Opinionisti Giorgio Ciofini

Patucchino

Il simbolo di quella generazione che ricostruì Arezzo e l’Italia nel dopoguerra.

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Un aretino piccolo solo di statura. Pellaio, artista e imprenditore, Patucchino è il simbolo di quella generazione che ricostruì Arezzo e l’Italia nel dopoguerra.

Patucchino

          Avrò avuto cinquant’anni quando passava in viale Santa Margherita col su’ carrittino tirato da ‘n cavallo nano quanto lui e berciava che lo sentivano fin’ al campanile del domo: “Venite donne, c’è ‘l pellaio!” Le spose uscivon da le case con qualche pelle di cuniglio e se metteveno a contrattare come ‘n un bazar del Cairo. C’era più casino al Tucciarello, quand’arivava ‘l Patucchino, che quando arrivarono l’Americani. Quel mercato era ‘n anticipo d’Arezzo multietnica, ch’ancora ciaveva più di mezzo secolo a venire. Col Patucchino di qua e de’la ‘na covata di donne, trovare ‘l prezzo giusto era dimolto più difficile che da’ la Zanicchi. Alla fine era sempre lui che imponeva ‘l suo, ma eron le donne a essere convinte d’aver fatto ‘n affarone e tornavon tutte contente come Pasque, ma l’ovo di cioccolata l’aveva vinto ‘l Patucchino. Per mettere d’acordo ‘na diecina di spose, che mandaveno avanti la casa risparmiando anche su’ l’aria da respirare, ci voleva solo que’ lo sgriccelo che “gni davi ‘n soldo bucato”, ma ch’era un genio di quelli ch’ogni tanto nascono a’Rezzo, che non son riconosciuti come tali non per il valore del loro ‘ngegno, ma per la viltà de’la materia che trattano. Il Patucchino, per quanto creativo, era sempre ‘n pellaio anche se, oltre che ‘n pelli de cunigliolo, commerciava anche ‘n mezzine di rame e in ferrovecchio, che poi rivendeva a’ l’Alterini guadagnandoci il giusto. Aveva un innato senso de’ l’affari, del commercio e del disegno. Per me era un artista nato! Aveva fatto la terza elementare, sapeva usare la penna come l’indiani d’America, ma co’ la matita era un mago. Faceva le colombe di Picasso meglio de’ l’originale, anche se la firma del Patucchino non valeva un miliardesimo de quella del celeberrimo Pablo, che danzava sul cubo come nei dancing d’oggigiorno. Ne l’immediato dopoguerra, il Patucchino, divenne il designer ufficiale di Sant’Agostino, ndo’ c’eran quelli del Pci, tutti matti per Palmiro e la Palmira. In pratica fu il nostro Guttuso, ma vendeva le pelli di cunigliolo e che lo chiamaron Patucchino. Non attinse i cieli de’ l’Arte e diventò un predecessore del Mario Nibbi, co’ la differenza che Mario dipingeva in Comune. Al Tucciarello, il Patucchino ci passava spesso, come Stacchio a vendere ‘l pesce. “Donne c’è l’arrotino” invece  transitava de rado, perché i coltelli s’arotano ogni morte di papa e pu’ a’le brutte, se mangia co’ le mani. Al Tucciarello è rimasta famosa quella volta ch’era arrivato ‘l pellaio e c’era ‘na signora che tirava sul prezzo, più del ‘l mi’ zi ’Lino a’ le beccacce. Il Patucchino unn’era Giobbe e abozzò il giusto. A’ la fine, gonfio com’un aerostato, sbottò: ”Lei signora vole che io gli dia de’la puttana così me denuncia, ma io de’ la puttana un gnene do!” Capito com’era fatto ‘l Patucchino?     

Giorgio Ciofini
© Riproduzione riservata
24/10/2025 17:29:05

Giorgio Ciofini

Giorgio Ciofini è un giornalista laureato in lettere e filosofia, ha collaborato con Teletruria, la Nazione e il Corriere di Arezzo, è stato direttore della Biblioteca e del Museo dell'Accademia Etrusca di Cortona e della Biblioteca Città di Arezzo. E' stato direttore responsabile di varie riviste con carattere culturale, politico e sportivo. Ha pubblicato il Can da l'Agli, il Can di Betto e il Can de’ Svizzeri, in collaborazione con Vittorio Beoni, la Nostra Giostra e il Palio dell'Assunto.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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