Opinionisti Giulia Gambacci

Le metamorfosi artistiche del grande Lucio Dalla

Uno fra gli artisti più completi e osannati della nostra canzone

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Il jazz in avvio, poi Sanremo e negli anni ’70 il salto qualitativo che lo ha fatto scoprire eccezionale cantautore, ma soprattutto espressione di un processo evolutivo musicale e canoro che mai è rimasto statico

Da otto anni non c’è più, ma rimane un altro degli immortali della musica italiana. Come dimenticarsi di Lucio Dalla, uno fra gli artisti più completi e osannati della nostra canzone, tanto che qualche suo brano fa ancora vibrare le corde di tutti a distanza di oltre 40 anni? Più generi musicali abbracciati, a partire dal jazz per arrivare fin quasi alla lirica; cantante, musicista e poi autore dei suoi pezzi; suonatore di pianoforte, sassofono e clarinetto e soprattutto la voglia di sperimentare e innovare. La grande forza di Lucio Dalla, altro interprete della musica italiana capace di riempire stadi e palazzetti, è stata quella di non fermarsi mai anche nel suo processo evolutivo, con il risultato di lasciare ai posteri autentici capisaldi della nostra canzone: da Piazza Grande a L’anno che verrà, da Attenti al lupo fino a Caruso, il capolavoro che ha fatto il giro del mondo. Colto, schietto, virtuoso e sensibile: Lucio Dalla verrà ricordato per queste due doti, oltre che per un look tutto suo, assolutamente rivoluzionario in tempi nei quali sul palco di Sanremo ci si presentava in giacca e cravatta. Nel ripercorrere schematicamente il suo percorso ultracinquantennale, dal complesso della Rheno Band fino alla tragica notizia di Montreux, diciamo che esistono più fasi: l’inizio con il jazz fino al festival di Sanremo, la collaborazione con Roberto Roversi, la lunga e stupenda parentesi di cantautore che ne ha segnato la maturità artistica e la “fase pop” conclusiva, fino alla musica accademica. Tutto questo è stato Lucio Dalla, che anche in chi non ne fosse stato un fan ha sempre suscitato ammirazione per melodie e testi impossibili da dimenticare.

