Addio ad Adin Steinsaltz, il rabbino che rese il Talmud accessibile a tutti
A lui si deve la traduzione in ebraico di tutto l’immenso corpo talmudico
Dice la tradizione ebraica che i grandi uomini muoiono di Sabato, come per un bacio di quel giorno santo che è prefigurazione del mondo a venire, il futuro messianico dove solo il bene regnerà. Rabbi Adin Steinsaltz se n’è andato invece quest’oggi, come per un ultimo gesto di quella modestia che ha improntato tutta la sua vita di grand’uomo. Era un rabbino nel senso più pieno del termine: uno studioso, un maestro. A lui si deve la traduzione in ebraico di tutto l’immenso corpo talmudico, servita da modello per altre traduzioni contemporanee come il russo, il francese e l’inglese non ultima quella in corso in italiano.
E davvero rabbi Steinsaltz navigava in quello che l’ebraismo chiama “mare” – l’insieme dei testi della cosiddetta “Torah orale” che è tutta la tradizione – come fosse il suo spazio domestico, il suo rifugio, il suo territorio di vita e parole.
Era nato a Gerusalemme nel 1937, figlio di due genitori laici – suo padre, fervente comunista, nel 1936 era persino andato a combattere il Spagna durante la guerra civile. Ma già da adolescente si avviò lungo il cammino del baal teshuvah, cioè letteralmente di colui che “è capace di far ritorno” alle radici di un’esistenza dettata dalla fede e dall’osservanza. Era una mente fervida e prodigiosamente eclettica, la sua: accanto agli studi religiosi portò avanti matematica, chimica e fisica. A 23 anni divenne il più giovane preside di scuola in Israele. Ancora nel 1965 fondò quell’istituto per la pubblicazione dei testi talmudici che lo accompagnerà per tutta la vita.
Era un grande maestro davvero, appassionato di quella parola che purtroppo perse nel 2016 in seguito a un ictus. Ha saputo creare una vera e propria scuola, fatta tanto di discepoli quanto di discendenza familiare: uno dei suoi figli, Meni, ha raccolto degnamente l’eredità intellettuale del padre e ormai da anni manda avanti l’istituto. Ma non era un uomo facile e nemmeno semplice, rabbi Steinsaltz: amava la discussione, come ogni rabbino che si rispetti, e proprio nel dialogo, nel confronto non di rado acceso trovava terreno fertile per la riflessione. Non amava le ipocrisie di sorta, e praticava una sincerità intellettuale che mai si arrendeva, nemmeno quando metteva in guardia dal nutrire troppe aspettative verso il dialogo interreligioso. Le fedi diverse arrivano inevitabilmente a un punto in cui s’impone l’aut/aut o il silenzio di una convivenza che per essere pacifica non può che constatare l’inconciliabilità.
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