Tanta gente al funerale di Mons. Pellegrino Tomaso Ronchi, vescovo emerito di Città di Castello

Il cardInale Gualtiero Bassetti, legato da antica amicizia, ha inviato un messaggio personale
Si è svolto questa mattina il funerale di mons. Pellegrino Tomaso Ronchi, vescovo emerito di Città di Castello.
Mons. Domenico Cancian ha presieduto il rito funebre, presenti numerosi presuli della Conferenza Episcopale Umbra tra cui mons. Renato Boccardo, arcivescovo di Spoleto-Norcia e presidente della Conferenza Episcopale Umbra. Il card. Gualtiero Bassetti, legato da antica amicizia con mons. Ronchi, ha inviato un messaggio personale.
L’arcivescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro mons. Riccardo Fontana, già componente della CEU con mons. Ronchi, ha voluto partecipare al rito esequiale.
Anche mons. Nazzareno Marconi – impossibilitato a partecipare per un’indisposizione – ha inviato uno scritto di gratitudine e riconoscenza.
Si è unita alla preghiera della chiesa la comunità di Porto-Santa Rufina e quella del collegio di Propaganda Fide in Roma. Ha portato il saluto il rappresentante della parrocchia di Riolo Terme dove è nato mons. Ronchi.
All’inizio della celebrazione il vescovo di Città di Castello ha salutato e ringraziato anche i sindaci dei sette comuni che compongono la diocesi tifernate.
Durante l’omelia mons. Domenico Cancian ha voluto ricordare mons. Pellegrino Tomaso Ronchi con queste parole.
L’addio che diamo all’amato Vescovo Pellegrino Tomaso è colorato di gratitudine. Grazie al Signore che ce l’ha donato. Grazie a lui perché ha messo in atto il suo motto: “In tuo sancto servitio” in modo coerente lungo l’arco dei suoi ottantotto anni.
Ecco alcuni flash della sua vita.
1. Pellegrino Tomaso come uomo. Una persona solare, buona, con il sorriso in volto, accogliente. Dotato di intelligenza intuitiva che si coglieva dagli occhi penetranti e dalla battuta facile, gioiosa e non raramente ironica, carica di humour.
Fa’ i conti con la sofferenza. Anzitutto nelle tragedie familiari: babbo assassinato, fratello che muore per lo scoppio di una bomba e la mamma che resta sola con i figli da allevare.
Un’altra grave sofferenza sarà il dover rinunciare dopo pochi mesi dalla nomina alla guida della diocesi di Porto-Santa Rufina. Ci vorranno anni per riprendersi.
Queste sofferenze lo temprano senza spegnere il sorriso e lui impara a reagire.
2. Pellegrino Tomaso come uomo di fede. Scopre e segue la vocazione religiosa diventando frate cappuccino. Al saio ci terrà sempre, come teneva alla sua lunga barba (meglio averla – diceva – piuttosto che farla venire!). Teneva soprattutto allo spirito di san Francesco: la semplicità, la cordialità, la povertà, l’apertura a tutti.
3. Pellegrino Tomaso sacerdote, educatore, missionario. Diventa prete a 23 anni. Si laurea “summa cun laude” in diritto canonica; insegna e diventa formatore dei frati nel suo ordine. Dal 1960 al 1972 va missionario in India, a Lucknow e si ritrova a madre Teresa con la quale avvia una casa di riposo per i poveri. Diventa vicario generale. Di quel periodo andava fiero e raccontava tanti episodi simpatici: viaggiare con la lambretta, difendersi dagli animali e tante attività missionarie.
Si trasferisce anche in Etiopia per qualche mese. Diceva: “In missione ho imparato a non aver paura di niente”.
4. Pellegrino Tomaso rettore maggiore del Pontificio Collegio internazionale De Propaganda Fide a Roma dal 1972 al 1985. Aiuta migliaia di sacerdoti di tutto il mondo arrivati a Roma per gli studi. Padre Pellegrino è ricordato come l’uomo amabile, padre, fratello e amico. Commoventi le testimonianze di tanti di loro diventati vescovi, come ad esempio l’arcivescovo di Bucarest, mons. Robu, che ha fatto di tutto per essere presente al funerale per esprimere la sua gratitudine.
5. Pellegrino Tomaso vescovo prima a Porto-Santa Rufina nel 1985, dopo essere stato ordinato da san Giovanni Paolo II il 6 gennaio, e poi, dopo la rinuncia, dal 1991 al 2007, a Città di Castello.
Nella nostra diocesi si è distinto per il suo tratto diretto, semplice e familiare con tutti. La Città lo ricorda a passeggio per le strade e le piazze, anche giocando a bocce (l’unico sport che gli piaceva), abbracciando tutti, distribuendo sorrisi, corone e caramelle.
Il suo magistero è stato chiaro, semplice, biblico, ecclesiale. È stato molto coinvolto nella visita pastorale durante la quale ha incontrato malati, comunità parrocchiale, attività lavorative.
Durante il suo episcopato ha realizzato numerose opere: tra cui il museo diocesano, la biblioteca e la radicale ristrutturazione dell’episcopio.
Si è dedicato con tutte le sue forze a portare a compimento il processo per la beatificazione del vescovo Carlo Liviero.
6. Pellegrino Tomaso Vescovo emerito. Decise di rimanere con me. Abbiamo quindi abitato insieme per circa nove anni. Posso dire con sincerità che rifarei questa scelta, anche se all’inizio non sembrava la migliore. Ho scoperto un padre, un fratello, un amico. Ho imparato tanto da lui. Poi è arrivata la malattia e si è dovuto trasferire all’Oasi Sant’Antonio di Perugia dove i padri Cappuccini dell’Umbria lo hanno bene assistito fino all’ultimo.
La morte è stata molto serena. Ho chiesto di potergli dare l’olio degli infermi e lui ha accettato e gradito. Ha seguito tutta la preghiera e alla fine ci ha benedetti guardandoci con occhi che volevano darci l’addio.
In questi giorni ho sentito tante belle testimonianze. Ho visto gente piangere… anch’io.
Grazie carissimo Fratello Vescovo Pellegrino Tomaso
Al termine delle esequie il feretro di mons. Ronchi è stato tumulato nella Cripta della Cattedrale tifernate dove riposerà, in attesa della Risurrezione dei morti, accanto a quello di mons. Carlo Urru.
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