Ricordare la data di nascita di Lucio Dalla è facile, perché “4 marzo 1943” è anche il titolo di uno dei suoi successi più famosi. Come è nota anche la città natale: Bologna. E bolognesi erano pure i genitori: suo padre, Giuseppe, era direttore del club di tiro a volo; sua madre, Jole Melotti, era modista e casalinga. A soli 7 anni, Lucio rimane orfano del padre, stroncato da un tumore e la madre decide di farlo istruire in collegio a Treviso. Fin da quel momento, si radica in lui la cultura della solitudine quale modello di vita e di benessere. È ancora molto giovane quando lo zio Ariodante gli insegna a suonare la fisarmonica: il primo segnale di un matrimonio con la musica che ne determinerà la brillante carriera, in questo appoggiato dalla madre, che lo ritiene adatto per il mondo dello spettacolo e lo lascia partire per Roma, mentre con la scuola ha un rapporto difficile, perché preferisce andare in giro a suonare: passa così da ragioneria al liceo classico e poi al linguistico. Intanto, al compimento dei 10 anni aveva ricevuto per regalo un clarinetto, che inizia a suonare da autodidatta ed entra in un complesso jazz bolognese, dove c’è anche Pupi Avati, che non ha lo stesso talento di Dalla ma che dimostrerà di averlo nel cinema. Il giovane Lucio ha il piacere e l’onore di suonare assieme al grande trombettista jazz americano Chet Baker e di duettare anche con Bud Powell, Charles Mingus ed Eric Dolphy. In vacanza, Dalla si reca nel sud Italia e per la precisione a Manfredonia, in Puglia (dove dopo la sua morte gli hanno intitolato il teatro cittadino), mentre alcuni clienti delle isole Tremiti regalano alla madre una casa situata nell’arcipelago quale compenso per alcuni lavori di sartoria. E alle Tremiti, l’artista non solo trascorrerà le vacanze estive, ma vi aprirà anche uno studio di registrazione. Un Dalla double-face, come lui stesso si definirà: con un’anima nordica, cioè ordinata, efficiente ed esigente e una meridionale, ovvero più disordinata, mistica e sensuale, che lo convertirà alla religione. Nel 1960, intanto, Dalla partecipa con il suo complesso, la Rheno Dixieland Band, al festival europeo del jazz ad Antibes e si classifica primo; compone le sue prime canzoni, “Il prode invertito” e “Avevo un cane... adesso non ce l'ho più”. A fine ‘62 entra a far parte dei Flippers, complesso composto da Franco Bracardi al piano, Massimo Catalano alla tromba, Romolo Forlai al vibrafono e alle percussioni e Fabrizio Zampa alla batteria; Dalla si aggiunge quale voce solista, clarinetto e sax. Con i Flippers, firma il suo primo contratto e suona per alcune sere nella sala Le Roi Lutrario di Torino, dove i padroni del locale non approvano la sua abitudine di esibirsi scalzo. E una sera, si dipinge i piedi per farli sembrare calzini.  Contemporaneamente, in qualità di cantante dei Flippers, inizia a presentarsi al pubblico, rivelando i suoi estemporanei gorgheggi scat, che diverranno in seguito una sua caratteristica vocale. La sua prima incisione scat viene inserita nell'album dei Flippers dal titolo “At Full Tilt”, nella canzone “Hey You”. Coltivando l'ammirazione per lo stile vocale di James Brown, fa uso di una voce volutamente aspra e disarmonica, tesa a ricamare il canto con improvvise variazioni di tono, ai limiti delle più diffuse logiche musicali. Così facendo, impone un proprio marchio di fabbrica, venendo notato da Gino Paoli, che vede in lui il primo cantante soul italiano. Ed è proprio Gino Paoli che lo convince a lasciare i Flippers per tentare la carriera da solista in occasione del Cantagiro del 1963, quando i Flippers cantano “I Watussi” in coppia con Edoardo Vianello. L’anno successivo, il 21enne Lucio Dalla incide il primo 45 giri con le canzoni “Lei (non è per me)” e “Ma questa sera”. Risultato: lanci di ortaggi e pomodori. Solo la durezza e la sua determinazione gli impedirono di desistere. Per nulla scoraggiato, Lucia Dalla va avanti e nel ’66 incide il primo album, “1999”, assieme a “Gli Idoli”, musicisti bolognesi di accompagnamento. Una delle canzoni in esso contenute, “Pafff… bum”, partecipa al Festival di Sanremo e lui la canta in coppia con gli Yardbirds. L’anno successivo, quello del suicidio di Luigi Tenco, si ripresenta con “Bisogna saper perdere”, che renderà famosi i Rokes e Shel Shapiro. Pare che uno dei primi a rinvenire cadavere Tenco sia stato proprio Dalla, che era suo amico, anche perché aveva la camera all’hotel Savoy vicina alla numero 219, divenuta tristemente nota. Dalla affermò poi che la morte di Tenco non lo fece dormire per un mese.

