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Mondo Economia: la famiglia Betti, storici macellai di Sansepolcro

"Con il Covid abbiamo avuto un calo di fatturato del 30%"

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Assieme ai fratelli Daniele e Stefano e con l’aiuto della madre Nadia, è titolare dal 1978 de “La Bottega delle Carni”, macelleria nel cuore del centro storico di Sansepolcro. Paolo Betti racconta l’esperienza del periodo legato alla seconda ondata del Covid-19 fra luci e ombre che lo caratterizzano. 

Betti, cosa è cambiato per la vostra attività dopo le ultime disposizioni governative che hanno istituito zona arancione e zona rossa in Toscana?

“Sostanzialmente nulla, nel senso che il movimento è sempre quello. È inutile stare aperti se poi la gente non circola. Vi sono peraltro categorie più penalizzate della nostra e poi i negozi di abbigliamento sono chiusi, i turisti di questi tempi non ci sono, le persone in giro scarseggiano e adesso ci si mette anche il freddo, ma credo che il fatto più preoccupante sia un altro: la gente è terrorizzata più del dovuto. Si è innescato un meccanismo che deve sbloccarsi al più presto, altrimenti non si riparte”.

Ma i vostri clienti di fiducia li avete almeno mantenuti?

“Sì, relativamente a Sansepolcro, perché ne abbiamo per esempio anche a Pieve Santo Stefano e a Città di Castello e adesso non si muovono. Siamo già fortunati perché lavoriamo; c’è stato un calo del 30% negli incassi rispetto agli anni passati, ma lo ripeto: non ci lamentiamo”.

Avete attivato qualche servizio particolare per venire incontro ai clienti in questo momento?

“No, perché intanto la maggioranza delle persone si reca qui in macelleria e, se ce lo chiedono, procediamo con le consegne a domicilio, servizio che comunque garantivamo anche prima. La differenza rispetto a prima è un’altra: chi si serve da noi ha preso l’abitudine di fare le scorte di carne, anche se io poi a questi clienti rispondo: “Nessuna preoccupazione, noi non chiudiamo”. Il problema è che la psicosi del virus ha portato anche a questo”.

Si parla con insistenza di nuovo centro commerciale nella zona industriale di Santafiora. Lei cosa ne pensa, visto che gli esercenti del centro storico (ma anche diversi cittadini) non solo assolutamente d’accordo?

“Se lo vogliono aprire, che facciano pure. Mi ricordo che già quando aprirono il primo, successe in un certo senso la stessa cosa e ora siamo arrivati a 7-8. Vorrà dire che alla fine si faranno la guerra fra loro, poi vi sarà chi regge e chi annaspa, perché alla fine si va verso questa direzione. Il centro storico può subire questo, ma può anche rispondere alla sua maniera”.

E allora, ha ragione chi sostiene che il rilancio del centro storico deve essere impostato su un preciso progetto, al di là degli insediamenti commerciali presenti fuori dalle mura?

“Dico che in larga parte sta così, anche se la tendenza al decentramento stimola la gente ad andare all’esterno, perché magari c’è un parcheggio più comodo. Ecco perché, già in precedenza, avevo sollevato l’opportunità di ripristinare il parcheggio in piazza Torre di Berta: una ventina di posti, con sosta regolamentata, potrebbe essere già un segnale molto indicativo. In secondo luogo, il centro storico può risollevarsi se propone come offerta tutto quello che non esiste nella grande distribuzione: alludo cioè al prodotto tipico, alimentare in primis e non solo a quello. Se riapriamo i vecchi negozi sfitti, dobbiamo pensare a un qualcosa di attrattivo per il turista, ma anche per il biturgense”.

Punti di forza e punti di debolezza del nuovo piano del traffico, in vigore da febbraio?

“Non ha rivoluzionato l’impostazione di fondo, anche se – parere strettamente personale – mi pare che abbia migliorato la scorrevolezza. Prendo l’esempio mio che vivo sul versante di Porta Romana: con le nuore regole, posso entrare in via Niccolò Aggiunti e uscire evitando il semaforo con la deviazione in via Santa Caterina. E poi, lo ripeto: rimettere il parcheggio in piazza aiuterebbe il commercio dentro le mura”.   

Redazione
© Riproduzione riservata
24/11/2020 09:20:06


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