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Adriano Gradi, inventore della Cronoscalata dello Spino e sindaco della superstrada E45

La storia di una figura venuta a Pieve Santo Stefano in qualità di dirigente del Corpo Forestale

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È stato anche sindaco dal 1970 al 1975, ma il nome del dottor Adriano Gradi è legato a Pieve Santo Stefano su più versanti: il ruolo di dirigente all’interno del locale comando del Corpo Forestale dello Stato e quello di ideatore di una cronoscalata automobilistica dello Spino che – seppure abbia conosciuto una pausa a cavallo fra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio – dal 2002 è ripartita senza interruzioni e l’edizione 2019 sarà la 47esima della serie. Qualcuno lo definisce tuttora come colui che ha “inventato” la gara dello Spino e la forza metaforica insita in questo verbo gli rende ancora maggiore giustizia e merito, perché in effetti da lui tutto è partito. La passione per quell’automobilismo che ancora vedeva il pilota al volante con la giacca e la cravatta al posto della tuta lo ha portato, assieme all’apporto degli amici più fidati, a creare una competizione in salita che sarebbe diventata fra le più apprezzate in assoluto dell’intero “stivale” per la bellezza - tecnica e spettacolare - del suo tracciato. Non è un mistero il fatto che la Pieve Santo Stefano-Passo dello Spino sia stata quasi sempre inserita nel calendario delle prove valide per il campionato italiano di velocità in montagna e che abbia vissuto anni e anni di gloria, nei quali l’elevato numero di partecipanti (oltre 200 e in qualche caso persino vicino a 300!), la qualità dei piloti iscritti e l’interesse suscitato l’avevano fatta salire al “top” nazionale, alla pari delle altre salite che hanno fatto la storia di questa specialità; il riferimento è in particolare alla Trento-Bondone e alla Rieti-Terminillo. Non solo: eravamo a metà degli anni ’60 quando l’avventura dello Spino ha preso il via e Pieve era conosciuta solo per aver dato i natali ad Amintore Fanfani. Il premio dei diari era ancora lontano dal suo inizio e il rombo dei motori contribuì a far conoscere in ambito italiano il paese della Valtiberina Toscana; anzi, Pieve si fece un nome anche fuori dai confini nazionali, grazie alle imprese dello svizzero Peter Schetty e dell’austriaco Johan Ortner, per anni detentore del record del tracciato fino all’avvento di Mauro Nesti. Fra i piloti di tutta Italia, divennero ben presto familiari anche i punti strategici del percorso: il “curvone”, l’acquedotto, il bivio di Caprese, le Lastraie, i rettilinei di Montalone, il ponte (quello sul Singerna) e i tornanti di Compito. E questo grazie in primis al dottor Gradi, che poi diverrà il sindaco Gradi; ancora oggi, a 88 anni compiuti lo scorso 29 settembre (è nato infatti a Lucignano nel 1930), l’automobilismo è sempre al centro dei suoi pensieri, perché lui lo Spino lo aveva corso nelle prime edizioni, poi lo ha rifatto in ultimo nella categoria delle auto storiche, a quota 80 già superata.

