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Le imprese della Giulio Bartali negli anni d’oro del ciclismo a Sansepolcro

La storia di una società ciclistica fondata nel dopo guerra

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Anche nello sport si vivono spesso storie e situazioni particolari e belle. Così belle da superare persino la componente agonistica, dalla quale però prendono inevitabilmente spunto. E spesso, per creare un qualcosa di significativo basta davvero poco; a Sansepolcro, nel dopoguerra, venne fondata una società ciclistica intitolata a Giulio Bartali, lo sfortunato fratello minore di Gino Bartali, grande campione di ciclismo in vita, “Giusto fra le Nazioni” e cittadino onorario di Israele dopo la sua morte. Giulio aveva due anni in meno dell’illustre fratello, ma soprattutto non ne aveva ancora compiuti 20 quando il contatto con un’auto durante una gara ciclistica finì con il costargli la vita. Una decina di anni dopo, quando tutta l’Italia era intenta a rimettersi in piedi fra le macerie della guerra, gli appassionati biturgensi del pedale si ricordarono di Giulio Bartali nella denominazione della società ciclistica. Quanto bastò a Gino per consolidare il legame che già aveva instaurato con la valle bagnata dal Tevere. Come noto, nel 1944 – e per un periodo di sei mesi – Bartali, la moglie Adriana e il cugino vennero ospitati dalla famiglia Capaccioni di Nuvole, località fra Lerchi e Città di Castello, nelle vesti di sfollati. Le autorità tedesche ricercavano “Ginettaccio”, in quanto ritenuto un “partigiano bianco”, iscritto all’Azione Cattolica e da perseguire proprio per questo motivo. Fu dunque      la famiglia tifernate a “proteggerlo”, non sapendo sulle prime che stava salvando un campione del nostro ciclismo. Ovviamente, da questo episodio legato alla guerra nacque una solida amicizia fra le famiglie Bartali e Capaccioni; il gesto simbolico, ma di grande significato, compiuto dai biturgensi in memoria del fratello prematuramente scomparso lo avvicinò molto anche a Sansepolcro, dove peraltro con il tempo si era fatto degli amici e dove anche in età avanzata era solito tornare, non appena si presentasse l’occasione giusta. Sansepolcro gli era rimasta nel cuore, perché qui aveva avuto sede la prima società ciclistica intitolata al fratello. In una città pierfrancescana che vedeva nel ciclismo uno dei segnali di ritorno alla vita dopo la parentesi della guerra, cosa ha rappresentato la ciclistica Giulio Bartali? Lo raccontiamo in questo speciale, partendo da un profilo dedicato al giovane fratello di Gino prematuramente deceduto.          

LO SFORTUNATO FRATELLO PIU’ GIOVANE DEL GRANDE “GINETTACCIO”

