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In Spagna il coronavirus potrebbe dare il colpo di grazia alla corrida

Gli allevatori chiedono allora aiuti di Stato

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Il diffondersi della pandemia da coronavirus potrebbe mettere la parola fine sulle corride spagnole. Il condizionale è d’obbligo per una tradizione che dura da così tanto tempo e resiste alle sempre più frequenti proteste animaliste. Quel che è certo è che l’industria che vede la morte del toro al centro dei guadagni è estremamente in difficoltà: il confinamento delle persone e il conseguente blocco delle attività è arrivato proprio nel periodo dell’apertura della nuova stagione delle corride. 

Se venisse rispetta la distanza prescritta di nove metri quadrati fra gli spettatori, una corrida non avrebbe un guadagno sufficiente per essere fatta: in un’arena da 10.500 posti si calcola che potrebbero trovare posto solo 400 persone. Un settore che, secondo le stime delle associazioni locali, registrerebbe perdite di almeno 700 milioni di euro per gli eventi cancellati e l’impatto sugli allevamenti.

In un primo momento gli animalisti hanno cantato vittoria, ma ora il destino di quei 120 tori sottratti alle abilità dei matador potrebbe non essere così felice: gli allevatori hanno chiesto un aiuto di Stato senza il quale gli animali verrebbero mandati al macello.

Si calcola che allevare un toro da corrida può costare sino 5000 euro (come costo totale prima di venire ucciso), quasi dieci volte di più del valore della sua carne. Per questo gli allevatori hanno chiesto un aiuto del ministero della Cultura a cui compete la tauromachia: «Abbiamo solo chiesto l'aiuto che tutti gli spettacoli culturali in Spagna e in Europa chiedono – spiega Victorino Martin, dell'associazione degli allevatori – . I promotori organizzano gli eventi, ma in situazioni come quella di adesso le assicurazioni non rispondono». E sembra che da parte del governo stia arrivando qualche segnale: «Il ministro ci ha chiamato e siamo sicuri che ci assisterà. È il momento del buon senso, della lealtà e dell’attesa – spiega ancora Martin – . Dobbiamo partire dal fatto che è l’unico patrimonio culturale che non solo non riceve sussidi dai bilanci generali, ma paga anche cifre astronomiche per l’affitto di locali statali e che i media pubblici lo ignorano nonostante sia il secondo spettacolo di massa nel paese».

Una richiesta che vede la forte opposizione degli animalisti che sperano in una definitiva fine di questa pratica, ricordando che nel 2015 il parlamento europeo ha votato un testo che nega aiuti pubblici agli spettacoli che comportino maltrattamenti agli animali: «Come in Spagna in tutto il mondo gli aiuti pubblici e gli sforzi dei governi dovrebbero essere rivolti alla protezione della salute, del lavoro, allo sviluppo delle piccole imprese e del lavoro autonomo, ad aiutare le famiglie più vulnerabili e garantire i servizi essenziali. Che ovviamente non includono le corride» spiega Aida Gascon Bosh, dell’associazione Anima Naturalis, aggiungendo: «Anche se i tori finiranno ugualmente sacrificati, almeno nessuno trarrà utili dallo spettacolo di crudeltà».

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
22/05/2020 08:44:31


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