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L'assedio dei governatori: Salvini non ha più i numeri per correre come premier

Sondaggio riservato in casa Lega: Zaia e Fedriga i più graditi, poi Giorgetti. Matteo è solo quarto

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La premessa, d'obbligo, è che ad oggi la Lega non è un partito scalabile. Lo svolgimento, però, racconta di un movimento in grandissima agitazione, spaccato a metà tra una leadership a cui molti dei colonnelli non riconoscono più quella lungimiranza politica che fino a pochi mesi fa nessuno avrebbe messo in discussione (nonostante il disastro del Papeete dell'estate 2019). La conclusione è che c'è un corposo pezzo di Carroccio che è pronto a chiedere conto a Salvini delle sue scelte. In primo luogo, la decisione di trasformare un partito autonomista, saldamente ancorato alle ragioni del Nord, in una forza nazionale e con una decisa - in alcuni casi sfrontata - tendenza verso destra. In ultimo la posizione assolutamente ondivaga sulla questione Covid, prima sulle mascherine e poi sul green pass. Una linea così contraddittoria dall'essere percepita anche tra i militanti più fedeli come una mano tesa al mondo no-vax.

Il redde rationem inizierà il 5 ottobre, quando le urne certificheranno il crollo di consensi della Lega nazionale che Salvini è riuscito a portare fino al 34% delle Europee 2019. Con quei numeri era facile decidere con disinvoltura. E gli oppositori interni si guardavano bene dal farsi sentire. Ma se - come dicono molti dei sondaggi riservati nelle mani delle segreterie dei partiti - Fdi scavalcherà la Lega, la storia è destinata a cambiare. Soprattutto se accadrà a Milano, capoluogo e cuore della Lombardia che al Carroccio ha dato i natali (era il 12 aprile 1984 quando Bossi si presentò davanti a un notaio di Varese e firmò l'atto costitutivo della Lega lombarda).

È questo lo scenario all'interno del quale Salvini inizia a muoversi con fare piuttosto scomposto, tanto dal fare scouting tra i partiti alleati a pochi giorni dal voto amministrativo. Circostanza che ha fatto evidentemente andare su tutte le furie i vertici di Forza Italia, ma ha lasciato perplessi anche molti dei big del Carroccio. «Matteo è in confusione», è il leitmotiv - rigorosamente off record - che ripetono. Il leader è ben consapevole dei malumori interni, ma sembra non curarsene. Ieri, per dire, la Camera ha approvato il via libera al ddl di conversione al decreto green pass bis, ma i deputati del Carroccio erano per metà assenti. Su 132, solo 69 sì. In 12 erano in missione, quindi «giustificati», ma ben 51 hanno liberamente scelto di non presentarsi. Uno strappo non tanto verso il governo, ma - così lo legge un corposo pezzo di Carroccio - uno «sfregio» verso Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico, ormai considerato da Salvini un «ultrà draghista». È l'ultimo atto di una guerra interna che sta consumando la Lega, perché la questione del passaporto verde per i governatori leghisti non è neanche lontanamente argomento di discussione. Se Salvini strizza l'occhio al mondo no-vax, infatti, non solo Giorgetti ma tutti i presidenti di Regione della Lega sono su una linea opposta. Lo hanno detto in chiaro - con interventi pubblici e interviste - Zaia (Veneto) e Fedriga (Friuli Venezia Giulia e presidente della Conferenza Stato-Regioni). Lo ha confermato anche il più cauto Fontana (Lombardia). Al Nord, insomma, è un dibattito che non esiste. Tant'è che un sondaggio riservato della Swg commissionato dalla Lega dice che il 90% degli elettori del Carroccio al Nord non solo è favorevole al green pass, ma è addirittura per l'obbligo vaccinale.

Ma di sondaggi non pubblici ne girano anche altri. Uno ha testato il gradimento dei leader della Lega su tutto l'elettorato italiano (quindi non solo del Carroccio). Il risultato, che è girato in questi giorni nelle chat e nelle conversazioni dei colonnelli, è implacabile: primi Zaia e Fedriga quasi a parimerito, terzo a seguire Giorgetti, quarto - ben otto punti sotto - Salvini. Insomma, sulla platea dell'intero elettorato italiano, l'ex titolare del Viminale ha poco appeal. Ed è per questa ragione che i governatori stanno ragionando sul proporre a Salvini una «soluzione di compromesso»: restare leader del partito, ma lasciare a chi ha più chanche la candidatura a premier alle prossime elezioni. Considerando che Zaia continua ad essere assorbito dal Veneto e che Giorgetti va dicendo che non si ricandiderà (ma potrebbe essere lui a correre per il posto di Fontana alle Regionali 2022), in molti guardano a Fedriga.

Nessuno, ci mancherebbe, ha la palla di vetro per sapere come davvero andrà a finire. Ma di certo c'è che i governatori leghisti hanno ormai deciso di muoversi in blocco. Quelli del Nord, per dire, si sentono quasi tutti i giorni per coordinarsi. Tanto che ieri hanno fatto una nota congiunta - con Fugatti (Trentino Alto Adige), Tesei (Umbria), Solinas (Sardegna) e Spirlì (Calabria) - per dire «no» all'ipotesi di riforma degli estimi catastali.

Redazione
© Riproduzione riservata
24/09/2021 05:57:47


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