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Il Papa a pranzo con 1500 poveri

Messa a San Pietro e menù senza carne di maiale

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Non va seguito «chi diffonde allarmismi e alimenta la paura dell’altro e del futuro», perché «la paura paralizza il cuore e la mente». «Eppure, quante volte ci lasciamo sedurre dalla fretta di voler sapere “tutto e subito”, dal prurito della curiosità, dall’ultima notizia eclatante o scandalosa, dai racconti torbidi, dalle urla di chi grida più forte e più arrabbiato, da chi dice “ora o mai più”. Ma questa fretta, questo “tutto e subito” non viene da Dio». Papa Francesco celebra nella basilica di San Pietro la Giornata Mondiale dei Poveri, la ricorrenza da lui indetta tre anni fa per dare voce a quelle fasce deboli poste ai margini della società, spesso schiacciate dalla “legge del più forte” o vittime di una «carità ipocrita», che per la Chiesa rappresentano invece un «tesoro» e i «portinai del cielo». 

Poveri di ogni età, provenienza, religione: «Il loro grido di aiuto» è «una chiamata a uscire dal nostro io», afferma Bergoglio che accoglie 1500 indigenti in Aula Paolo VI per condividere con loro il pranzo organizzato dal Pontificio Consiglio per la nuova Evangelizzazione. Un nuovo “dono” da parte del Papa che già venerdì aveva visitato a sorpresa il Presidio Sanitario solidale in piazza San Pietro, che offre cure gratuite a chi non può permetterselo, e, poche ore dopo, ha inaugurato un Centro accoglienza in Palazzo Migliori - a pochi passi dalla Basilica - dato in gestione a Sant’Egidio. 

Il Papa siede fianco a fianco con venti migranti, clochard, italiani in difficoltà, tra cui un uomo di Domodossola che lo accoglie al tavolo con il volto rigato di lacrime. Di tavoli nell’ex Aula Nervi ce ne sono altri 149, con circa cinquanta volontari vestiti in giacca bianca e pantalone nero pronti a servire e trattare con tutti riguardi gli ospiti: compreso quello di togliere dal menù la carne di maiale, per permettere a tutti, compresi i musulmani, di partecipare al convivio.

Molti dei poveri presenti al pranzo hanno partecipato in mattinata in Basilica alla messa del Pontefice che, nella sua omelia, ha messo i credenti in guardia dalla tentazione della «fretta», del «subito»: «Se ci affanniamo per il subito, dimentichiamo quel che rimane per sempre: inseguiamo le nuvole che passano e perdiamo di vista il cielo. Attratti dall’ultimo clamore, non troviamo più tempo per Dio e per il fratello che ci vive accanto. Com’è vero oggi questo! Nella smania di correre, di conquistare tutto e subito, dà fastidio chi rimane indietro. Ed è giudicato scarto: quanti anziani, quanti nascituri, quante persone disabili, poveri ritenuti inutili. Si va di fretta, senza preoccuparsi che le distanze aumentano, che la bramosia di pochi accresce la povertà di molti».

Come «antidoto» alla fretta Gesù Cristo propone a ciascuno «la perseveranza», che significa «andare avanti ogni giorno con gli occhi fissi su quello che non passa: il Signore e il prossimo». «Chiediamo per ciascuno di noi e per noi come Chiesa di perseverare nel bene, di non perdere di vista ciò che conta», dice il Papa, «questo è l’inganno della fretta».

Il secondo è «la tentazione dell’io»: il cristiano «non è un discepolo dell’io, ma del tu», «non segue, cioè, le sirene dei suoi capricci, ma il richiamo dell’amore, la voce di Gesù». E come si distingue la voce di Gesù? «“Molti verranno nel mio nome”, dice il Signore, ma non sono da seguire: non basta l’etichetta “cristiano” o “cattolico” per essere di Gesù. Bisogna parlare la stessa lingua di Gesù, quella dell’amore, la lingua del tu. Parla la lingua di Gesù non chi dice io, ma chi esce dal proprio io». 

Eppure, osserva Francesco, «quante volte, anche nel fare il bene, regna l’ipocrisia dell’io: faccio del bene ma per esser ritenuto bravo; dono, ma per ricevere a mia volta; aiuto, ma per attirarmi l’amicizia di quella persona importante». Invece la Parola di Dio spinge ad una «carità non ipocrita», «a dare a chi non ha da restituirci, a servire senza cercare ricompense e contraccambi». Allora possiamo chiederci: «Io aiuto qualcuno da cui non potrò ricevere? Io, cristiano, ho almeno un povero per amico?», dice Jorge Mario Bergoglio.

«I poveri sono preziosi agli occhi di Dio perché non parlano la lingua dell’io», rimarca, «non si sostengono da soli, con le proprie forze, hanno bisogno di chi li prenda per mano. Ci ricordano che il Vangelo si vive così, come mendicanti protesi verso Dio… Allora, anziché provare fastidio quando li sentiamo bussare alle nostre porte, possiamo accogliere il loro grido di aiuto come una chiamata a uscire dal nostro io, ad accoglierli con lo stesso sguardo di amore che Dio ha per loro». Perché «i poveri ci facilitano l’accesso al Cielo», sono i «portinai del Cielo» e «già da ora sono il nostro tesoro, il tesoro della Chiesa».

Papa Francesco torna sul concetto anche nella sua catechesi prima dell’Angelus in piazza San Pietro, durante la quale rimarca che: «I discepoli di Cristo non possono restare schiavi di paure e angosce; sono chiamati invece ad abitare la storia, ad arginare la forza distruttrice del male, con la certezza che ad accompagnare la sua azione di bene c’è sempre la provvida e rassicurante tenerezza del Signore». Dio, aggiunge, «ci chiama a collaborare alla costruzione della storia» e «la fede ci fa camminare con Gesù sulle strade tante volte tortuose di questo mondo, nella certezza che la forza del suo Spirito piegherà le forze del male, sottoponendole al potere dell’amore di Dio. L’amore è superiore, l’amore è più potente, perché è Dio: Dio è amore». 

Il Pontefice ricorda l’esempio dei martiri cristiani, quelli di oggi e di ieri, «i quali, nonostante le persecuzioni, sono uomini e donne di pace»: «Questo - dice - è il tesoro più prezioso che ci è stato donato e la testimonianza più efficace che possiamo dare ai nostri contemporanei, rispondendo all’odio con l’amore, all’offesa con il perdono. Anche nella vita quotidiana: quando noi riceviamo un’offesa, sentiamo dolore; ma bisogna perdonare di cuore. Quando noi ci sentiamo odiati, pregare con amore per la persona che ci odia». 

Dopo l’Angelus, il Papa ringrazia tutte le diocesi, le parrocchie e coloro che «hanno promosso iniziative di solidarietà per dare concreta speranza alle persone più disagiate»: «Questo deve testimoniare l’attenzione che non deve mai mancare nei confronti dei nostri fratelli e sorelle», dice, aggiungendo a braccio: «Ho visto recentemente, pochi minuti fa, alcune statistiche sulla povertà. Fanno soffrire! L’indifferenza della società verso i poveri…». Da qui una richiesta di preghiera silenziosa a tutti i fedeli riuniti nella piazza.

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
17/11/2019 20:24:54


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