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Nuovi documenti sulla morte della giornalista Ilaria Alpi: si valuta la riapertura del caso

Telefonate intercettate nel 2012 tra alcuni cittadini somali

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Nuovi documenti potrebbero riaprire l’indagine relativa agli omicidi dell’inviata del Tg3 Ilaria Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin, avvenuti il 20 marzo 1994 a Mogadiscio, in Somalia. Le conversazioni presentate oggi al tribunale di Roma dalla procura Capitolina sono relative ad alcune telefonate intercettate nel 2012 dalla procura di Firenze tra alcuni cittadini somali che facevano riferimento all’omicidio della giornalista e dell’operatore. 

I nuovi documenti sono stati depositati nell’udienza nella quale si doveva discutere sulla richiesta di archiviazione presentata dal pm di Roma Elisabetta Ceniccola che aveva motivato la decisione spiegando che «è impossibile accertare quale sia stato il movente e non vi è alcuna prova dei depistaggi». Il pm Ceniccola è il magistrato che su delega del procuratore Giuseppe Pignatone assunse la titolarità degli accertamenti dopo che il gip Emanuele Cersosimo, nel dicembre 2007, respinse un’analoga richiesta di archiviazione sul duplice omicidio disponendo ulteriori accertamenti. L’inchiesta è di 23 anni fa. 

Nel provvedimento, circa 80 pagine, firmato dal pm Ceniccola ci sono le risposte ai quesiti posti all’epoca dal gip Cersosimo e la indicazione degli elementi, a cominciare dall’impossibilità di attivare indagini in Somalia, che impediscono di accertare il movente e gli autori degli omicidi. In particolare, secondo quanto si è appreso, è citata anche la sentenza della corte di appello di Perugia che il 19 ottobre scorso, a conclusione del processo di revisione, ha assolto l’unico condannato, il somalo Hashi Omar Hassan, con particolare riferimento all’assenza di qualsiasi indicazione su movente e killer. 

La parte di inchiesta dedicata ai presunti depistaggi aveva preso le mosse proprio dalle motivazioni della sentenza di Perugia, nella parte in cui si parlava delle presunte anomalie legate alla gestione di un testimone, rivelatosi falso, Ahmed Ali Rage, detto Gelle, anch’egli somalo. Intanto, all’esterno del tribunale di Roma, si è svolto un sit in a cui hanno aderito Fnsi, Ordine dei Giornalisti, l’Usigrai e i Comitati di redazione della Rai. Presenti anche le associazioni Art.21 e Libera Informazione. «Al di la di cosa deciderà oggi il giudice - ha spiegato Vittorio Di Trapani, segretario nazionale dell’Usigrai - noi continueremo a cercare giustizia e verità per Ilaria e Miran». «Prendo atto che oggi la Procura di Roma ha prodotto una nuova documentazione su questa vicenda. Non voglio fare alcun commento, perché mi sono illusa troppe volte. Il giudice ha fissato una nuova udienza per la discussione e noi faremo di tutto perché questa inchiesta non finisca in archivio. Da troppo tempo siamo in attesa di una verità che non arriva. Andiamo avanti insomma, anche se sono stanca», ha commentato la mamma di Ilaria Alpi, la signora Luciana. «Sono venuto qui oggi per dare sostegno a Luciana, la mamma di Ilaria Alpi, e per avere giustizia dopo tanti anni. Luciana e il papà di Ilaria, Giorgio, mi hanno sempre aiutato e hanno sempre sostenuto la mia innocenza, fin dal primo giorno. La famiglia Alpi chiese da subito che venissi scarcerato, perché era convinta della mia innocenza, e mi è stata vicina fino all’assoluzione. È giusto che anche lei abbia giustizia e che l’inchiesta non venga archiviata, e io voglio essere al suo fianco», ha spiegato Omar Hashi Hassan, il somalo che ha scontato da innocente quasi 17 anni di reclusione dei 26 inflitti per duplice omicidio ottenendo un risarcimento danni pari a 3,1 milioni di euro. 

Redazione
© Riproduzione riservata
17/04/2018 14:52:22


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