M5S, Di Maio si dimette ma vuole ricandidarsi
Lascia la carica di capo politico del M5s e attacca Di Battista
Ventotto mesi fa cominciava la sua avventura di Capo politico. Ventotto mesi dopo, Luigi Di Maio molla l’incarico e concentra la sue energie sul ministero degli Esteri. È deluso, stanco, affaticato. Il fastidio per le continue liti interne e per il fuoco amico (di Alessandro Di Battista, per dire) viene fuori di continuo nel suo discorso. «Deve finire l’epoca in cui alcuni stanno nelle retrovie e vengono al fronte solo per pugnalare alle spalle rilasciando un’intervista o mettendo un post su Facebook». Ma in realtà Di Maio non intende affatto mollare. Lo lascia capire quando dice che il suo non è un addio e che a maggio farà la campagna referendaria per difendere il taglio dei parlamentari. Guarda caso il tempo in cui si sceglierà chi sarà il nuovo Capo politico. Ai ministri, l'altra mattina Di Maio ha spiegato che vuole arrivare agli Stati generali del movimento, previsti per marzo a Torino, senza il pesante fardello di Capo politico (da oggi il reggente sarà Vito Crimi) e capo delegazione al governo. Vuole essere libero di manovrare senza essere perennemente sotto accusa, tantomeno crocifisso per i rovesci elettorali delle Amministrative. «Ci sarò e vorrei portare qualche idea innovativa». Il messaggio principale del discorso, però, che ha detto di avere iniziato a scrivere un mese fa e che ha limato per 4 ore prima di andare sul palco, è un pesantissimo atto di accusa su un movimento che non riesce a maturare. E perciò «chiedo almeno un po’ di pudore». Lo chiede a chi «dopo aver ottenuto un incarico grazie a quelle regole, le mette in discussione». Cita i candidati nei collegi uninominali, «quindi calati dall’alto», che ha sentito dire «che le regole non vanno calate dall’alto».
Cita le giravolte dell’ex ministro Lorenzo Fioramonti e «com’è che una volta entrato, cominci a polemizzare e te ne vai al gruppo misto, dicendo che sei scontento di questo governo, ma sempre dal gruppo misto continui a votare la fiducia a questo governo? Un manuale di psichiatria». Allude all’espulso Gianluigi Paragone che faceva il diavolo a quattro contro l’Europa, nonostante la campagna elettorale del 2018 escludesse un’uscita dalla Ue e così «tutti quelli che sono stati eletti in questa legislatura ed hanno partecipato a quella campagna lo sapevano. Perché ora vengo accusato di non volere uscire dall’Unione europea e dall’euro?». Nonostante l’orgoglio, è un uomo ferito e arrabbiato che non ha nascosto il lato umano. «Non vorrei apparire uno sprovveduto». «Anche i nostri stessi attivisti, in piazza spesso mi dicono: fatti furbo, non ti far fregare». «Per restare umani e non diventare carogne, bisogna riuscire nell’impresa più difficile: fidarti di chi non conosci». «Non mi sento un ingenuo, ma preferisco passare per tale piuttosto che essere considerato un imbroglione».
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