Crisi della chianina, stalle piene e richieste in forte calo
Perché la carne Chianina non è più appetibile come una volta?
Il territorio è quello toscano diviso tra le province di Arezzo e di Siena. Parlare di Chianina è un capitolo importante della cultura gastronomica, ma anche professionale che fonda le proprie origini nel passato. È una razza bovina del centro Italia: su questo non c’è dubbio, la quale presenta delle caratteristiche ben precise. È allevata in territori delineati che nonostante la distanza non si differenziano di molto: sono la Valtiberina e la Valdichiana, quest’ultima in parte aretina e in parte senese essendo zone di confine, seppure nel tempo si è allargata anche ad altre aree. Nell’ultimo periodo, però, la Chianina sta attraversando un periodo buio e oltretutto ad intermittenza con accenni di risalita ed interesse seguiti poi da cali importanti. La questione è ben presto scritta: le stalle sono piene, mentre le richieste in forte diminuzione per quello che di fatto è un must della cultura e della storia sia toscana che italiana. Ma allora cosa c’è realmente che non va? Perché la carne Chianina non è più appetibile come una volta? Tanti punti interrogativi in un settore che è stato, ma lo è tuttora, eccellenza e fiore all’occhiello. I numeri recentemente pubblicati da una delle associazioni di categoria di riferimento parlano fin troppo chiaro: negli ultimi 10 anni gli allevatori di razza Chianina nella provincia di Arezzo sono diminuiti del 27%, e il numero dei capi nelle stalle è sceso del 20% rispetto al 2013. L’emorragia è forte, soprattutto nelle aree più marginali dove in aggiunta mancano anche i servizi.
LA CHIANINA NELLA STORIA
Tra le ipotesi più avvalorate della sua origine, fondata da ragioni storiche su anche sculture e pitture, la Chianina è conosciuta e apprezzata fin dall’antichità. Plinio il Vecchio ne parla addirittura come razza da lavoro allevata dai romani e dagli etruschi: per il suo candido mantello bianco e la grande mole, era poi utilizzata nei cortei trionfali e nei sacrifici alle divinità. Inoltre, secondo alcuni studiosi, la testa di toro scolpita sopra un’area romana del I secolo dopo cristo, rinvenuta nei pressi di Asciano (Comune confinante con la Valdichiana), ed il toro italico che figura nel rame manufatto nel Lazio ai primi del IV secolo A.C. sono due riproduzioni di un animale che per le sue caratteristiche morfologiche è molto somigliante alla razza Chianina. Bovini, quindi, che nel tempo dalla zona della Valdichiana – come è facile associare la provenienza del nome ‘Chianina’ - si sono diffusi nel resto dell’Italia Centrale superando, nel secondo dopoguerra, anche gli oceani per raggiungere il Sud America, l’Australia, il Canada e gli Stati Uniti. La Chianina è inoltre conosciuta per il suo gigantismo somatico e per essere classificata come una delle migliori razze bovine da carne al mondo. In passato, però, veniva utilizzata principalmente per il lavoro agricolo, ma dal 1931 è stata selezionata anche per la produzione di carne. Questi animali sono facilmente riconoscibili per il loro mantello bianco porcellana e per le sue straordinarie dimensioni tale da essere classificata come la più grande al mondo tra la sua specie. Alle caratteristiche di gigantismo somatico ed ai forti accrescimenti di peso, la Chianina coniuga un’estrema resistenza a condizioni ambientali difficili e un grado di facilità di parto, fattori zootecnici essenziali per la produzione di carni commercialmente superiori perché magre e con eccellenti caratteristiche organolettiche. Questo perché la Chianina viene allevata in maniera estensiva. Le caratteristiche che distinguono la razza Chianina, rispetto alle altre che comunque sono sempre di ottima qualità, sono appunto il gigantismo somatico, il tronco lungo e lo scheletro leggero. È un animale in grado di adattarsi ai vari ambienti e con modiche richieste alimentari tali da renderlo ‘elegante’.
LA QUALITÀ DEL PRODOTTO
Le sue caratteristiche organolettiche sono sicuramente uniche: la Chianina è una carne magra, oltretutto con un apporto calorico limitato ma a differenza delle carni bianche è molto più ricca di ferro. Ha pure un marchio: è quello IGP, acronimo che sta per Indicazione Geografica Protetta. Questa carne, infatti, lo ha ottenuto perché il suo sapore, la sua consistenza e la sua qualità sono strettamente legati all’allevamento tradizionale in Toscana, più precisamente in Valtiberina e Valdichiana. I bovini che regalano il miglior prodotto sono quelli di taglia grande, la migliore è quella della femmina che presenta una carne di colore rosso vivo, grana consistente, elastica e soda. Possono, infatti, arrivare a pesare 1800 chili i maschi e 1000 le femmine. Capi che prevalentemente vengono allevati al pascolo godendo di una vita sana e naturale con un’alimentazione corretta: la Chianina non è una razza adatta agli allevamenti intensivi e quindi necessita di tempi di crescita più lunghi per raggiungere quello che poi sarà il peso ottimale per la macellazione, contribuendo così alla superiorità della loro carne. Questo comunque per dire che il gusto e la consistenza della Chianina sono altresì influenzati dal metodo di allevamento: animali che solitamente vengono allevati al pascolo, brucando l’erba e il fogliame beneficiando quindi dell’ambiente naturale e dei mangimi selezionati. Aspetti che assicurano il benessere degli animali ma anche la qualità delle loro carni. È provato scientificamente da studi universitari che tale carne è quasi in assenza di colesterolo e grazie al tipo di allevamento riesce a separare il magro dal grasso. Questo per dire che oggi la carne Chianina non solo continua a essere un prodotto di eccellenza nella gastronomia italiana ed un ingrediente di alta qualità, ma rappresenta anche un importante elemento culturale oltre che storico; carne che viene celebrata pure in vari eventi culturali e gastronomici.