Il suo percorso musical-canoro va nel frattempo avanti con il genere beat: il brano dal titolo “Il cielo” prende parte al Festival delle Rose di Roma e vince ancora il premio della critica, mettendosi in evidenza anche per il suo look stravagante. Una parentesi da narratore e cantante nel film “Franco, Ciccio e le vedove allegre” (è il 1968) e poi nel 1969 un pizzico di notorietà con la canzone “Fumetto”, sigla della trasmissione televisiva per bambini “Gli eroi di cartone”. Uno scarso successo di vendite del secondo album, “Terra di Gaibola”, ma nel 1971 ecco una delle tappe decisive della sua carriera: la nuova partecipazione al Festival di Sanremo con “4 marzo 1943”, su parole di Paola Pallottino. La canzone, eseguita in coppia con gli Equipe 84, entra nel “podio” di quella edizione del Festival: terzo posto assoluto dietro i vincitori, Nada e Nicola di Bari, con “Il cuore è uno zingaro” e i Ricchi e Poveri e Josè Feliciano, secondi classificati con “Che sarà”. Ma prima di essere eseguita sul palco, la censura ci mette le mani: intanto, viene cambiato il titolo originario (era infatti “Gesù Bambino”, peraltro ultime due parole della canzone), perché considerato irriguardoso, tanto più che la storia – come noto – è quella di una ragazza madre che ha un figlio da un soldato alleato rimasto sconosciuto; in secondo luogo, vi sono parti del testo che vengono rielaborate in una chiave meno dissacratrice e triviale per i tempi di allora, visto che alcuni termini forti sono divenuti oggi di uso comune o quasi. È stato allora scelto per titolo la data di nascita di Lucio Dalla, ma si tratta tutt’altro che di un brano autobiografico. Il successo prosegue anche e soprattutto dopo Sanremo: 15 settimane in hit parade e versioni in francese di Dalida e del brasiliano Chico Buarque de Hollanda. La canzone “4 marzo 1943” entra a far parte dell’album “Storie di casa mia”, contenente altri pezzi che porteranno Dalla a diventare un big della musica italiana dopo tanta gavetta. È una musica, la sua, che ricalca il modello folk di Guccini e De Andrè, con gli arrangiamenti che comunque non vanno a invadere il ruolo del narratore e i contenuti dei suoi testi – scritti da Gianfranco Baldazzi, Sergio Bardotti e Paola Pallottino - hanno sempre più argomentazioni di carattere sociale, che daranno una identità ben precisa a Lucio Dalla. Molti i brani da segnalare: la delicata “Un uomo come me”, la toccante “La casa in riva al mare”, “Il gigante e la bambina” (sul tema della pedofilia), “Per due innamorati” e “Itaca”, dialogo metaforico di un marinaio al suo capitano, dove ai cori il musicista fa cantare gli impiegati della Rca. Nel 1972, Lucio dalla torna a Sanremo con quello che si trasformerà in un altro suo successo: “Piazza Grande”, con musica di Ron ed è la commovente storia di un senzatetto; il riferimento è piazza Cavour (e non piazza Maggiore) di Bologna. Un brano destinato a Gianni Morandi, al quale però Dalla non rinuncia; in quella edizione del Festival, vinta ancora da Nicola di Bari con “I giorni dell’arcobaleno” (non si cantava più a coppie), “Piazza Grande” si classifica all’ottavo posto: nulla, rispetto al successo che il brano riscuoterà più avanti, con esecuzione a tutti i concerti e con anche la nascita di una onlus, “Amici di Piazza Grande”, che dal ’93 opera a Bologna per dare cura e assistenza agli indigenti e ai senza dimora; nel 2001, poi, è stato scelto come traccia per la prima prova dell'esame di maturità, collocato nella sezione dal titolo: "La piazza: luogo dell'incontro della memoria”. Cessato il rapporto con i parolieri Bardotti e Baldazzi, inizia a lavorare con il poeta bolognese Roberto Roversi, assieme al quale produrrà tre long playing determinanti per la crescita in Italia della cosiddetta “canzone d’autore”. Dalla intensifica il suo impegno politico dopo l’incontro con Roversi e nei suoi brani si parla di problemi quali immigrazione, speculazione edilizia, delinquenza minorile, cronaca nera più in generale e altri, che in sintesi si possono ricondurre al termine di “denuncia civile”. Si cominciano a trattare anche i temi ecologici: insomma, la musica e il canto si incrociano sempre più con questioni politiche e sociali. Il binomio Dalla-Roversi funziona fino al 1976, quando arriva “Il futuro dell’automobile e altre storie”, spettacolo teatrale ripreso dalla Rai nel gennaio del ’77; Lucio Dalla racconta le gesta del grande campione Tazio Nuvolari, la cui canzone (che comincia con “Nuvolari è basso di statura”) diviene un altro suo grande successo, anche se la raccolta nel disco delle canzoni dello spettacolo genera la rottura fra Dalla e Roversi, che non firma l’album monotematico “Automobili”. Alcune canzoni non vengono incluse nell’album, ma “Nuvolari” ottiene un successo del tutto particolare e Dalla può inoltre esibire la sua notevole estensione vocale, che lo porta di proposito a “urlare” i brani, come se volesse imitare il rombo dei motori. È la differenza di impostazione dialettica (più politica quella di Roversi, più “semplice” quella di Dalla, che si rivolgeva al pubblico) a dividere i due, anche se Lucio Dalla definisce “traumatica” l’avvenuta separazione artistica, perché comincia a capire che d’ora in poi i testi delle canzoni deve scriverli lui.

