Undici persone indagate per reati fiscali, tra questi anche l'ex presidente della provincia Vasai

Il procuratore Rossi ha chiuso le indagini sulla cooperativa Agorà di Arezzo
Nelle Rsa ospitavano e accudivano gli anziani e i disabili ma giravano sistematicamente le spalle al fisco. Per il procuratore Roberto Rossi, che in questi giorni ha chiuso le indagini sulla vicenda Reses (ex Agorà d’Italia), c’era una associazione a delinquere che nel mondo delle cooperative sociali, tra case di riposo e strutture dedicate ai disabili, operava per eludere il fisco.
Sono undici le persone indagate e per otto è contestata, appunto, l’associazione finalizzata ai reati fiscali. Si tratta di Daniele Mazzetti, il patron del sistema cooperativistico, Roberto Vasai ex presidente della Provincia di Arezzo, Letizia Beoni, presidente del consorzio Reses, il contabile Alessandro Corsetti e poi Umberto Ferrini, Maria Rosaria Esposito, Alessandro Ghiori (nulla a che vedere con il commercialista aretino, è un caso di omonimia), Andrea Fedi. Sono chiamati in causa, a titolo diverso, per una serie di attività che complessivamente avrebbero determinato un dribbling al fisco e alle imposte, dal 2016 al 2019, per circa 5 milioni di euro, molto meno dei 25 milioni contestati all’inizio.
Gli altri tre indagati raggiunti dall’atto di conclusione delle indagini, con ruoli secondari, sono Tommaso Papini, Luca Innocenti e Aniello Sequino. Nel frattempo le cooperative del consorzio finito sotto inchiesta proseguono le attività con una nuova conduzione - risultata estranea all’inchiesta- nelle strutture tra Arezzo e le sedi del centro e nord Italia. Servizi agli anziani e disabili regolarmente garantiti, pagamenti ai dipendenti seppur con qualche difficoltà, bilancio in sesto e, in vista, una possibile acquisizione da parte di un soggetto imprenditoriale che ha manifestato interesse.
Quanto al passato, secondo la procura di Arezzo il giochetto messo in atto per ingannare il fisco era questo: le numerose società cooperative affiliate al consorzio, che inizialmente si chiamava l’Agorà d’Italia, venivano costituite affidandone l’amministrazione formale a dei prestanome e ad esse il consorzio girava gli appalti pubblici per la gestione delle residenze sanitarie. Poi, dopo aver ricevuto dalle coop i compensi, venivano avviate a liquidazione o fallimento perché nel frattempo si erano creati ingenti debiti tributari e contributivi. Compensazione di crediti inesistenti e omessi versamenti di ritenute d’acconto erano gli strumenti - con false documentazioni fiscali a supporto - per commettere la frode sulle pubbliche forniture, incamerare gli utili in barba a fisco, enti previdenziali e fornitori. Promotore di questo meccanismo viene indicato Mazzetti, dominus e amministratore di fatto del consorzio.
Entravano poi in gioco - sempre nell’ipotesi accusatoria tutta da dimostrare - il ragioniere Corsetti, consulente fiscale che avrebbe operato nell’elusione e sottrazione di imposte e la presidente Beoni stretta collaboratrice di Mazzetti. I tre finirono agli arresti la scorsa primavera. Ferrini viene poi indicato dal pm come prestanome, Ghiori avrebbe gestito la fase di liquidazione delle cooperative, Esposito è tirata in ballo come coordinatrice delle case famiglie, Vasai quale procuratore speciale del consorzio e socio di cooperative, mentre Fedi è definito contabile collaboratore del ragioniere Corsetti. [TESTO]Gli avvocati impegnati nel caso sono Luca Fanfani, Roberto Alboni, Roberto e Simone De Fraja, Elisa Baldocci, Francesco Di Giuseppe, Andrea Santini, Michele Baldi, Paolo Alpini, Lorenzo Lorenzoni, Antonella Fontana, Lorenzo Pisano. Uscito di scena il funzionario Asl Francesco Squillante, difeso dall’avvocato Nicola Detti, per il quale l’ipotesi d’accusa si è rivelata un equivoco.
In attesa dell’udienza per le richieste di rinvio a giudizio c’è ulteriore spazio per presentare memorie o chiedere interrogatori. Nei colloqui sostenuti mesi fa gli indagati hanno già offerto chiarimenti: nessuno si è arricchito e l’obiettivo casomai - hanno sostenuto le difese - era quello di tenere in piedi un sistema complesso che presentava difficoltà economiche. Le crisi delle cooperative sarebbero state reali, non artificiose e si cercava di porre rimedio alla coperta troppo corta. Vedremo.
Nel calderone delle indagini erano finite intercettazioni colorite come: “Siamo a buon punto per fare qualche intrallazzo...”; “Hanno capito che è tutto un giochino, riconducibile alla stessa cosa”; “Come al solito il consorzio ha utilizzato i soldi per altri scopi anziché girarli alla cooperativa per pagare i dipendenti”.
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