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AstraZeneca e J&J sono due vaccini con adenovirus, di cosa si tratta?

"Come funzionano davvero"

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Ne abbiamo sentito parlare moltissimo nell'ultimo periodo: si tratta dei vaccini AstraZeneca e Johnson&Johnson con adenovirus, tra i principali componenti dei vaccini a vettore virale. Anche il russo Sputnik V utilizza la stessa piattaforma ma il suo uso non è previsto (al momento) nella campagna vaccinale italiana.

Cosa sono e come sono utilizzati

Al di là del nesso o meno con le rarissime trombosi che AstraZeneca avrebbe provocato soprattutto nelle donne di giovane età, in ambito microbiologico l'adenovirus è una famiglia di virus con cui si può venire in contatto nel corso della vita e responsabile di una vasta gamma di sintomi molto simili all’influenza tra cui febbre, infiammazione delle vie respiratorie e dell’apparato digerente. Sono almeno un centinaio i sierotipi (specie) diversi e sono stati scoperti nel 1953. "Sono virus a Dna a struttura ecosaedrica e sono agenti eziologici delle infezioni alle vie respiratorie. Ve ne sono di varie specie e per varie specie: adenovirus come vettori dei vaccini che non fossero infettanti per gli umani sono stati trovati nelle specie antropomorfe come gorilla e scimpanzè", afferma in esclusiva per ilgiornale.it il Prof. Giovanni Di Perri, Direttore del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Ospedale Amedeo di Savoia e della Scuola di Specializzazione in Malattie Infettive dell’Università degli Studi di Torino. Affinché ci si possa immunizzare, l'organismo umano deve sperimentare virus contro i quali non è entrato in contatto perché "uno dei problemi dei vaccini vettoriali è la possibilità che ci si possa sensibilizzare contro lo stesso vettore: AstraZeneca ha un vettore adenovirale di scimpanzè, Johnson&Johnson ha l'adenovirus A26, un adenovirus umano rarissimo", ci spiega Di Perri.

"Cammino più tortuoso di quelli ad Rna"

Ma cos'è un adenovirus umano rarissimo? "Faccia conto che se abbiamo una certa probabilità di infettarci con 3-4 sierotipi specifici, ce ne sono alcuni con i quali ci infettiamo rarissimamente come nel caso di A26", spiega l'infettivologo. Come anticipato, gli adenovirus possono scatenarci piccole infezioni respiratorie alle alte vie aree di scarsa importanza come mal di gola e raffreddore. Nel caso dei vaccini anti-Covid, AstraZeneca ha scelto un virus di scimpanzè privato di un segmento per cui non può replicarsi nelle nostre cellule. "In questo vettore virale viene inserito il Dna che codifica la famosa proteina Skipe: all'interno della nostra cellula ha un cammino un po' più tortuoso rispetto ai vaccini di Pfizer e Moderna perché questi danno uno stampo bello e fatto mentre, nel caso dei vettori virali, il Dna deve entrare nel nucleo della cellula. Una volta nel nucleo, la parte del Dna che codifica per la proteina Spike lo trasforma in Rna messaggero, tale e quale quello che direttamente viene portato Pfizer e Moderna", afferma Di Perri. In pratica, quindi, con i vaccini adenovirali c'è un passaggio in più ed è per questo motivo l'immunizzazione richiede un tempo leggermente più lungo. È importante aprire una piccola parentesi: per tutti quelli che "ma non è che il vaccino mi cambia il Dna?", il Dna umano in questo caso non c'entra nulla perché si parla del Dna del virus. "Questo Dna, ciò che non codifica per la proteina Spike non viene tradotto perché sono stati messi dei blocchi, delle triplette, lasciando libera soltanto la sequenza che codifica per la proteina. È questo che ci serve per portarla dentro", spiega.

