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Piero Pasqui: La "madre" è il segreto del mio vin santo

Il biturgense può fregiarsi di una collezione privata che parte addirittura dal 1962

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Le passioni di una persona sono le più disparate, nessuna è opinabile purché fatta con dedizione e impegno. Insomma, occorre crederci. E Piero Pasqui crede nella sua. Eccome! È quella per il vin santo, tantoché può fregiarsi di una collezione privata che parte addirittura dal 1962. Tutto per pura passione, tiene bene a precisare ed il prodotto viene consumato in famiglia in ogni buona occasione che si presenta nel corso dell’anno. Classe 1941, il signor Pasqui è in pensione da oltre un ventennio seppure il suo trascorso lavorativo è stato all’interno dello stabilimento Buitoni di Sansepolcro. “E’ una tradizione di famiglia e come tale mi sono sentito in dovere di portarla avanti – ci racconta – nonostante gli anni passano e i capelli diventano sempre più bianchi: lo faceva mio nonno, ha proseguito mio padre e oggi ci sono io che conservo gli antichi barili e le barrique; ma la generazione va avanti, poiché oggi mi aiutano i figli e ci sono già i nipoti seppure ancora piccoli. Questo per dire che, volendo, saremo già alla quinta generazione attiva. Una passione, come detto, che si tramanda tra segreti e tanta pazienza nell’aver cura in primis della vigna e poi del prodotto perché come ben sappiamo, la natura comanda e non tutte le stagioni sono uguali”. Ci spieghi meglio questo concetto. “Avete mai sentito parlare di resa delle olive? Nel vin santo è la stessa cosa: indicativamente tutti gli anni raccogliamo sempre lo stesso quantitativo di grappoli, ma alla fine il risultato – quindi il vin santo prodotto – non è sempre lo stesso. Dipende dalle condizion del grappolo, raccolto sempre a mano, dalla stagione se è piovuto o no e nel caso in quale quantitativo e come i grappoli si asciugano”. Andiamo per ordine. “L’uva nella vigna viene raccolta entro la metà di settembre, seppure non è una data fissa: vengono scelti i grappoli migliori, uva bianca chiaramente, quelli più sani e messi ad adagiare – questo per comodità – in delle cassette stivate in un carrello mentre un tempo venivano appese nelle travi in legno. Li ci restano per un periodo X: è la famosa variabile poiché può essere un solo mese, così come arrivare addirittura all’epifania. Una volta asciugato il grappolo e quindi pronto, si procede alla spremitura con il torchio: procedimento che viene fatto almeno 3 o 4 volte così da avere il prodotto in tutta la sua interezza; il mosto. L’ultima volta ci viene lasciato addirittura per una intera nottata. Dopodiché, poi, viene messo nei vari barili e tappato con il sughero per poi essere chiuso definitivamente con la cera lacca in maniera tale che non possa entrare aria”. E poi? “A quel punto entra in gioco il segreto, ovvero la madre: detta in gergo la posatura poiché di anno in anno il barile non viene mai lavato. Questo consente di avere un prodotto di alta qualità. Mi spiego meglio, ogni ‘tot’ di anni deve essere comunque pulito il barile o la barrique che sia: se la madre aumenta, lo spazio per il vin santo alla fine diminuisce sempre di più. Deve restare in cantina per almeno 3 anni, seppure in alcuni casi l’invecchiamento si protrae anche per più tempo”. Quali sono le varietà di vite che coltiva? “Ne ho diverse e per fare il vin santo vengono tutte mischiate tra di loro: c’è la Malvasia, il Trebbiano toscano, il San Colombano e la Canaiola bianca. Poi conservo anche l’uva senza semi e il moscatello del fossato”. Signor Pasqui, cosa rappresenta per lei il vin santo? “Passione pura, oserei dire quasi una malattia. Buona ovviamente. Nel tempo ho ripiantato i filoni della vigna: vengo da una famiglia contadina e prima tutto si faceva in casa. Ho fatto delle ricerche e pure il recupero sia delle vecchie varietà che dei barili dove il vin santo effettua la sua fermentazione. Ogni anno è comunque una scoperta, anche i giovani a mio avviso dovrebbero iniziare a prendere più confidenza con queste cose”.

COS’È IL VIN SANTO

Di fatto è un vino prodotto da uve lasciate appassire dopo la raccolta e spesso si tratta di un vino dolce. Nonostante ciò ancora oggi non esiste una documentazione storica che riveli con precisione la nascita di questo prodotto. Ci sono, però, varie teorie sull’origine del suo nome che variano in base al territorio di appartenenza seppure le principali regioni dove viene prodotto sono Toscana e Umbria. La storia insegna che il vin santo veniva prodotto raccogliendo i migliori grappoli, lasciandoli poi appassire in modo deciso coricandoli su stuoie oppure appendendoli a ganci fissati nelle travi in legno degli antichi casolari. Ad appassimento avvenuto le uve vengono pigiate e il mostro trasferito in caratelli di legni e dimensioni varie da cui era stato appena tolto il vin santo della produzione precedente. Durante questa operazione, però, occorre prestare la massima attenzione che la ‘madre’ della passata produzione non esca dal caratello in quanto – si dice - responsabile della buona riuscita del vin santo stesso. Generalmente si ritiene che occorrono almeno tre anni di fermentazione e invecchiamento per la produzione di un buon vin santo, anche se alcuni produttori lo invecchiano per più di dieci. Le difficoltà fermentative per la buona riuscita del prodotto stanno nella concentrazione zuccherina molto alta, causata dal forte appassimento delle uve, la quale si rispecchia poi in un tenore alcolico altrettanto alto. L’abbinamento perfetto? Cantucci e vin santo, come vuole la tradizione toscana. Non ci sono dubbi!

Redazione
© Riproduzione riservata
10/11/2024 12:23:20


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