Giulio Bartali era nato il 20 ottobre 1916 e anche lui a Ponte a Ema, il paese suddiviso fra i Comuni di Firenze e Bagno a Ripoli che si incontra subito a destra non appena si esce dall’autostrada A1 allo svincolo di Firenze sud. Qui si trova oggi il Museo del Ciclismo dedicato a Gino Bartali e qui, nel locale cimitero, i due fratelli sono sepolti. Ad avviarlo allo sport della bicicletta contribuì senza dubbio proprio Gino, perché i genitori non erano propensi ad assecondarlo; anzi, erano proprio contrari e allora le vittorie da dilettante ottenute dal fratello maggiore furono un ottimo incentivo. Giulio nutriva l’umano desiderio di emulare i campioni di allora, che erano Alfredo Binda e Costante Girardengo, ma il fatto di poter correre da professionista assieme al fratello maggiore Gino era già tanto; se non altro, vi era la prospettiva di un mondo migliore rispetto a quello vissuto fino a quel momento in una famiglia di umili origini. Anche il sogno di Giulio pareva destinato a trasformarsi in realtà, mentre il fratello Gino aveva vinto la sua prima tappa al Giro d’Italia. Eravamo nel giugno del 1936 e il giorno 14 Giulio era impegnato nella Targa Chiari, gara valevole per il campionato regionale dilettanti disputata sotto una pioggia battente; l’incidente dalle tragiche conseguenze si era verificato non lontano da casa, in località Osteria Nuova e Giulio era in quel momento in fuga assieme ad altri due corridori; nonostante i divieti di transito, una Balilla che stava sopraggiungendo si era fermata per un attimo al segnale e poi era ripartita, proprio al passaggio del trio di testa. La collisione divenne inevitabile e Giulio Bartali riportò diversi traumi, più la frattura della clavicola sinistra nell’urto contro la maniglia dello sportello della vettura. Non aveva comunque perso la lucidità e nel giro di un paio di giorni sarebbe stato dimesso dell’ospedale nel quale era stato trasportato e operato d’urgenza; successe però che non riprese conoscenza e che morì due giorni dopo, il 16 giugno, non per le conseguenze dell’incidente: fu la madre in un secondo tempo a confessare a Gino che quell’operazione era stata sbagliata e che aveva provocato l’emorragia interna rivelatasi poi fatale al fratello. Il tutto per la ricomposizione della clavicola. Il chirurgo che aveva eseguito l’intervento sarebbe morto nel 1959, lasciando una lettera per la madre dei Bartali, nella quale si assumeva in pratica tutte le responsabilità, ammettendo di aver commesso un errore “irreparabile” che aveva provocato la morte del giovane Giulio. Fu un autentico trauma per Gino Bartali, che aveva deciso dentro di sé di abbandonare la carriera di ciclista, sentendosi in parte anche in colpa per aver avviato il fratello minore verso uno sport che, oltre a essere faticoso, era considerato anche pericoloso. Gino non volle allora che figli o nipoti seguissero le sue orme; la moglie e le sorelle lo convinsero a rimettersi in sella e lui si era peraltro posto anche una riflessione: il fratello Giulio avrebbe voluto che si ritirasse e che quindi lo sport della bici avesse avuto un campione mancato? Assolutamente no. Andò allora a finire che “Ginettaccio” dedicava ogni vittoria al fratello scomparso, ricordando come avesse avuto grandi doti e come fosse l’unico che gli restasse a ruota in allenamento; anzi, c’era ora un motivo in più per pedalare e vincere. Una stele sulla salita del San Donato, a Bagno a Ripoli, ricorda Giulio nel luogo esatto in cui avvenne l’incidente.     