Adenovirus e terapia genica

Come riportato da Biomedicalue, la terapia genica è quel filone di ricerca che si pone come obiettivo si curare malattie genetiche sostituendo un gene difettoso, oppure aggiungendo uno o più geni che possano mettere in moto un meccanismo utile alla cura. Per riuscire in questo obiettivo, è necessario utilizzare dei vettori efficaci per introdurre questi geni all’interno delle cellule desiderate: tra questi vettori virali figurano, proprio, gli adenovirus."È ancora un'entità sperimentale: quando vogliamo portare Dna all'interno delle nostre cellule nella speranza di sostituire un segnmento difettoso, mi posso avvalere di questi virus che raggiungono il nucleo della cellula", afferma il Prof. Di Perri. La ricerca sta investendo tanto in questo settore ed i primi risultati si stanno osservando nella cura per la fibrosi cistica, una malattia genetica dovuta ad un’alterazione del trasporto di cloro attraverso la membrana cellulare. In questo caso, gli adenovirus sono stati impiegati come vettore virale per rilasciare nelle cellule di interesse la copia del gene sano che codifica per quella proteina.

AstraZeneca e J&J solo per Over 60

Nonostante l'Agenzia Europea del farmaco (Ema) abbia deciso di approvare l'uso del vaccino J&J per tutte le categorie d'età, la nostra Aifa ne ha limitato un uso preferenziale nella fascia d'età Over 60. Il motivo è presto detto: entrambi i vaccini, seppur con due adenovirus differenti, utilizzano comunque la stessa piattaforma "incriminata" per le rare forme tromboemboliche nella popolazione più giovane. "AstraZeneca ha due casistiche ben caratterizzate, una europea ed una solo inglese: in quella inglese ha incidenza di 1,8 per milione, in quella europea 4,8 per milione. Tra questi pochi casi che ci sono stati, statisticamente c'è qualcosa che faccia sospettare un legame. Per J&J, ma in generale, ci sarà una farmacovigilanza molto attenta", sottolinea Di Perri.

Cambierà la strategia vaccinale?

L'Europa, per il futuro, è molto più propensa ad andare nella direzione dei vaccini ad Rna escludendo, di fatto, vaccini ad adenovirus come AstraZeneca, J&J e lo stesso Sputnik. "Da un punto di vista commerciale capisco che sia una direzione che venga presa: adesso siamo in tempi di guerra e si accetta tutto. Quando, invece, la pandemia diventerà soltanto un problema di gestione a lungo termine, ci si sentirà meno minacciati diventando più selettivi". L'infettivologo spiega, però, come sia un errore accantonare i vaccini adenovettoriali visto il successo dell'unico prodotto testato e provato nel recente passato. "Prima del Covid, in commercio c'era soltanto quello contro l'Ebola della Johnson&Johnson, molto credibile nel settore perché ci lavorava già da tempo. È un'opportunità estremamente ghiotta dal punto di vista della ricerca: gli adenovirus sono ottimi vettori di Dna da portare nei nuclei - afferma - Semplicemente, sarà necessaria un'ulteriore revisione degli studi perché il modello è interessantissimo e permetterebbe di rivedere tutta una serie di strategie. Il concetto rivoluzionario è di far produrre la proteina alle nostre cellule invece di immettere nel nostro sistema immunitario una proteina preformata come accade con l'antitetanica". In questo modo si potrebbe superare la quantità di anticorpi prodotti dopo l'infezione naturale che non sembrano durare molto a lungo. "Probabilmente si riuscirebbe a superare la quantità di anticorpi rispetto a quelli prodotti dalla malattia stessa che provoca un'immunità un po' evanescente. Non è certamente una strada da abbandonare".

Una volta completata la vaccinazione per gli Over 60, cambierà la stratategia vaccinale per gli Under 60? "Bisogna capire cosa accadrà: Pfizer ha promesso di aumentare le dosi rispetto a quelle promesse ma l'Italia ha tante prenotazioni anche con CureVac, il vaccino tedesco ad Rna - afferma di Perri - Può darsi che il grosso della torta se lo divideranno questi due. In ogni caso, finora non c'è uno studio di un vaccino contro l'altro, non è appropriato confrontare l'efficacia in un suo studio contro l'efficacia di un vaccino in un altro studio. Anche se, diciamoci la verità, i vaccini ad Rna messaggero, con i limiti del confronto improprio appena descritto, probabilmente sono anche un po' più efficaci", conclude.

Notizia e foto tratte da Il Giornale
© Riproduzione riservata
24/04/2021 20:49:01


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