Il peggior momento dal 1929. L’Fmi prevede: “Crisi globale per il coronavirus”
In Italia il Pil crollerà del 9% Il nostro Paese ultimo del G7
La peggiore crisi dalla Grande Depressione e, soprattutto, la peggiore crisi sistemica di sempre, la prima realmente globale e che non risparmia nessuno. Il Fondo monetario internazionale quantifica il disastro generato dall’epidemia di coronavirus. L’impietosa radiografia che emerge nell’aggiornamento del World Economic Outlook, il rapporto sullo stato di salute dell’economia del Pianeta, è quella di una contrazione del Pil globale nel 2020 del 3%, con perdite complessive pari quasi 9 mila miliardi di dollari fra il 2020 e il 2021, più della somma delle economie di Giappone e della Germania. Ma anche quella di una mappa della crisi che colpisce alcune realtà più di altre, come l’Italia che quest’anno vede la crescita calare del 9,1%. Il crollo condanna il Paese ad essere fanalino di coda del G7 e la seconda peggiore economia della zona euro (che nel 2020 calerà del 7,5% per poi salire del 4,7% nel 2021), Peggio dell’Italia soltanto la Grecia con un Pil in calo del 10%. Secondo il Fmi, nel 2021 per l’Italia è però prevista la ripresa, con una crescita del 4,8% su base annuale. Rispetto a gennaio 2020, le previsioni sono state riviste al ribasso del 9,6% per l’anno in corso, mentre quelle per il 2021 sono state alzate del 4,1%.
Lo tsunami Covid-19 ha pesanti conseguenze sul mercato del lavoro nazionale col tasso di disoccupazione che nel 2020 salirà al 12,7% dal 10% del 2019, a causa del “lockdown” delle attività economiche. Il Fmi stima un tasso in calo al 10,5% nel 2021. La media di Eurolandia è del 10,4% per quest'anno e dell’8,9% il prossimo. La geografia della crisi è chiara, e anche le risposte, secondo il Fmi: «Occorre un significativo sostegno europeo mirato e complementare agli sforzi nazionali». Nella sessione inaugurale degli incontri primaverili del Fmi, quest’anno tenuti in remoto a causa dell’epidemia, Gian Maria Milesi-Ferretti, vice direttore del dipartimento ricerche, ha affermato che l’Europa risulta più colpita dalla peste pandemica a causa della pronunciata «apertura ai commerci globali» e alla pre-esistenza di dati che ne evidenziano vulnerabilità.
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