Ma il trauma è solo presunto: dalla quiete delle Tremiti, nel 1977 esce l’album “Come è profondo il mare”, che contiene anche l’omonima canzone. In perfetta metafora, è un attacco di Dalla al concetto di potere e una predilezione verso la libertà di pensiero. Il suo lessico è apprezzabile e l’album è subito un successo: chi non ricorda, di esso, canzoni come “Quale allegria”, “Il cucciolo Alfredo”, “Corso Buenos Aires” e “Disperato erotico stomp”, da molti bollato perché ritenuto un pezzo funzionale a esigenze più commerciali che culturali, quando invece i fatti diranno che non sarà così? È un Dalla che, rispetto al precedente periodo con Roversi, riesce a conciliare il messaggio della canzone sociale con la semplicità espressiva e con uno spazio maggiore alla musica. Per Lucio Dalla è la svolta: il suo look con lo zucchetto di lana in testa e il clarinetto sempre appresso sono un veicolo di immagine per lui, che oramai è anche autore e comincia a catturare schiere di fan. Nel 1979, l’album che porta il suo nome, appunto “Lucio Dalla”, rimane un anno e mezzo in classifica e vende un milione di copie: è una sorta di “collezione” dei suoi pezzi più famosi, vedi “Anna e Marco”, “L’ultima luna”, “Stella di mare”, “La Signora”, “Tango”, la straordinaria “Milano”, “Notte” e “Cosa sarà”, quest’ultima cantata insieme a Francesco De Gregori. Per non dire della canzone che chiude il disco e che è diventata il ritornello che precede i botti di San Silvestro: “L’anno che verrà”, nel cui tramonto delle utopie e delle illusioni sembra chiudersi idealmente il decennio degli anni di piombo. E con De Gregori, Dalla aveva già inciso nel dicembre del ’78 un altro 45 giri consegnato alla storia: “Ma come fanno i marinai”, che i due dicono di aver composto a pranzo, dopo il caffè. Dalla e De Gregori spopolano poi nel ’79 con il “tour” che prende il nome del loro album: “Banana Republic”, venduto in 500mila copie. Gli stadi si affollano con migliaia di spettatori e l’ascesa del cantautore prosegue nel 1980 con “Dalla” (altro exploit di vendite), esempio di rock d’autore con otto brani presenti: fra questi, ricordiamo “Futura”, “Cara” e la celebre “Balla balla ballerino”, storia di una danzatore pacifista, ma vi sono anche “Mambo” e “Meri Luis”. Per ciò che riguarda “Futura”, è nata dopo la visita al Muro di Berlino e la sosta al punto di passaggio fra la parte ovest e la parte est. Si mise in una panchina a fumare una sigaretta e in quel momento vide Phil Collins sedersi in un’altra panchina a fumare anche lui. Dirà Lucio Dalla: “Mi venne la tentazione di avvicinarmi a Collins per conoscerlo, per dirgli che ero anch'io un musicista. Ma non volli spezzare la magia di quel momento. In quella mezz'ora scrissi il testo di “Futura”, la storia di questi due amanti, uno di Berlino Est, l'altro di Berlino Ovest, che progettano di fare una figlia che si chiamerà Futura”. Il 1981 è l’anno di “Q Disc”, formato studiato per promuovere nuovi artisti e ospitare cantanti già affermati; il successo da ricordare è “Telefonami tra vent’anni”. A fine ’81, nascono gli Stadio, che interpretano le canzoni scritte da Dalla, al quale l’attore Carlo Verdone dedica il film “Borotalco”. Il lancio di quest’ultimo è accompagnato dalla canzone “Grande figlio di puttana”, scritto da Lucio Dalla assieme a Gaetano Curreri e Giovanni Pezzoli. Per i tre, David di Donatello e Nastro d’argento per la miglior colonna sonora. Lucio Dalla lascerà gli Stadio nel 1984 per tornare con loro nell’85, anno dell’uscita di “Bugie” con in testa “Se io fossi un angelo”, ma con anche “Ribot” e “Luk”. E con gli Stadio, nel 1986 va in tournee negli Stati Uniti e dal concerto di New York verrà estratto l’album “DallAmeriCaruso”. L’unico inedito dell’album e il celeberrimo “Caruso” (disco di platino e Targa Tenco come miglior canzone dell’anno), dedicato agli ultimi giorni di vita del grande tenore. È il capolavoro di Lucio Dalla, che verrà ripreso poi anche Andrea Bocelli e Luciano Pavarotti: con quasi 9 milioni di vendute, si è piazzato al secondo posto dietro “Nel blu dipinto di blu” fra le canzoni italiane di sempre più conosciute nel mondo. Una sosta a Sorrento per il guasto alla sua barca, l’alloggio nell’albergo e nella stessa stanza del tenore e la sua storia d’amore con un’allieva: questi gli ingredienti di “Caruso”, nata per caso ma interpretata anche con frasi in dialetto e divenuta di fama mondiale.

