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Hong Kong non firma la resa. La protesta ora è un foglio bianco

Giovani in piazza fra slogan presi dall’inno cinese e nuove forme di dissenso

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Il professore Xu Zhangrun era preparato. Da tempo aveva messo una borsa con uno spazzolino e un paio di ricambi sulla porta di casa, nel caso lo avessero portato via senza preavviso. E infatti così è stato. Classe 1962, per vent’anni ha insegnato legge alla Tsinghua, l’università dove si è formata la leadership di Pechino e dove ha studiato lo stesso Xi Jinping. Poi, nel 2018, ha osato chiedere pubblicamente di ritirare la legge che permette a «colui che presiede ogni cosa» di governare a vita: «L’intera popolazione, inclusa l’élite dei funzionari pubblici, si sente ancora una volta persa per la direzione incerta del Paese e per la propria sicurezza personale». L’università gli ha vietato di continuare la sua attività, ma lui non ha smesso di pubblicare. La sua ultima lettera aperta chiede verità e assunzione di responsabilità sull'epidemia di Covid 19 e conclude: «È probabile che questa sia l'ultima cosa che scrivo». Ieri mattina l’hanno arrestato. L’accusa, a quanto riferisce la moglie, è istigazione alla prostituzione. Un modo per screditare la sua immagine senza far riferimento alle critiche mosse al governo e insieme recapitare un messaggio agli intellettuali più liberali, compresi quelli negli anni si sono rifugiati ad Hong Kong convinti che il sistema legale lasciato in eredità dai britannici avrebbe protetto le loro opinioni. E è sul Porto Profumato che Pechino sta combattendo la sua battaglia più visibile. A una settimana dall'entrata in vigore della legge sulla sicurezza nazionale, al primo ragazzo incriminato per «attività secessioniste e terrorismo» è stato negato il rilascio su cauzione. Il 23enne Tong Ying-kit rischia l'ergastolo per aver sbandato con la moto su un gruppo di poliziotti mentre sventolava una bandiera che inneggiava alla libertà. Il governo ha poi ordinato alle scuole di ritirare i libri in contrasto con la nuova legge e ha ampliato i poteri delle forze dell'ordine: si potrà perquisire senza un mandato e chiedere la cancellazione di contenuti pubblicati online o su carta. Mentre Facebook e Telegram si sono rifiutati di «processare richieste di dati relative a utenti di Hong Kong fino a quando non si sarà raggiunto un consenso internazionale sui cambiamenti politici in corso nella città», l’ambasciatore cinese ha messo in guardia la Gran Bretagna sulle «conseguenze» della «grave interferenza negli affari interni cinesi» del premier. Boris Johnson ha infatti definito la nuova legge una «chiara e grave rottura» dell'accordo sino-britannico del 1997 e ha promesso a quasi la metà degli hongkonghesi un percorso privilegiato per ottenere la cittadinanza. Ma mentre le diplomazie di tutto il mondo si confrontano con il gigante asiatico, l’ex colonia continua a sfidarlo. I manifestanti tornano in piazza con cartelli bianchi e in alcuni negozi sono comparsi poster di propaganda dell'epoca maoista. Non c’è stato bisogno di cambiare nemmeno una parola: «La rivoluzione non è un crimine, la ribellione è ragionevole». Chi protesta si appropria persino della prima strofa dell'inno nazionale della Repubblica popolare: «Sollevatevi, se non volete essere schiavi». Inoltre, come recita un graffito apparso di recente sui muri della città, «Una persona che commette un crimine è un problema di sicurezza, ma due milioni di criminali sono un problema politico». Ed ecco che l'ultimo lavoro di Xu Zhangrun acquista un nuovo spessore. Si intitola, significativamente: «Quando la rabbia vince sulla paura». 

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
07/07/2020 13:45:04


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