Mattarella celebra il 25 aprile: “Resistenza come il Risorgimento, erano tutti patrioti”
Il capo dello Stato prima all'Altare della Patria, poi al Sacrario della Brigata Maiella (Chieti)
Non è esattamente una Liberazione che unisce quella che si è celebrata oggi a Roma. E non solo perché due giorni fa, dopo mesi di negoziati mediati dall’amministrazione capitolina, la Brigata ebraica ha cancellato la sua partecipazione al corteo del 25 aprile per non sfilare accanto ai simboli palestinesi ammessi dall’Associazione Nazionale Partigiani Italiani (Anpi) nonostante i tanti tentativi di tenere lontane da questo 73esimo anniversario le cause non italiane. Quando la sindaca Virginia Raggi è salita sul palco di Porta San Paolo e la piazza l’ha investita di fischi (perché icona di un partito avverso a buona parte dei manifestanti ma anche perché risoluta nel sottolineare di fronte a una schiera di bandiere palestinesi l’errore di aver preferito alla brigata ebraica un tema che «nulla c’entra con questa ricorrenza») quanto restava della memoria condivisa è andato in pezzi. La Raggi ha chiuso il suo discorso dicendo che «i fischi non riscriveranno la storia», due ragazzi sono quasi venuti alle mani per affermare se fosse più fascista il Pd o il Movimento 5 Stelle, i testimoni di ieri, come il comandate Gap Mario Fiorentini e Gianfranco Iacobacci, hanno dondolato un po’ sulle sedie sistemate all’ombra probabilmente assai a disagio per uno spettacolo non molto edificante.
La giornata era iniziata con il richiamo all’unità nazionale del Presidente Mattarella che, intervenendo prima all’Altare della Patria e poi al teatro Casoli di Chieti, aveva ricordato come la Resistenza fosse «un movimento corale, ampio e variegato, difficile da racchiudere in categorie o giudizi troppo sintetici o ristretti», un movimento «a lungo rappresentato quasi esclusivamente come sinonimo di guerra partigiana, nelle regioni del Nord d’Italia o nelle grandi città» ma che invece «non avrebbe potuto assumere l’importanza che ha avuto senza il sostegno morale e materiale della popolazione civile». Una constatazione dunque quella del Quirinale, ma anche un auspicio a superare le divisioni e commemorare «la Patria che rinasceva dalle ceneri della guerra e si ricollegava direttamente al Risorgimento, ai suoi ideali di libertà, umanità, civiltà e fratellanza».
Detto fatto, e così una mezz’ora dopo, al sacrario delle Fosse Ardeatine, i rappresentanti delle istituzioni nazionali e locali erano tutti insieme ad abbracciare il sopravvissuto ad Auschwitz Alberto Sed, la figlia di una delle 154 vittime di Priebke, Rosetta Stame, la comunità ebraica romana riunitasi qui per una Liberazione diversa ma non alternativa rispetto a quella dell’Anpi. Insieme. La sindaca Raggi, il Premier Gentiloni, il ministro della difesa Pinotti, il Presidente della Regione Zingaretti, tutti testimonial per un giorno non del proprio cartello politico ma di una Storia comune sempre a rischio di revisioni.
La seconda tappa era a via Tasso, l’ex famigerato carcere delle SS che è oggi il museo storico della Liberazione e espone alla finestra lo striscione «Verità per Giulio Regeni», dove, di fronte a un centinaio di persone con i vessilli della Brigata Ebraica e i cartelli per ricordare come durante la guerra il Mufti di Gerusalemme stesse con l’Asse, Zingaretti ha chiamato l’Italia a combattere il germe del revisionismo e la Raggi si è rammaricata per non essere riuscita a impedire l’introduzione nel corteo di temi estranei allo spirito della Liberazione («Non siamo stati all’altezza dei nostri predecessori di 70 anni fa»). Applausi, lungi, ripetuti. E la promessa, tanto del Campidoglio quanto della presidente della Comunità ebraica Ruth Dureghello, di ritentare il prossimo anno con la speranza di un 25 Aprile unito.
Poi il corteo dell’Anpi, lungo, lunghissimo, colorato, allegro, pieno di studenti inneggianti cori contro la Lega, bandiere rosse, bandiere della Cgil, bandiere di Emergency, bandiere dell’Opera Nomadi, bandiere palestinesi. Un serpentone che attraverso il quartiere Garbatella confluisce a mezzogiorno in piazza di Porta San Paolo, la piazza di Roma città aperta. In testa c’è il gonfalone dei partigiani e lo striscione retto dal presidente Fabrizio De Sanctis. E la frattura con la Brigata Ebraica, le Fosse Ardeatine, via Tasso, l’inclusione dei simboli palestinesi? De Sanctis risponde sbrigativo, puntando al palco: «Non raccogliamo polemiche, è brutto sfilarsi il 24 aprile, dobbiamo essere uniti contro il nuovo vento di razzismo e antisemitismo, il prossimo anno riproveremo a stare tutti insieme». Intorno canti senza tempo, «I morti di Reggio Emilia», «Bella Ciao», «Fischia il vento».
Il palco è pieno degli uomini e le donne che hanno fatto la nostra Storia, raccontano, cantano. La piazza arroventata dal sole applaude, sventola cappelli e bandiere, i bambini si allungano sopra le spalle dei genitori. Arriva Zingaretti, tuona che «non ci sono prime, seconde o terze Repubbliche ma ce n’è solo una, quella anti-fascista nata nel 1945». Ovazioni. Poi tocca alla Raggi. Basta il suo nome per far partire i fischi. Le bandiere palestinesi come quelle rosse comuniste guadagnano le prime file. Lei si fa avanti, prende il microfono, ripete esattamente quanto detto due ore prima a via Tasso, che «l’Italia è stata liberata da comunisti, socialisti, cristiani, uomini, donne, ebrei» e che aver preferito una causa diversa dal tema della Liberazione all’unità dei partigiani, Brigata ebraica inclusa, è una brutta pagina per la città. I fischi coprono la sua voce, lei insiste «non è con i fischi che si riscriverà la Storia».
In piazza c’è chi si insulta, chi difende il Pd, chi la sinistra dura e pura, chi il Movimento 5 Stelle. Non bastano le altre fratture, il Comune di Todi che ha negato il patrocinio della giornata all’Anpi perché “di parte” o il leader della Lega Salvini che ribadisce come questa festa non sia la sua. Ci si divide anche qui, male, dolorosamente. Quando, sciogliendosi, il corteo torna a cantare i sogni di un mondo migliore e i partigiani scendono dal palco tra gli applausi è un sollievo, una Liberazione.
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