Il misterioso Disco di Sabu: oggetto fuori dal tempo che sfida l’archeologia ufficiale

Per gli egittologi tradizionali è un vaso o un oggetto simbolico
Quella del Disco di Sabu è una storia capace di buttare nello sconcerto anche i più fervidi antagonisti delle teorie alternative. L’enigmatico oggetto fu ritrovato dall’archeologo britannico Walter Bryan Emery nel 1936 e basta osservarlo anche in foto per rendersi conto che non si tratta di un artefatto comune per quella lontana epoca storica. Le vicende del suo ritrovamento sono intrise di un fascino intrigante. Immaginate di trovarvi in Egitto, nella necropoli di Saqqara, circondati da sabbia, monumenti, silenzio e antiche tombe, col peso della storia millenaria e tanti quesiti irrisolti che incombono. E’ in questo scenario che gli uomini della spedizione archeologica si imbattono nella sepoltura di Sabu, figlio di un faraone della Prima Dinastia. A un tratto serpeggia lo sbigottimento: tra i resti di vasi, statuette e manufatti rituali, emerge uno strano oggetto diverso da tutti gli altri: un disco di pietra scura, sottile, fragile, scolpito in scisto.
Non è un semplice piatto né un vaso: presenta tre pale ricurve e un foro centrale. Una forma insolita, che sfiora la perfezione, che ricorda qualcosa di altamente tecnologico, quasi ingegneristico. Da subito quel reperto viene circondato da un’aura arcana e sorgono, inevitabili, le domande. Come hanno fatto a realizzarlo in maniera tanto perfetta molti millenni fa? E chi l’ha fatto davvero? Nasce così, e si alimenta nel tempo, il mistero del Disco di Sabu, un reperto che ancora oggi divide gli studiosi.
Gli studiosi tradizionali
Per gli archeologi tradizionali, l’oggetto non ha nulla di misterioso: potrebbe essere un vaso rituale, un bruciaprofumi o, al massimo, un manufatto con funzione simbolica. La sua apparente complessità sarebbe solo frutto dell’abilità artigiana degli egizi.
Commenta per primo.