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Prato, professoressa incinta dell’allievo 14enne: confermata la condanna a 6 anni e 5 mesi

Assolto con formula piena il marito, per essersi attribuito la paternità del neonato

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Sei anni, cinque mesi e quindici giorni. È una condanna di fatto identica al primo grado quella che la corte d’appello di Firenze ha inflitto alla trentaquattrenne di Prato, riconosciuta colpevole di violenza sessuale per aver avuto un figlio con un ragazzino tredicenne al quale dava ripetizioni di inglese. Il marito della donna, invece, è stato assolto: il tribunale lo aveva condannato a un anno e otto mesi per «alterazione di stato», per essersi attribuito la paternità del bambino pur sapendo, secondo le ipotesi dell'accusa, che non era suo.

La donna, un'ex operatrice sanitaria trentenne all'epoca dei fatti, ha assistito alla lettura della sentenza in aula insieme al compagno. Poi la coppia ha lasciato il palazzo di giustizia in silenzio, a braccetto. «Aspettiamo di leggere le motivazioni della decisione - hanno dichiarato gli avvocati Mattia Alfano e Massimo Nistri, che assistono i due coniugi di Prato - Fin dall'inizio sapevamo che questo processo si sarebbe celebrato in tre gradi di giudizio".

L'indagine nacque nel 2019 da una denuncia dei genitori del ragazzo che appresero, dopo che il figlio si era sfogato con un allenatore, dell’esistenza della relazione tra il figlio e l’insegnante. La prova del Dna ha attribuito all'adolescente la paternità del figlio avuto dalla donna che dopo l'esplosione dell'indagine venne posta anche agli arresti domiciliari.

Le carte
Fra le testimonianze più drammatiche contenute nelle carte dell’inchiesta c’è l’incontro tra la mamma dell’adolescente, l’istruttrice e la direttrice della palestra che il ragazzo frequentava insieme con l’accusata. L’istruttrice racconta di aver avuto un incontro con la mamma del ragazzino, che frequentava la palestra da quando aveva cinque anni, durante il quale chiedeva aiuto a lei e alla direttrice perché aveva notato qualche atteggiamento strano del figlio.

La preoccupazione della madre

«Ci disse che la sera prima aveva saputo che chattava con frequenza assidua con una donna madre di un altro mio allievo – racconta l’istruttrice - e ci chiese di organizzare un incontro per capire bene la natura del rapporto tra il figlio e la donna». L’incontro con il ragazzo viene organizzato in ufficio e l’istruttrice, alla presenza della mamma dell’adolescente, chiede che tipo di rapporto avesse con questa signora. «Lui mi rispose che la sentiva perché lei frequentemente minacciava di ammazzarsi e quindi cercava di sostenerla e tranquillizzarla. – racconta l’istruttrice -. Gli dissi che era strano che parlasse con lui e non con uno psicologo».

Dalle confidenze ai ricatti
L’istruttrice chiede al ragazzo per quale motivo la donna parlasse solo con lui e non con gli altri allievi del suo corso. «Si vedeva che era nervoso. Notai immediatamente che non stava dicendo tutta la verità». Al ragazzino viene chiesto di mostrare tutta la chat ma lui dice di averla cancellata. A quel punto la mamma e l’istruttrice gli suggeriscono di portare il telefonino dal gestore per avere l’elenco di tutte le conversazioni. «Lo vidi ancora più nervoso. – dice l’insegnante sportiva -. Gli dissi che in quell’ufficio erano presenti due delle donne più importanti della sua vita in quel momento, ovvero la madre, di cui doveva fidarsi, e io, che sono quella che lo sta facendo arrivare a buoni livelli e gli sta assicurando un futuro sportivo importante. Cercai di rassicurarlo e di farlo sentire libero di parlare. Gli chiesi allora di chi fosse il figlio più piccolo della donna, visto che lei non faceva mistero che il padre non fosse il marito». Il ragazzino inizia a piangere e a urlare confessando che la donna gli aveva rivelato che era lui il padre e che quella donna gli aveva rovinato la vita. «Raccontò che la donna aveva scritto su Facebook di essere incinta e lui, spaventato dall’eventualità di poter essere il padre del bambino, l’aveva chiamata ma gli aveva detto di non preoccuparsi perché il bambino era figlio del marito. Ma poi, a gravidanza ormai avanzata, aveva confessato che in realtà il piccolo che portava in grembo era suo. A quel punto l’aveva pregata di abortire, ma lei gli aveva detto che oramai era tardi».

Quella folle gelosia
Dall’inchiesta emerge anche un’ossessione della donna per l’adolescente al quale promette di volersi separare. E la gelosia la attanagliava. Diventa una furia  quando vede il ragazzino su Facebook con un’amica di scuola. «Ora so per certo che ami una persona – scrive via chat al ragazzo – e quindi non capisco se ami questa cosa tu ci faccia da me, veramente») e gli rimprovera di andare da lei solo per avere rapporti sessuali. Lui gli risponde di essere all’esasperazione, lei risponde che incontrarsi sapendo che lui ama un’altra la fa arrabbiare, ma si dice pronta a consigliarlo. Il ragazzo prova a resistere e lei alla fine dice che allora non vuole vederlo più perché non sa con chi fa sesso. «Sono stanca va a finire che mi ammazzo», scrive. E il giorno dopo ribadisce che «mi sa che stavolta prendo coraggio devo solo trovare un modo quasi indolore, la vita non ha mai fatto per me, da quando ti amo più che mai, però ecco, ci tengo a rivederti». E la sera ribadisce che ha trovato una soluzione per uccidersi: «Mi sparo aria in vena».

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
17/05/2022 20:05:37


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