DA REGINA A CENERENTOLA
Ognuna ha una sua caratteristica. Andando in giro per l’Italia, ma superando anche quelli che possono essere poi i confini nazionali, nei ristoranti e macellerie troviamo tante razze bovine da carne. Questione di gusto, ci mancherebbe, e difficile dire una è meglio dell’altra. Oltre alla Chianina, quindi, c’è la Fassona Piemontese oppure la razza Marchigiana, quella Romagnola e il Bufalo Italiano. È facile, poi, imbattersi anche nell’Aberdeen Angus, nel Wagyu e la carne Kobe. Razze, quindi, che nel tempo hanno preso sempre più campo con i giovani che hanno voglia pure di sperimentare. Questa, infatti, può essere una – ma non la sola - delle potenziali cause della crisi che la Chianina sta attraversando. Era la regina incontrastata, simbolo dell’agricoltura e delle terre sottratte alla palude, un elemento del paesaggio, apprezzata per le sue qualità ma anche la capacità di evocare la tradizione della campagna toscana. Oggi, però, rischia di essere la cenerentola in un mercato che continua a modificare i suoi usi, le sue abitudini e i suoi gusti, dove il consumo di carne è in continua discesa stritolato da nuove tendenze che cominciano ad avere riflessi importanti sui consumi. E in calo è anche il consumo di carne rossa, sempre più sostituita da carni bianche. Il rischio? È di assistere a una continua e progressiva emorragia di aziende che cessano la produzione e con essa anche il presidio del territorio. “Le nostre stalle restano piene – dice Marcello Polverini, storico allevatore di Chianina con sede a Sansepolcro – e l’indice di apprezzamento di questa razza è del tutto in calo. Fatichiamo a vendere i capi, nonostante il prezzo di mercato si sia progressivamente abbassato fino a posizionarsi sui livelli delle altre razze. L’allevamento della Chianina richiede una gestione complessa, oltre che costosa, la quale purtroppo oggi non è più remunerativa. Negli ultimi anni, poi, abbiamo assistito ad un vero e proprio crollo delle richieste: oramai si tende a mangiare meno carne e i canali di vendita si sono di conseguenza ristretti. Senza considerare che l’affermazione di nuove realtà commerciali ha svalorizzato il prodotto”. Polverini, poi, porta anche qualche esempio tangibile. “Pensate che oggi basta appena un 20 per cento di questa carne, per fare di un hamburger un hamburger di Chianina. Questo per dire che è assolutamente necessario avviare una campagna complessiva di tutela del prodotto, insieme ad un autentico programma di informazione e comunicazione adeguato a promuovere quella che possiamo urlare ad alta voce una vera e propria eccellenza dove da anni tanti allevatori della zona si dedicano con impegno e passione”. Ma Polverini si sofferma anche su altri aspetti. “Dico che il termine corretto per definire la carne Chianina è fragrante: potresti mangiarne quasi all’infinità e il suo gusto non stanca mai. Una crisi che è iniziata, a livello temporale, subito dopo il Covid ma non certamente per colpa della pandemia. Il costo della ‘carcassa’, con questo termine viene inteso il peso morto dell’animale deviscerato, ad oggi si attesta attorno ai 6 euro al chilo, quando fino a poco tempo fa non si scendeva affatto sotto gli 8.5 euro; tutto ciò, però, con costi di produzione triplicati dall’inizio del conflitto in Ucraina poiché gran parte dei cereali arrivava proprio dall’est Europa. Non si capisce, quindi, il motivo per il quale nella distribuzione al consumatore finale la Chianina è aumentata di prezzo. Vero è che la parte agricola non è stata in grado di creare filiere per arrivare direttamente in macelleria, bensì i grandi colossi alimentari hanno preso in mano tutto il mercato: migliaia in tutta Italia sono le aziende che allevano, ma chi ritira il prodotto sono 3-4 realtà, quindi industrie, che di fatto dettano legge. Faccio un altro esempio. Quando si parla di bistecca fiorentina bisognerebbe legare questo nome alla Chianina, mentre per ‘fiorentina’ si intende solo un taglio di carne; proposta che avevamo fatto come gruppo di allevatori, ma che non è stata accettata”. L’allevatore di Sansepolcro, però, ha anche delle soluzioni. “La prima è quella di mettersi insieme come allevatori per riuscire a chiudere la nostra filiera, quindi fare anche il selezionamento della carne. Bisognerebbe arrivare a commercializzarla alla media e grande distribuzione, senza intermediari. Farlo direttamente noi a livello imprenditoriale, seppure mi rendo conto che non sia affatto semplice. La seconda, invece, è quella di rivalutare il prodotto: in tutte le famiglie italiane i pezzi migliori della carne – spesso chiamato ‘Boccon ghiotto’ - si riservano sicuramente ai bambini e alle persone anziane, pertanto in tutte le mense scolastiche, negli ospedali o nelle Rsa anziché fare aste al ribasso al miglior prezzo, facciamole sì ma al miglior prezzo guardando la qualità della carne. La politica lo può fare anche a livello nazionale: dico, quindi, miglior prezzo ma con le caratteristiche e la qualità del prodotto”.
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