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Lettera "infuocata" da parte dei medici del pronto soccorso della Toscana alla politica

"Se la Regione non cambia marcia ci dimettiamo in massa"

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I medici dei pronto soccorsi delle Asl della Toscana, hanno inviato una lettera “infuocata” al presidente della Regione Eugenio Giani, all’assessore alla Sanità Simone Bezzini e ai direttori generali della aziende sanitarie, inclusi Auoc e Auop, oltre che al ministro competente e al presidente del consiglio dei ministro in allarme per la carenza di personale nei reparti di emergenza urgenza. Ben 288 i medici dei Ps toscani firmatari della lettera “ultimatum”: “Così non può continuare. se la situazione resta quella attuale, tutti noi siamo destinati ad abbandonare e allora tanto vale farlo insieme, dimettendoci in massa”. I medici dei pronto soccorso si sentono con le spalle allo scoperto, in prima linea, dove l’emergenza è la routine, i carichi di lavoro  sono senza limiti con disagio quotidiano sia per gli operatori che per gli utenti. Siamo costretti a rinunciare a ferie e giorni di riposo. Per non parlare di aggressioni e violenze ormai all’ordine del giorno. Insomma, condizioni umanamente insostenibili, per una professione tra l’altro altamente usurante che, negli anni, hanno portato a un progressivo peggioramento della qualità delle prestazioni mediche nei pronto soccorso”. I firmatari della lettera  propongono di  “coinvolgere il personale 118, le guardie mediche per la valutazione dei codici minori, gli internisti e i chirurghi nella turnistica per le attività di loro competenza e incentivare la scelta della specializzazione in medicina di urgenza dei giovani laureati enei pronto soccorso da anche attraverso incentivi economici” perché “il lavoro del medico di pronto soccorso non è uguale a quello dei medici ambulatoriali, o di reparto”.

“Premettendo che non è compito dei medici di pronto soccorso  trovare soluzioni organizzative che ci permettano di svolgere al meglio il nostro lavoro la presente lettera aperta ha come scopo quello di esprimere, se già non fosse palese, il disagio che viviamo quotidianamente e proporre alcune iniziative che potrebbero riportare la situazione dei Ps della Toscana a livelli umanamente sostenibili per gli operatori e per gli utenti. Il nostro lavoro si configura come servizio pubblico di primaria importanza e come tale andrebbe tutelato. La missione del Dipartimento di emergenza è quella di riconoscere e stabilizzare il paziente critico indirizzandolo al percorso più idoneo per il proseguimento diagnostico-terapeutico. Negli ultimi anni si è assistito ad un progressivo peggioramento della qualità delle nostre prestazioni in quanto, eufemisticamente, non ci troviamo a lavorare nelle condizioni ottimali ed ogni giorno dobbiamo far fronte all’affollamento, sia per l’iperafflusso di pazienti che per la carenza di posti letto negli ospedali. Questo mette seriamente a rischio la salute pubblica, in quanto è scientificamente dimostrato che l’overcrowding e il boarding sono associati ad una maggiore probabilità di errori diagnostici e terapeutici e a una minore sopravvivenza dei pazienti a breve e lungo termine. Negli ultimi anni, il lavoro nei pronto soccorso è incrementato in modo esponenziale per numerose ragioni e Io ha fatto ancora di più dopo la pandemia da Covid. Questo incremento è diventato emergenza e l’emergenza è diventata routine, come se non esistesse mai un limite al carico lavorativo. Siamo consapevoli della intrinseca complessità del lavoro in ps e, anzi, molti di noi hanno scelto questa professione proprio perché stimolante e appagante in questa sua complessità. Siamo, altresì consapevoli del fatto che non è possibile gestire solo ed esclusivamente le emergenze e le urgenze perché spesso esse si nascondono in situazioni cliniche apparentemente normali. Tuttavia, la criticità maggiore riguarda il fatto che le nostre forze vengono spese non per diagnosticare, trattare e stabilizzare criticità di salute ma per gestire per altri ciò che non ci compete. Ci troviamo ogni giorno a girare per le varie stanze e corridoi del pronto soccorso e dei locali limitrofi per cercare le barelle dei pazienti che ci hanno lasciato in consegna i colleghi del turno precedente e che sostano nel nostro reparto spesso per giorni; iniziamo un giro visite svilente e indignitoso per noi e per i pazienti; compiliamo Stu (schede terapeutiche uniche) e richiediamo consulenze assolutamente non urgenti ma differibili al momento del ricovero; compiliamo lettere di dimissioni da un ricovero in realtà mai veramente concretizzatosi. Tutte attività che non fanno parte del nostro lavoro, che sarebbe altresì visitare e stabilizzare i nuovi pazienti che accedono al ps e che sono inesorabilmente destinati lunghi tempi di attesa, potenzialmente evitabili. E’ strano come i reparti siano (giustamente) tutelati attraverso normative che limitano il numero di letti in una stanza e il numero massimo di pazienti in carico ad un medico, un infermiere o un oss, mentre in pronto non vi sia mai alcun limite ragionevole. I pazienti sono sempre gli stessi e come tali dovrebbero essere trattati, con pari dignità e garanzia di sicurezza.  Tali criticità sono note a tutti ma, nonostante le nostre ripetute grida di allarme, a parte qualche tentativo palliativo, nessun provvedimento efficace è mai stato preso dalla politica sanitaria regionale, unico soggetto in grado di farlo.

Tra le proposte per far fronte alla tragedia in atto: aumento del personale di pronto soccorso, coinvolgimento del personale del 118, delle guardie mediche, degli internisti e chirurghi, presenza di chirurghi e internisti nelle sale visita, potenziamento dei percorsi fast-track verso gli specialisti di competenza (ginecologia, ortopedia, otorino, oculistica), laddove non presenti o solo parziali, incentivare la scelta della specializzazione in medicina di urgenza da parte dei giovani laureati.

Redazione
© Riproduzione riservata
01/03/2023 21:05:55


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