Ponte Morandi, i laboratori svizzeri confermano: i tiranti erano corrosi
E Autostrade si oppone alla demolizione con l’esplosivo
Le pessime condizioni del ponte, in componenti cruciali compresi i tiranti, sono confermate anche dai laboratori svizzeri ai quali sono state inviate alcune macerie. E nel frattempo iniziano le prime scintille - processuali - sulla demolizione, con i consulenti di Autostrade per l’Italia che hanno mosso obiezioni al piano di abbattimento, in particolare laddove prevede l’impiego di esplosivo. Nell’inchiesta sulla strage del Morandi (43 vittime il 14 agosto scorso a Genova) quella di ieri è stata una giornata densa di novità, con il deposito di due documenti cruciali. Il primo è il report di oltre 120 pagine redatto dagli specialisti dell’Empa di Dubendorf nei pressi di Zurigo, uno dei centri d’eccellenza europei nello studio dei materiali, guidati da Gabor Piskotyi. Insieme ai risultati sono arrivati in Liguria i 17 reperti che erano stati in precedenza selezionati dai periti del tribunale: i militari del Primo gruppo della Guardia di finanza li hanno presi in consegna al confine e li hanno scortati fino all’hangar genovese di Amiu, l’azienda comunale della nettezza urbana, dove sono custoditi dagli albori dell’indagine.
Struttura a rischio
Oltre che da Piskoty, il team che ha studiato i resti del viadotto aveva tra gli uomini di punta un ricercatore esperto di cemento, Roman Loser, svizzero, e uno specializzato nella corrosione dei metalli, Ulrik Hans, tedesco. La certificazione degli ammaloramenti, e in particolare della corrosione, agli occhi degli inquirenti dimostra non solo che il cedimento è avvenuto per una rottura degli «stralli» (nome tecnico dei tiranti, anima in acciaio e guaina in calcestruzzo); ma che quella lesione potrebbe essere collegata a manutenzioni carenti. Il degrado della struttura rappresenta infatti il principale elemento accusatorio nei confronti di Autostrade, che doveva eseguire controlli periodici sul manufatto. E i riscontri forniti dalla Svizzera potrebbero dimostrare in maniera forse definitiva come fosse impossibile avere il polso sulla reale tenuta dell’opera, senza condurre ispezioni dentro il rivestimento in cemento che proteggeva proprio gli stralli. Era l’aspetto più critico ed era stato segnalato per anni dai collaboratori e dai tecnici del concessionario, oltre che dal progettista Riccardo Morandi in persona con un dossier del 1981.
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