Chiudete anche i teatrini
Non si vota solo per non perdere la poltrona
In questi lunghi mesi dall’inizio della pandemia, tra le libertà che ci sono state tolte da questo virus vigliacco, vi è anche quella fondamentale dell’accesso ai luoghi di cultura. Davanti alle folle e agli assembramenti visti anche in questi ultimi giorni, continua ad essere incomprensibile la prolungata chiusura dei musei e teatri. Non credo ci voglia molto con le moderne tecnologie e applicazioni programmare gli accessi ai luoghi di cultura al fine di impedire code ed assembramenti. Ma si sa, la cultura in Italia ha sempre un rilievo residuale rispetto al potere ed alle pressioni politiche che sanno imprimere altri settori. Peccato, perché se c’è una cosa che abbiamo in abbondanza e che non è possibile delocalizzare è proprio il nostro asset culturale. Mi riferisco ai numerosi siti e musei, per essere più completi credo che abbia ragione chi ha definito l’Italia come il più grande museo del mondo a cielo. Ma la cultura italiana non offre solo una proposta culturale artistica e culturale per così dire statica come i musei o siti archeologici ma anche dinamica insita nella produzione cinematografica e teatrale. Il teatro, luogo di cultura per eccellenza. Un luogo non solo di svago ma anche di formazione culturale fondamentale. Chiudere i teatri è come impedire alle persone di leggere un libro. Teatri chiusi significa chiudere la parte più profonda della cultura italiana che proprio nel teatro getta le proprie fondamenta. Non mi riferisco solo ai teatri delle grandi città, quelli più famosi ma soprattutto ai teatri di provincia, quelli che con risorse di fatto inesistenti hanno saputo proporre da sempre vere e proprie eccellenze. Siamo in Valtiberina e non è difficile trovare, anche nei nostri piccoli comuni, esempi straordinari di ciò che sto dicendo. Ovviamente e aggiungo, purtroppo tristemente, per trovare ristrettezze economiche in questo campo non è necessario fare riferimento all’attuale periodo dovuto dalla pandemia. In questo settore le risorse sono sempre state scarse se non inesistenti da sempre, ma nonostante ciò, il teatro, anche quello forgiato nella provincia italiana ha saputo produrre e dare spunti interessanti di riflessione culturale al nostro Paese. Del resto non ci si può meravigliare se i teatri sono e restano chiusi nel silenzio generalizzato quando contestualmente si chiudono scuole e Università nell’illusione che l’apprendimento davanti ad un Pc sia anche lontanamente un surrogato accettabile di quella vita che banalmente inizia con il suono di una campanella. Tutto questo nel silenzio generalizzato. Ovviamente l’apertura di tali luoghi deve essere programmato, seguito, strutturato seguendo scrupolosamente le norme anti contagio. Però diciamoci la verità, purtroppo il rischio di assembramento davanti ad un teatro oppure davanti ad un museo non mi pare che nel nostro Paese sia paragonabile davanti a quello che si crea di norma davanti ad un spritz. Ovviamente ne novero dei luoghi di cultura chiusi senza generare alcun dibattito in merito vi sono anche le scuole di musica, di danza, di ballo e l’elenco potrebbe continuare a lungo. In tutto questo si rileva che ci sia una forma di sub cultura che però trova ancora il luogo per esprimersi, il teatrino. Teatri chiusi e teatrini aperti. Mi riferisco a quegli spettacolini ai quali siamo costretti ad assistere in questi giorni, messi in scena nel tristemente ormai famoso teatrino della politica. Ancora dall’Europa non hanno erogato un euro all’Italia dei, per ora solo promessi, 209 miliardi di euro è già si è scatenata la guerra a chi affonderà per primo il dito nella panna. Il Paese è in ginocchio dal punto di vista sanitario ed economico, oserei aggiungere anche psicologico e, noi comuni mortali, siamo costretti ad assistere a minacce di rimpasti di governo, tira e molla, incontri più o meno segreti, verifiche. Siamo stremati. Peraltro il teatrino compie tutta la sua insopportabile liturgia in quanto tutti sanno che, anche davanti ad una crisi di governo conclamata non si andrà mai ad elezioni e dunque il popolo non potrà che assistere a tutto questo da mero spettatore potendo solo fare due cose: applaudire, attività riservata ai soliti tifosi; o fischiare. Teatrino perfetto.
E perché non si andrà al voto?
Il primo motivo è perché molto banalmente non esiste attualmente una legge elettorale che lo consenta dato che dopo l’esito referendario sulla riduzione del numero dei parlamentari ancora non è stata licenziata una nuova legge elettorale. Il secondo motivo è insito nel combinato disposto della riduzione del numero dei deputati e i sondaggi attuali, in caso di elezioni si determinerebbe la fine di intere forze politiche ora saldamente al governo e determinanti sotto il profilo parlamentare, nonché il ritorno a casa di parlamentari che si ritroverebbero a casa e che, solo per questo motivo, sarebbero disposti a votare la fiducia al governo “laqualunque” piuttosto che rinunciare ad altri tre anni di stipendio. La sceneggiata in atto è conosciuta, non vi è nulla di inedito e l’atto finale è già scritto. Tutto si risolverà con qualche sgabello in più o con una fetta di torta più grande, o più probabilmente con entrambe le cose. In ogni caso è bene che il tutto finisca subito perché il popolo italiano è davvero stremato e a questo giro il rischio di scottarsi le mani con la torta ancora nel forno è davvero elevato.
Giacomo Moretti
Nato ad Arezzo – Dopo aver assolto agli obblighi di leva comincia subito a lavorare, dalla raccolta stagionale del tabacco passa ad esperienze lavorative alla Buitoni e all’UnoaErre. Si iscrive “tardivamente” all’età di 21 anni alla Facoltà di Giurisprudenza di Urbino dove conseguirà la laurea in corso. Successivamente conseguirà il Diploma presso la Scuola di Specializzazione per le professioni legali. Assolta la pratica forense, nel 2012 si abilita all’esercizio della professione forense superando l’esame di stato presso la Corte d’Appello di Firenze. Iscritto all’Ordine degli Avvocati di Arezzo esercita la professione forense fino al dicembre 2016. Attualmente si è sospeso volontariamente dall’esercizio della professione di avvocato per accettazione di incarico presso un ente pubblico a seguito della vincita di un concorso. Molto legato al proprio territorio, Consigliere comunale ad Anghiari per due consiliature consecutive. Pur di non lasciare la “sua” Anghiari vive attualmente da pendolare. Attento alla politica ed all’attualità locale e non solo, con il difetto di “dire”, scrivere, sempre quello che pensa. Nel tempo libero, poco, ama camminare e passeggiare per la Valtiberina e fotografarne i paesaggi unici.
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