L’anno 1988 è quello di “Dalla/Morandi”, disco da 15 tracce con i successi dei due amici e la canzone “Vita” segnerà il rilancio di Morandi, mentre il 1990 è quello del balletto di Attenti al lupo”, brano scritto da Ron e ammiraglio dell’album “Cambio”, che aprirà la fase pop degli ultimi anni. Dalla lo vuole interpretare in chiave teatrale con al fianco due ragazze nel videoclip; risultato: un vero e proprio tormentone che scala le classifiche. Nel 1993 è la volta di “Henna” e nello stesso anno vince il premio Librex Montale nella sezione “Poetry for Music”, ma con i suoi successi non è finita: nel 1996 è la volta di “Canzone” e nel ’98 è di nuovo con Roversi, che aveva scritto i testi dello spettacolo “Enzo re”, mentre Dalla è l’autore delle musiche. Il 9 settembre 1999 – quindi il 9/9/99 – dalla riceve la laurea “honoris causa” in Lettere e Filosofia e pubblica e “Ciao” è l’ennesimo successo della lunga catena. I tour del 2000 registrano il tutto esaurito, ma lui non smette di produrre: nel 2001 firma “Luna Matana”, dove è contenuto “Kamikaze”, che i più interpretano come reazione agli attacchi terroristici dell’11 settembre, ma lo stesso Dalla smentirà decisamente e nel 2003 si dedica alla musica lirica, inscenando e componendo la sua “Tosca - Amore disperato”, tratta dal capolavoro di Giacomo Puccini, poi nel 2006 pubblica “12000 lune”, raccolta di tutti i suoi grandi successi in un triplo cofanetto con in copertina un disegno suo di Milo Manara e nel 2007 collabora con il teatro comunale di Bologna e con il produttore discografico Gianni Salvioni per il “Pulcinella” di Igor Fedorovic Stravinskij. Risale invece al 2008 la messa in scena de “L’opera del mendicante” di John Gay. Seguono poi altri album e in avvio di 2010 la notizia a sensazione: dopo 30 anni, salvo la parentesi di Capodanno ad Assisi, Lucio Dalla e Francesco De Gregori tornano insieme in concerto – titolo “Work in Progress” - il 22 gennaio al Vox Club di Nonantola (Modena). Il tour in coppia va avanti per oltre un anno (c’è anche il Concerto del Primo Maggio 2011) e si conclude il 20 maggio 2011 a Saint Vincent. “Questo è amore” è infine l’ultimo disco pubblicato in vita dal cantautore bolognese, un doppio cd che contiene solo canzoni d’amore da lui scritte fra il 1971 e il 2009. Un ritorno a Sanremo il 14 febbraio 2012 nelle vesti di cantante e direttore d’orchestra, accompagnando il giovane cantautore Pierdavide Carone, ma il destino è purtroppo in agguato. Il 29 febbraio tiene a Montreux il suo ultimo concerto e nella cittadina svizzera muore il giorno dopo, 1° marzo, a causa di un infarto che gli impedisce per soli tre giorni di compiere 69 anni. I primi a dare la notizia sono i frati della basilica di San Francesco ad Assisi con un Twitter alle 12.10 e il giorno del 69esimo compleanno si trasforma in quello dell’ultimo saluto nella cattedrale di San Petronio davanti a 50mila persone e a una schiera di autorità. I Comuni di Bologna e Isole Tremiti proclamano il lutto cittadino. A due anni di distanza dalla morte, il 26 febbraio 2014, viene costituita la "Fondazione Lucio Dalla", con relativa ufficializzazione a partire dal giorno 4 marzo 2014. La fondazione, con sede nella sua casa di via D'Azeglio a Bologna, ha come obiettivo principale quello di valorizzare l'esperienza e il patrimonio culturale dell'artista.

Redazione
© Riproduzione riservata
03/06/2020 14:34:44

Giulia Gambacci

Giulia Gambacci - Laureata presso l’Università degli Studi di Siena in Scienze dell’Educazione e della Formazione. Ama i bambini e stare insieme a loro, contribuendo alla loro formazione ed educazione. Persona curiosa e determinata crede che “se si vuole fare una cosa la si fa, non ci sono persone meno intelligenti di altre, basta trovare ognuno la propria strada”. Nel tempo libero, oltre a viaggiare e fare lunghe camminate in contatto con la natura, ama la musica e cucinare.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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