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Intervista a Moreno Ghignoni presidente della Polisportiva Sulpizia di Pieve Santo Stefano

Con il Covid-19 abbiamo recuperato l'importanza di quei valori che avevamo perso

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Le conseguenze del coronavirus su società sportive dilettantistiche e realtà economiche: Moreno Ghignoni racconta la sua esperienza di presidente della Polisportiva Sulpizia di Pieve Santo Stefano, sodalizio del quale è al timone da quasi venti anni (dal 2001 per l’esattezza) e che lo ha visto protagonista da massimo dirigente delle pagine più belle della storia calcistica pievana, con due promozioni in Prima Categoria e i play-off disputati in questa categoria, prima del ritorno in Seconda. La sua attività giornaliera è quella di articoli per fioristi in una fra le aziende più note dell'intera Valtiberina.

Presidente Ghignoni, quali ripercussioni potrà avere questo periodo sul futuro del calcio e dello sport dilettantistico più in generale?

“Non so francamente cosa potrà succedere. In società come le nostre, che disputano con la prima squadra il campionato di Seconda Categoria e hanno un settore giovanile, sono fondamentali il lavoro del volontariato e lo spirito di gruppo. La realtà stessa di Pieve Santo Stefano ci dà tanto e ho avuto riconoscimenti per come teniamo il campo e il manto erboso. Arriviamo quindi fin dove possiamo, però da questo momento non sarà facile perché i soldi sono venuti inevitabilmente a mancare: anche l’azienda che ti dava il piccolo contributo, adesso deve pensare al dipendente che va in cassa integrazione e guai se non fosse così. Stesso discorso per gli striscioni al campo; c’era poi la festa dell’8 settembre con il calcio in costume, che portava qualcosa con lo stand e i tortelli; quest’anno salterà anche la festa. Mettiamoci poi la particolare situazione nella quale potrebbe venire a trovarsi una famiglia in cui vi sono due figli che giocano a calcio e dove all’improvviso vi sono difficoltà nel pagare le rette dell’iscrizione. Cosa faccio: nego ai figli di venire a giocare? Assolutamente no, perché ho accettato la presidenza della Sulpizia proprio per creare una bella realtà dal punto di vista sociale, che per me costituisce una vittoria più importante di quella di un campionato. Beh, vorrà dire che cercheremo di ripartire con le forze che abbiamo, ma anche con un vantaggio che abbiamo: il nostro ambiente. Chi è venuto qui da noi si è sempre trovato bene e non vuole lasciarci”.

E le conseguenze sull’attività economica che Lei svolge?  

“Rischiano di essere drammatiche sull’economia in generale, perché purtroppo quando il soldo non gira va male per tutti. Pensiamo a quei negozi che vanno avanti con il ricavato quotidiano: l’incasso del giorno prima che diventa l’investimento per il giorno dopo. Ebbene, da oltre due mesi in alcuni esercizi commerciali non si ragiona più così: non entra un soldo perché sono chiusi. Per ciò che riguarda la mia attività nello specifico, lavoriamo in tutta Italia ed eravamo partiti bene: il 2020 ci aveva inviato ottimi segnali, poi ci siamo ritrovati in una situazione anomala, nella quale con determinati clienti occorre adoperare una maggiore flessibilità; d’altronde, gli equilibri sono mutati e la colpa non è di nessuno. Ci sono poi i clienti storici, con i quali abbiamo rapporti di lavoro dai primi anni ’60 e con i quali ci teniamo in piedi a vicenda”.

Il decreto Rilancio La convince nei contenuti?

“Per ciò che mi risulta, posso concludere che mi convince abbastanza, purchè le proposte e le promesse non rimangano chiacchiere e basta. Chi si ritrova in cassa integrazione non ha ancora visto nulla e allora è giusto che chi ha fatto promesse si prenda le sue responsabilità e passi dalle parole al concreto, altrimenti non sappiamo più a chi credere; oltretutto, anche sulle date delle varie riprese ci sono ancora punti interrogativi. Mancano insomma le certezze, per quanto mi renda conto che a livello nazionale non sia facile gestire una situazione del genere”.

A quando il ritorno alla sospirata normalità?

“Credo che dal 4 maggio in poi, con una maggiore riapertura anche a livello regionale e per comprovate esigenze lavorative, il termometro della situazione sia diventato più attendibile. Vediamo intanto cosa succederà di qui al 25 maggio e se la curva dei contagi tenderà a rialzarsi o meno. Se non dovesse risalire, vorrebbe dire che in effetti il virus starebbe scemando; e comunque, ho la sensazione che i prossimi 15-20 giorni saranno quelli decisivi. Non oso immaginare cosa potrebbe succedere se vi fosse un ritorno dei casi di positività”.

Cosa ci ha insegnato questo periodo ci ristrettezze e sacrifici?

“A recuperare nella loro importanza quei valori che avevamo perso: la famiglia in primis e gli aspetti fondamentali della vita, distratti come eravamo da cose sostanzialmente superflue e da quella smaniosa necessità di alzare sempre l’asticella perché non eravamo mai contenti. L’emergenza Covid-19 ci ha allora richiamato a stili più sobri, facendoci capire che bisogna accontentarsi di avere ciò che veramente conta: la salute, gli affetti e un lavoro che permetta di vivere dignitosamente, perché abbiamo visto che in poche ore sono cambiate la vita di un intero Paese e di una moltitudine di famiglie. Abbiamo pagato un salato prezzo di oltre 30mila morti, che non sono uno scherzo. E la maniera nella quale sono morti? Persone che all’improvviso hanno visto un genitore caricato in ambulanza, deceduto nel giro di poco tempo e senza nemmeno la possibilità di salutarlo con un degno funerale perché le disposizioni attuali non lo permettono. È dura da mandare giù!”.

Redazione
© Riproduzione riservata
16/05/2020 08:48:14


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