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Brasile, 156 milioni di elettori al voto

Bolsonaro VS Lula: referendum su democrazia ed economia

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Oltre 156 milioni di brasiliani sono chiamati oggi a votare non solo per le presidenziali – con il duello tra il presidente in carica, Jair Bolsonaro, e l'ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva – ma anche per il rinnovo del Congresso, con i 513 deputati della Camera e gli 81 membri del Senato. Si svolgono anche le elezioni nei 27 territori che formano il Brasile, sia per i governatori che per gli organi legislativi.
In Brasile, il voto è obbligatorio per i cittadini alfabetizzati – un 10% di brasiliani è ancora analfabeta – di maggiore età, con piena capacità legale, ma è facoltativo tra i 16 ed 18 anni e dopo i 70. Al primo turno del 2018 l'affluenza è stata dell'80%. Chi non si reca alle urne rischia una multa. Le elezioni in Brasile si svolgono sempre la prima domenica di ottobre e per le presidenziali e le elezioni dei governatori il ballottaggio, necessario se nessun candidato raggiunge il 50%, è previsto per l'ultima domenica, quest'anno il 30 ottobre.
Anche se l'attenzione è tutta concentrata sul duello Lula-Bolsonaro, ci sono altri nove candidati presidenziali, tra i quali l'ex ministro Ciro Gomes e la senatrice Simone Tebet, anche se nessuno appare avere i numeri nei sondaggi per costituire un’alternativa a due principali sfidanti. Il Brasile utilizza un sistema di voto elettronico e si prevede che i risultati del primo turno delle presidenziali si sapranno nel giro di ore dopo la chiusura delle urne domenica sera. L’inizio del nuovo mandato presidenziale è previsto per il primo gennaio del 2023. Anche l'insediamento del nuovo Congresso avverrà il prossimo anno, con l'attuale legislatura che si chiuderà il 31 gennaio.

La sfida tra Jair Bolsonaro e Luiz Inacio Lula da Silva
Gli elettori dovranno sancire il duello tra il presidente uscente Jair Bolsonaro e Luiz Inacio Lula da Silva, l'ex presidente rimasto in carcere per 580 giorni e poi scagionato da ogni accusa dalla Corte Suprema. Gli ultimi sondaggi indicano un netto vantaggio per l'ex sindacalista e popolare ex capo di Stato 76enne, accreditato del 48-50% nelle intenzioni di voto contro il 34% per il suo grande rivale, tanto che alcuni ipotizzano possa vincere al primo turno senza aspettare il ballottaggio del 30 ottobre.
Bolsonaro si prepara ad accogliere la sconfitta instillando dubbi sul funzionamento del voto elettronico e sui funzionari elettorali e accusando il suo sfidante di essere un ladro corrotto. «È un nuovo tipo di ladro, quello che vuole rubare le nostre libertà, se necessario, andremo in guerra», ha minacciato nei giorni scorsi in uno dei suoi comizi, evocando i fantasmi, sempre dolorosi in America Latina, di un golpe. O forse una riedizione più moderna sul modello della contestazione dei risultati elettorali del suo grande alleato ideologico Donald Trump, sfociata nell'assalto al Congresso del 6 gennaio.
In questi mesi le presidenziali si sono, quindi, trasformate in una sorta di referendum sulla democrazia, 37 anni dopo che la nazione più grande dell'America Latina ha rovesciato la dittatura militare. A scontrarsi sono i sostenitori dell'uomo forte e quella che i sondaggi descrivono come maggioranza dei brasiliani che vogliono mettere fine al suo governo.
Eletto nel 2018, dopo che Lula – anche allora in vantaggio nei sondaggi fino al momento dell'arresto – è stato condannato a 12 anni per corruzione, Bolsonaro è stato accusato della drammatica accelerazione della distruzione della foresta amazzonica, con la deforestazione aumentata del 75,6% e gli incendi del 24%, e di aver incoraggiato l'uso eccessivo della forza da parte della polizia. Ma è soprattutto la sua reazione alla pandemia del Covid che ha suscitato enormi proteste interne, con una politica che ha sminuito e addirittura ridicolizzato l'allarme per quella che definiva una «piccola febbre», rifiutando di varare misure a livello federale. Dopo che l'opposizione e decine di migliaia di dimostranti hanno chiesto l'impeachment, nell'ottobre del 2021 una commissione del Senato lo ha accusato di crimini contro l'umanità per aver provocato 600mila morti per Covid con la sua cattiva gestione ed il ritardo sui vaccini.
C'è poi chi lo accusa di aver minato le fondamenta della giovane democrazia brasiliana, riempiendo posti chiave con militari, dichiarando guerra alla Corte Suprema e infilando suoi fedelissimi nelle procure e in polizia. Senza contare le sue dichiarazioni ultra reazionarie su gay, le questioni di genere, il razzismo, gli indios, l'ambiente, la violenza sessuale.
«È in gioco in questo momento la scelta tra democrazia e barbarie», ha detto in uno dei suoi comizi Lula, iconico leader della sinistra latinoamericana che, forte dei suoi dieci punti di vantaggio, si è mosso su posizioni più centriste. Ma è in gioco anche l'indirizzo futuro della principale economia dell'America Latina. La scelta è tra il liberismo sfrenato di Bolsonaro e l'indirizzo progressista ed interventista di Lula, che ha garantito il successo dei suoi primi due mandati da presidente, dal 2003 al 2011. Anni che sono stati caratterizzati da una serie di programmi sociali, come Bolsa Familia o Fame Zero, che hanno permesso a 20 milioni di brasiliani di uscire dalla povertà estrema e portato la disoccupazione a livelli minimi.
In realtà, giocava in suo favore una congiuntura favorevole e di crescita economica, con il Brasile che dall'inizio del 21esimo secolo si è imposto sul mercato globale grazie al boom materie prime ed alimenti, in particolare verso la Cina affamata di risorse. Il Paese passò da 13esima a settima potenza economica mondiale. Uno slancio che permise al Brasile, raro caso del mondo, di superare indenne la crisi finanziaria del 2008, continuando a mantenere un ritmo di crescita tra il 5-6%, fino al 2014, quando lo scenario è drasticamente cambiato. Da allora il Paese non si è più ripreso, è tecnicamente in recessione, con un Pil che è cresciuto in media dello 0,15% nel decennio che si è concluso nel 2021.
Negli ultimi quattro anni Bolsonaro ed il suo ministro delle Finanze, Paulo Guedes, hanno proposto un’agenda super liberista, pro business, tesa a tagliare la burocrazia, promuovere le privatizzazioni e ridurre le tutele sul lavoro. Lula, invece, ora promette di rimettere al centro l'iniziativa dello stato nella politica economica e negli investimenti, soprattutto destinati al rinnovamento delle infrastrutture. Ma certo rispetto alle sue due precedenti presidenza dovrà affrontare «un mondo molto più complicato, essere presidente brasiliano adesso non è certo divertente come era all'inizio degli anni 2000», sentenzia Brian Winter, vice presidente del Council of the Americas.

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
02/10/2022 13:58:09


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