetta Ufficiale, strumento mediante il quale vengono divulgate tutte le leggi. Qualcuno dirà che era anche burbero: sì, è vero, ma dapprima lo era con sé stesso e poi gli altri, perché la correttezza e la rettitudine stavano per lui davanti a qualsiasi altra ragione. Ed è noto che persone del genere difficilmente risultino simpatiche di primo impatto. Allo stesso tempo, però, non era cattivo e non pensava male: in casa, non ricordo di averlo mai sentito sparlare e odiava chi in famiglia lo faceva, specie se prendeva per buono ciò che aveva sentito dire senza valutare se la fonte fosse stata attendibile o meno. Era infine attratto dalla buona cucina e sapeva stare bene in compagnia; diciamo che in un contesto di gruppo occupava il suo ruolo senza essere invadente”. E come si comportava con i figli? “Era severo – precisa Francesca - anche se poi diceva sempre: “Chiedilo alla mamma”. La decisione, insomma, la lasciava in mano sua. Se per esempio una sera avessi voluto uscire, lui mi avrebbe appunto risposto: “Chiedilo alla mamma”. Quando aveva scoperto che alcuni di noi figli fumavano di nascosto, ci ha dato direttamente lui la sigaretta. Magari, aveva un modo tutto suo per scusarsi senza però dirtelo direttamente. Un sabato sera, con la mamma che non c’era perché era tornata in Veneto a trovare i parenti, è successo che avevo chiesto a lui di uscire di sera e me lo negò. Rimasi in casa e poi andai a dormire; l’indomani mattina mi alzai presto e rifeci subito il letto, al contrario di mia sorella, che invece si era alzata più tardi. Come vide il letto tutto a posto, mio padre mi diede uno schiaffo, credendo che a letto non fossi andata e che gli avessi disobbedito. Fu allora mia sorella a raccontargli come le cose erano esattamente andate: io ero insomma andata a dormire e poi mi ero rifatta il letto. Non mi chiese scusa, ma mi portò a pranzo al vecchio ristorante “Piero della Francesca” e mi offrì anche una sigaretta. Ah, dimenticavo: è stato un nonno esemplare con i suoi otto nipoti, che ha conosciuto tutti”. Per quale motivo ricordare il dottor Sergio Marrani? “Credo che nelle migliaia e migliaia di bambini da lui vaccinati, oggi tutti adulti e anche sopra i 60 anni, sia rimasto dentro con senso di affetto quel “terrore” della loro infanzia che comunque sapeva essere anche ironico. A qualcuno non sarà rimasto simpatico, come del resto accade a tutti e per altre persone sarà stato il medico che gli negò questa o quella cosa, perché secondo lui non vi erano gli estremi. Al di là del sentimento che può aver suscitato fra le persone, una cosa è certa: mio padre, che peraltro ha sempre girato alla larga dalla politica, è stato un fedele tutore della legge senza favoritismi o discriminazioni di alcun genere, né della legge ha fatto abuso. L’ha semplicemente applicata in base a quelli che erano i dettami alla lettera. Si dice che la legge è uguale per tutti: nel suo caso, niente di più vero. Fuori dal lavoro, gli amici erano amici, ma nell’esercizio della professione erano comuni utenti da trattare con pari dignità. Non è semplice farlo: lui c’è riuscito e credo che questo sia il tributo migliore nei suoi confronti, anche a distanza di 24 anni dalla sua morte”.                                                

Redazione
© Riproduzione riservata
06/08/2019 10:46:43


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