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I “passatempi” nel tempo

Ricordi del popolo di Sestino

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Non occorre riandare ai “ludi  circenses”, scolpiti in travertino nell’ Antiquarium nazionale  di Sestino,  per ricordare come il popolo, la gente passava il poco tempo libero, prima dell’arrivo della TV e degli smartfone. La rivoluzione  vera è  avvenuta nell’ultimo Novecento. E chi è vissuto un po’ di decenni in quel secolo ha visto il rifiorire - dopo le guerre - dei “giochi popolari” e poi il loro tramonto. Lontani, ora, nella memoria, come i ludi circenses.

La “piazza” era i teatro delle “morra”, ma ogni momento di ritrovo affollato era l’occasione per squadernare le dita volpinamente e gridare una decina di numeri. L’osteria - ancora non era  germinato il bar - piena sempre di volti e cappelli,di uomini e donne nei giorni fiera, raccoglieva adunate per il gioco delle carte, con “moccoli” in caso di perdita e  boccali di vino in compagnia.

Ma – tra giocosi e  sportivi – all’aperto iniziò a dominare il “gioco delle bocce”: non  c’era osteria, vendita di alimentari, circolo ricreativo, che  non avesse  accanto il “pallaio”. E con qualche anno sulle spalle, si arrivò anche a costruire - per esempio nel capoluogo di Sestino - il “bocciodromo”. Nell’estate il ritorno degli emigrati riempiva di gare pomeriggi festivi e non.

 Il pallone era la disfida più generale.Campi sportivi, senza badare sempre ai metri quadrati, sorsero ovunque: due a Sestino capoluogo, con gradinate; uno a Monterone e parimenti a Colcellalto, Ponte Presale; campetti a Petrella, S.Gianni: ma  bastava un campo sodo, un’area sul limitare di una strada per fare partita: primi “campionati” intercomunali, frazioni contro capoluogo, uomini contro  donne, scapoli e ammogliati…. Non c’era guerra di genere ma “gare di genere”. Mentre i  giovanotti muscolosi  si cimentavano nel “tiro  alla  fune”, guardinghi sguardi femminili facevano  da  contorno.

In una società dove la “doppietta” era arma popolare e di famiglia, la “modernità” portò al “tiro  al piattello”: Gare di precisione come nel lungo  medioevo i “palii di tiro con l’arco”, a Sestino  finanziati da Papa Paolo III nel 1465.

Sorsero - ma non ebbero lunga  durata - le “corse dei carretti di legno”: un campionato - anche questo - interfrazionale. Ecologico quanto mai, perché di gasolio e gomme non c’era bisogno  ma le tifoserie rumorose. E di carretti di legno e biciclette di legno si armavano anche i ragazzi, nelle  aie solatie, nei vicoletti dirimpetto alle case e ai capanni, mentre gli adulti facevano la pennichella e le mamme lavoravano  al telaio.

Passatempi passati. Dal piattello nasce il ramo tutto contemporaneo della “caccia  al cinghiale”. Nei pomeriggi di fine settimana le strade verso i boschi, il Sasso  di Simone, i campi  collinari, si riempiono di cacciatori  e  anche  cacciatrici. Decine di fuoristrada attrezzatissimi sfilano su e giù; giacconi d’ordinanza, cani addestrati a lungo. Fucileria  moderna.  Verso  Presciano il centro  di  smistamento  della  carne.

E, soprattutto nelle ore  mattutine, file di “donne al guinzaglio”: cordicelle   tirate  da cani che  cercano  di  sfuggire alle mani femminili: pastori  tedeschi ,buklldog inglesi, mastini, incroci… Uno “sport  salutista”  tutto moderno, a  corde  tirate, che fa pace con i cani una volta, solo da caccia, da guardia, da pastori.

Il mondo è cambiato anche nel piccolo, nelle gesta quotidiane, nei rapporti uomo/animali, nel lavoro e nel tempo libero: ai veglioni dell’ultimo dell’anno- ad esempio –frequentatissimi nei locali teatri, oggi prevalgono le serate, lontane, in discoteca.

Per l’ultimo dell’anno - ad esempio - nelle  campagne prevalevano riunioni nelle case, in quelle più amichevoli o che potevano assicurare una pastasciutta, a mezzanotte, fatta sulla  spianatoia, boccali di vino a volontà e, a volte, per carne un piatto  di  carne di gatto. E naturalmente  un  “organetto” per dare tempo ai balletti tra mariti, mogli e probabili  fidanzate.

Nel buio della notte, con la neve già alta dappertutto, si incominciavano a vedere grappoli di  lucine in movimento: le acetilene o le lanterne con le  candele dentro, facevano illuminazione ai passi che per strada si  raggruppavano, verso un finale condiviso.  Uno spettacolo, nel buio, tra il biancore della neve, il freddo che pungeva, il vento – spesso- che accumolava “refeni” di neve sugli  stradelli da percorrere. Ma la serata era allegra, la compagnia assicurata, e il nuovo anno veniva salutato al termine della tavolata e dei fiaschi da riempire spesso, in cantina.

Un  “buonanno”, con il nonno appisolato sulla “carega”, e le lanterne  riprendevano la  strada nel buio fitto.  Qualcuno, come “Gigiarra”, dormiva sulla neve da  qualche parte, riscaldato dal vinello in corpo, e faceva “buongiorno” al nuovo anno,  al  risveglio, agli albori dominati  dalla nebbia.

(Giancarlo  Renzi)

Redazione
© Riproduzione riservata
30/12/2021 13:19:23


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