A SANSEPOLCRO, COVO DEI TIFOSI DI GINO BARTALI, LA NASCITA DELLA PRIMA SOCIETA’ INTITOLATA AL FRATELLO GIULIO

Gli amici che Gino Bartali aveva a Sansepolcro erano diversi, a cominciare dal meccanico di biciclette Arduino Fiordelli e dal figlio Ivo per proseguire con Luigi Batti e i vari Boncompagni, Dindelli e altre persone residenti a Porta Romana. Ed è proprio nel rione più antico della città, quello dei “borghesi” veri, che si costituisce nel 1947 la società ciclistica: l’idea di intitolarla a Giulio Bartali è la conferma dell’affetto nei confronti di Gino, che è stato anche presidente onorario del sodalizio. “A Sansepolcro erano davvero molti i tifosi che Bartali vantava – ricorda il professor Enrico Polcri, memoria storica del ciclismo biturgense – e senza dubbio in maggioranza rispetto ai sostenitori di Fausto Coppi; la barbieria Palombi, oltre che essere un “covo” bartaliano, era il luogo nel quale si discuteva di ciclismo. Ma la stessa Sansepolcro era una città che viveva molto di ciclismo, fra corse che qui si organizzavano con partenza e arrivo e altre che vi transitavano. D’altronde, la guerra era appena terminata e il ciclismo, sport popolare per eccellenza, era un veicolo importante per restituire entusiasmo e speranza nel futuro”. I colori sociali del neonato sodalizio sono il rosso amaranto con una banda orizzontale blu, all’interno della quale spicca la dicitura in bianco S.R.P.R. GIULIO BARTALI SANSEPOLCRO e la sigla sta per Società Rionale Porta Romana. Cinque le gare annuali organizzate dalla “Giulio Bartali”: il Giro della Valtiberina è quella più importante e raduna i dilettanti più forti, spesso provenienti da lontano, ma l’appuntamento più atteso è costituito dal campionato cittadino, occasione di confronto diretto fra i corridori della “Giulio Bartali” e i rivali dell’Associazione Ciclistica Sansepolcro, che si distinguono per i colori bianco e nero delle divise. Il Caffè delle Stanze, gestito da Luigi Batti che svolgeva le mansioni di segretario del sodalizio sportivo, è il tradizionale luogo di ritrovo e la sede sociale si trova a Villa Giovagnoli, perché lì abita il presidente, ovvero Luigi Giovagnoli; non è quindi un caso che partenze e arrivi delle corse ciclistiche siano posizionati proprio all’altezza di questo imponente edificio, ovvero sul rettilineo di via Anconetana, già tracciato di un’antica corsa di cavalli che da San Lazzaro conduceva verso Porta Romana. La zona in questione è conosciuta come “Il Castagno”, a causa appunto della presenza di una pianta di questa specie: è qui che viene issato lo striscione di arrivo delle gare organizzate dalla “Giulio Bartali”. E in una di queste è stato presente anche Torello Bartali, l’anziano padre di Gino e Giulio, che fungeva da mossiere della situazione con la bandierina in mano. Dei singoli ciclisti parleremo nel prossimo capitolo; sono comunque una decina abbondante i tesserati in rosso e blu, tutti molto giovani e con davanti concrete prospettive di carriera. Una fucina di campioni delle due ruote: così può essere definita la “Giulio Bartali”, che contende questa prerogativa all’altra società cittadina, la Ciclistica Sansepolcro. “C’era grande competitività fra queste due realtà – sottolinea di nuovo il professor Polcri – anche perché la “Giulio Bartali” era l’espressione di Porta Romana e la Ciclistica Sansepolcro quella di Porta Fiorentina. Due abbinamenti ideali per trasmettere entusiasmo fra i biturgensi, che seguivano in prima fila le corse in bicicletta. Gli sfottò erano pertanto inevitabili e toccavano l’apice in occasione della sfida diretta fra le due società nel campionato cittadino”. Nel 1947, per esempio, se lo aggiudica Carlo Dindelli della Ciclistica Sansepolcro, ma poi la “Giulio Bartali” si riscatta nel 1948 con Pasquale Tavernelli e nel 1949 con Renato Antimi. E chi costruiva allora le bici? Tre i nomi, tutti indimenticabili: Leopoldo Baldi, detto semplicemente “Poldo”, che poi sarebbe diventato anche allenatore di calcio; Oberdan Fabbrini, dai più conosciuto come “Romano” e Washington Carini, il cui nome di battesimo ha subito in città una “storica” rivisitazione in chiave locale, perché sia a quei tempi che tuttora per i posteri è stato e rimane “Vasinto”. Provate a leggere, nel modo in cui sta scritta, la parola Washington e rielaboratela sinteticamente alla “borghese”: il passaggio a Vasinto è presto fatto. Il fulcro delle corse ciclistiche di allora è comunque la bottega di Arduino Fiordelli, padre di Ivo Fiordelli. Tante soddisfazioni, ma anche un grave lutto: la scomparsa a nemmeno 20 anni compiuti – proprio come avvenuto a Giulio Bartali – di Libero Barbafina, in circostanze delle quali nessuno è a perfetta conoscenza. All’improvviso, era venuta a mancare una delle grandi promesse locali, assieme ad Arnaldo Alberti e in ricordo di Libero Barbafina la “Giulio Bartali” istituisce una coppa a lui dedicata, quale premio per la gara a cronometro per dilettanti di prima e seconda categoria, mentre nel 1953 si disputa l’ottava e ultima edizione del Giro della Valtiberina, con trofeo di rappresentanza intitolato ad Amintore Fanfani (allora ministro degli Interni), poi i ciclisti più validi vengono ingaggiati da altre società e ben presto la “Giulio Bartali” cessa l’attività, non senza aver lasciato la sua bella impronta in una città che si infiamma anche per il ciclismo.               

