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Sarraj si ritira dai colloqui di pace. Erdogan: lo aiuto a prendere la Libia

Il bombardamento di Haftar fa saltare la tregua. Mosca: difendere l’integrità territoriale

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Il maresciallo Khalifa Haftar bombarda il porto di Tripoli, e rischia di fare un massacro quando una nave carica di gas liquefatto viene sfiorata dai proiettili, dopodiché il governo di Fayez al-Sarraj (nella foto) si ritira dai colloqui di pace a Ginevra, con l’appoggio del presidente turco Recep Tayyip Erdogan che si dice pronto ad aiutarlo a riprendersi «tutta la Libia» e critica la missione dell’Unione europea intesa a far rispettare l’embargo sulle forniture di armi. Lo spiraglio di pace aperto dalla conferenza di Berlino e dalla mediazione dell’Onu è tornato a chiudersi ed è soprattutto il raid di martedì pomeriggio contro le navi nel porto della capitale ad aver acceso di nuovo il conflitto. L’esecutivo guidato da Al-Sarraj ha annunciato il ritiro dai colloqui «fino a quando non saranno adottate posizioni ferme contro l’aggressore e le sue violazioni». Haftar è volato a Mosca dove ha incontrato il ministro della Difesa, Serghej Shoigu, i due hanno ribadito che la crisi può essere risolta solo attraverso «un processo politico» e che «l'integrità territoriale» della Libia va rispettata.

I negoziati di Ginevra puntavano anche a riportare la fiducia fra gli ufficiali militari dei due schieramenti, per arrivare a una tregua permanente, in attesa di una soluzione politica che porti alla riunificazione del Paese. Ma sia Haftar che Al-Serraj sembrano credere alla possibilità di poterci arrivare con la forza. Le forze fedeli al maresciallo hanno sostenuto che i colpi di artiglieria erano diretti contro una nave cargo «carica di armi e munizioni», che avrebbe «violato l’embargo» deciso dalle Nazioni Unite. Il governo Al-Sarraj ha replicato che in porto c’erano soltanto mercantili civili e ha accusato Haftar di «crimini di guerra». In questo frangente sembra dargli ragione l’Onu che ieri ha espresso «una forte condanna» del bombardamento, anche perché poteva provocare «un altro numero di vittime», e un «disastro» se avesse colpito una nave di gas.

La missione delle Nazioni Unite in Libia ha anche lanciato una appello per «la fine dell’escalation» e ha invitato a «riprendere il dialogo» come unica «via di uscita dalla crisi». È anche la posizione dell’Unione europea, che spera di togliere carburante al conflitto con lo stop ai rifornimenti militari. Dall’inizio dell’anno un fiume di armamenti sono arrivati a Tripoli via mare e a Bengasi via cielo. La missione aeronavale europea non sembra però convincere nessuna delle due parti. Ieri il ministero degli Esteri di Tripoli ha giudicato il piano «destinato a fallire, nella forma corrente», soprattutto per quanto riguarda il controllo delle «frontiere nell’Est», cioè con l’Egitto, il principale alleato di Haftar assieme ad Arabia Saudita ed Emirati.

Il riferimento è al «ponte aereo» che rifornisce il maresciallo. I siti specializzati nel tracciare le rotte aeree hanno notato martedì l’arrivo un nuovo volo cargo dal Golfo verso la Cirenaica. È un aereo da trasporto Il-76 della Jenis Air, protagonista di arrivi quotidiani nelle settimane scorse, tanto che il totale dei voli da inizio anno sale a 63. I turchi invece hanno inviato almeno una nave cargo carica di blindati e artiglieria e anche dispiegato consiglieri militari, difese anti-aeree e droni nella capitale libica, oltre ad aver inviato 2500 miliziani siriani prelevati dalla provincia di Idlib, mentre Haftar è accusato di usare mercenari sudanesi e ciadiani.

Segnali di un “build-up” militare per un’ultima, tremenda battaglia destinata a decidere il futuro della Libia. Lo ha fatto capire anche lo stesso Erdogan. Ieri ha avvertito che se «una soluzione equa» non fosse raggiunta ai colloqui, appoggerà il governo di Tripoli nel suo sforzo di riprendere il controllo di tutto il Paese.

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
20/02/2020 07:50:47


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