ARNALDO ALBERTI SU TUTTI E LA PROMESSA CHIAMATA LIBERO BARBAFINA

Diversi i ciclisti tesserati con la “Giulio Bartali”, molti dei quali anche vincitori di gare, ma le figure di punta – come appena evidenziato - sono soprattutto due: Arnaldo Alberti, detto il “Canarino”, che proviene da Monterchi e Libero Barbafina, che invece abita a Celalba di San Giustino. Il primo è stato vincitore del Circuito della Valle del Potenza, del Giro del Casentino e della prova di Foligno del Gran Premio Pirelli, quando era stato capace di staccare l’idolo locale Giancarlo Ceppi sulla salita che precede il traguardo: diciamo quindi che lui è stato l’uomo di punta, per una questione di validità e anche di risultati, mentre sul conto del secondo possiamo limitarci ad affermare che era di sicuro una grande promessa, strappata alla vita ancora giovanissimo e che quindi la sua “pagina” ciclistica si è chiusa non appena era stata aperta. Ma siccome lo sport della bici vive anche di imprese particolari, che molto spesso rendono il ciclista grande protagonista di giornata senza coprirlo con l’alloro finale, ecco che su questo versante non vi sono dubbi: Libero Barbafina è stato l’autore dell’acuto che avrebbe potuto imprimere una svolta alla sua carriera se fosse andato a buon fine. È il 7 agosto 1950 e lui, 19enne, sta correndo il Trofeo Mannelli di Firenze: all’altezza della località Le Cure, è solo in fuga e proprio in quel tratto comincia la durissima salita verso Fiesole; lui insiste nel proseguire la sua corsa solitaria, ma la stanchezza comincia a farsi sentire nel momento decisivo e proprio sul filo di lana si vede beffato da due “illustri” avversari che poi sarebbero diventati professionisti: Sergio Vitali e Gastone Nencini, che avrebbe vinto anche un Giro d’Italia. Un peccato di gioventù, chiamato inesperienza, lo ha privato del successo. Purtroppo, però, anche per Barbafina è in agguato un triste destino: il 14 gennaio 1951 muore tragicamente (“compromettente una vecchia arma da fuoco ritenuta scarica”; scrive Renato Amantini nel libro “Città di Castello: la mia città, il mio ciclismo”) e fin da quell’anno la società “Giulio Bartali” organizza una gara con la coppa a lui intitolata. Un terzo valido alfiere della “Giulio Bartali” è stato poi Giuseppe Biccheri, tifernate di Santa Lucia, che ha vinto tante gare: su tutte, spicca il circuito delle quattro porte a Città di Castello, non dimenticando gli altrettanti prestigiosi piazzamenti d’onore, come il terzo posto nella prova del Gran Premio Pirelli. Dal versante nord del territorio di Città di Castello, ecco invece Renato Antimi da Giove, detto “Venturino”, che nel periodo 1947-1950 si aggiudica le gare di Padule, Assisi, Sansepolcro (campionato cittadino) e Apecchio. Vince anche nella sua Giove, ma in maniera anomala, nel senso che giunge sul traguardo assieme a un avversario ed entrambi non disputano la volata. I giudici di gara squalificano i due con una motivazione più unica che rara: rinuncia al risultato. Rimanendo in zona, c’è Nedo Quirini da Bogliaro di Giove che ha messo insieme qualche vittoria e numerosi piazzamenti; l’exploit più bello nella Sansepolcro-Le Balze-Monte Fumaiolo, con il trionfo in una delle sue edizioni. Di Caprese Michelangelo è invece Ely Mencherini, che ha fatto sue diverse corse a livello giovanile (Allievi e Dilettanti II anno), compresa la Coppa Pasqui, da lui vinta – con la maglia della Ciclistica Sansepolcro, però - il 23 maggio 1951, ossia lo stesso giorno del passaggio per Sansepolcro della tappa Firenze-Perugia del Giro d’Italia. Abbiamo già ricordato il grintoso Pasquale Tavernelli, primo nel campionato cittadino 1948, ma nella “Giulio Bartali” hanno militato anche Sebastiano Castellani, Mancini e Duilio Medici.

LA FINE DELLA GIULIO BARTALI E DELLA GRANDE PASSIONE PER IL CICLISMO IN CITTA’

Il ciclismo impazza letteralmente e nessuno avrebbe immaginato che quello del 30 agosto 1953 sarebbe stato l’ultimo Giro della Valtiberina organizzato dalla “Giulio Bartali”, con successo allo sprint di Libero Volante su due portacolori in rosso e blu, Ely Mencherini e Arnaldo Alberti. Un esito amaro anche per i tanti tifosi che avevano assiepato via Anconetana, tanto più che Volante avrebbe stretto Mencherini sulle transenne con una mossa ai limiti del regolamento. Tuttavia, l’impresa iridata di Fausto Coppi nella prova su strada a Lugano è capace ugualmente di creare un clima di festa, ma si tratta purtroppo dell’ultima fiammata di entusiasmo per un ciclismo che anche a Sansepolcro ha cominciato a entrare in crisi, in linea con la tendenza che si registra in ambito nazionale, perché Gino Bartali ha concluso la propria carriera e anche la parabola di Fausto Coppi percorre il tratto discendente. La scomparsa di questo “storico” dualismo – non rimpiazzata a un pari livello da quello fra Ercole Baldini e Gastone Nencini – rende sempre più difficile per le società il compito di tesserare i giovani: l’interesse è insomma scemato e anche l’avvento delle moto e delle auto sta relegando in secondo piano la bicicletta. Nel frattempo, i ciclisti di punta della “Giulio Bartali” sono passati alla società Nardi di Selci, il cui patron, Elio Barbafina, è il fratello del defunto Libero. Per rivedere un’edizione del Giro della Valtiberina, peraltro sporadica, occorrerà attendere il 1960, grazie alla passione di Zanetto Innocenti, Cecco Mercati e Gastone Zeta e su organizzazione dell’Unione Sportiva Rinascita; il ciclismo di livello sarebbe tornato a Sansepolcro nel 1968 con l’arrivo della tappa a cronometro partita da Città di Castello con tragitto per Monterchi; vittoria di Giovanni “Gino” Cavalcanti su Pierfranco Vianelli, che proprio quell’anno avrebbe vinto la medaglia d’oro nella prova su strada alle Olimpiadi di Città del Messico. Nel 1972, arrivo in viale Vittorio Veneto della tappa del Giro d’Italia dilettanti, con trionfo del trentino Marcello Osler, mentre per il Giro d’Italia professionisti bisognerà attendere il 27 maggio 1992 - con la prima storica vittoria di tappa nella “corsa rosa” da parte di Miguel Indurain (che poi avrebbe vinto anche il Giro) nella crono Arezzo-Sansepolcro – e il 24 maggio 1999, quando sul traguardo di via Senese Aretina si è registrata una delle 42 affermazioni in volata di Mario Cipollini al termine della frazione in linea partita da Ancona. Tanti passaggi, qualche traguardo intermedio (il regionale nel 1981, vinto da Giovanni Renosto che poi trionferà anche ad Arezzo e poi l’Intergiro nel 1990, con sprint vincente di Giovanni Fidanza) e nel 2013 la sede di partenza della tappa che arriverà a Firenze, con Vincenzo Nibali già in maglia rosa.                                               

 

 

 

 

Redazione
© Riproduzione riservata
09/07/2018 10:08:14


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