L’ISPIRAZIONE DELLA GARA DA UN INSEGUIMENTO AI BRACCONIERI

Aveva visto bene, Adriano Gradi: era un periodo nel quale le gare di auto in salita cominciavano a prendere campo e l’intuizione avuta era stata praticamente geniale. Perché non trasformare in teatro di gara un percorso che possiede tutti i requisiti migliori per la specialità? Una lunghezza di 12 chilometri e 700 metri - poi ridotti a 12 e 500 dal momento che lo striscione di arrivo era posizionato proprio in cima ai 1005 metri di altitudine del valico e i piloti avrebbero dovuto staccare l’acceleratore subito in discesa – su una strada che ancora era di competenza Anas (la statale 208 della Verna), con una larghezza giusta e in un contesto eccezionale, quale quello del verde dell’Appennino. Non solo: oltre all’ampiezza della carreggiata, c’erano caratteristiche di prim’ordine; un tratto misto, uno veloce e uno misto e veloce assieme. Come dire: per vincere qui ci vogliono motore e… manico. Le condizioni erano pertanto quelle adatte per dar vita a una competizione di livello e per far entrare Pieve Santo Stefano nel panorama della velocità in salita. Nel febbraio del 1963, si costituisce ad Arezzo la scuderia automobilistica Chimera, della quale fanno parte piloti che partecipano anche a cronoscalate. Il consistente numero sia di tesserati che di vittorie – come ricorda l’architetto Enzo Roncolini di Arezzo, grande appassionato, nell’eccezionale libro che ha scritto sullo Spino, corredato da tutti i risultati – aveva fatto della scuderia Chimera una realtà sempre più emergente e nel calendario delle gare in programma nel 1965 c’è per la prima volta la Pieve-Spino. Sarà più tardi, nel 1977, il compianto maestro di giornalismo e collega Luigi Collacchioni, pievano doc e corrispondente de “La Nazione”, a raccontare l’essenza di questa storia nel periodico “Automobilismo”, laddove spiega che nel periodo del boom economico lo sviluppo dell’automobile procedeva di pari passo con l’incremento del benessere degli italiani. L’auto, da strumento di lavoro, era diventata anche veicolo per i momenti di relax degli italiani, per cui il periodo in questione era favorevole anche per la ristretta cerchia di appassionati che chiedevano – scrive Collacchioni – “emozioni del tutto diverse, come quella della velocità e dell’ebbrezza della competizione”. Adriano Gradi, che dal 1957 è funzionario del Corpo Forestale dello Stato a Pieve Santo Stefano (si era laureato due anni prima in Scienze Forestali all’Università di Firenze), decide di venire a vivere nel piccolo centro della Valtiberina dopo essersi unito in matrimonio con Gigliola nel 1961; allo stesso tempo, Gradi fa parte della cerchia sopra ricordata ed è lui – ancora parole testuali adoperate da Collacchioni – che vede nel tratto della statale della Verna da Pieve fino al valico dello Spino il tracciato ideale per una cronoscalata automobilistica. E allora, ricostruiamo la storia. Non appena intuisce la possibilità di organizzare una gara sulla statale 208, Gradi coinvolge alcuni amici piloti: Emanuele Caporali, Lanfranco Caneschi, Fabio Merelli e Franco Naldini, che vogliono “testare” subito il percorso. L’esito della prova che effettuano non lascia dubbi: questo tracciato sembra proprio fatto apposta per una gara in salita e allora il gruppo di amici non ci pensa due volte nel coinvolgere la scuderia Chimera e l’Aci di Arezzo, attraverso il presidente Orazio Ducci e il direttore Giovanni D’Orta. La Chimera è l’organizzatore e l’Aci il supervisore, con la collaborazione dei Comuni toccati dal tracciato: Pieve Santo Stefano e Chiusi della Verna. Ma quale fu il reale motivo scatenante che convinse Gradi a far correre le auto sulle serpentine dello Spino? Lo racconta lui stesso: “Nel 1963 ero dirigente del Corpo Forestale dello Stato; in quel periodo, c’erano alcuni cacciatori che venivano da Arezzo a far razzia di starne, lepri e quant’altro trovavano nella zona di rimboschimento, ripopolamento e cattura vicino a Montalone. Bracconieri, in altre parole. Una mattina alle 7, avevo predisposto un apposito controllo e un collega mi informò che erano entrati in otto nelle zone vietate a Montalone. Non ci pensai due volte a salire in auto; e visto che occorreva anche una certa rapidità, non presi nemmeno quella di servizio: mi misi al volante della mia Fiat Abarth 850 Tc (la stessa con la quale avevo vinto nel ’62 il Rally delle Vallate Aretine) e in 4 minuti raggiunsi Montalone, da dove prese il via un inseguimento a piedi. Alla fine, braccammo sette di questi cacciatori con le prede, mentre l’ottavo riuscì a dileguarsi in direzione di Valsavignone per poi tornare ad Arezzo addirittura a piedi, lasciando però l’auto a Pieve. Assieme ai 7 cacciatori, andammo a Sansepolcro e l’allora pretore, il dottor Armando Quartara, li condannò tutti. Anche l’ottavo del gruppo, quello che inizialmente era scappato, venne poi identificato, indagato e condannato pure lui, mentre la selvaggina fu “devoluta” alla casa di riposo di Pieve. Quando poi tornai dopo aver espletato tutte le procedure del caso, dissi fra me: “Questo tracciato sarebbe adatto per organizzarvi una corsa. Lo conoscevo poco, ma mi resi subito conto che aveva tutte le giuste credenziali. E mi detti da fare per coinvolgere la scuderia Chimera, i miei amici e l’Aci. Il presidente della Scuderia Chimera, cavalier Giulio Domini, ruppe gli indugi e disse che la sua scuderia avrebbe in proprio organizzato la gara con il patrocinio e la supervisione dell’Aci. Andro proprio così”. I fatti gli hanno dato ragione, anche in base ai giudizi che negli anni a venire avrebbero espresso i campioni della velocità in salita. L’embrione della gara dello Spino si origina di fatto nel giorno di quell’inseguimento, con tutte le procedure che abbiamo poi descritto e che hanno portato all’auspicato approdo.

IL BATTESIMO DELLA PIEVE SANTO STEFANO-PASSO DELLO SPINO CON GRADI IDEATORE, PILOTA E… SINDACO

Il sogno diventa realtà domenica 5 settembre 1965 ed è a suo modo una piccola rivoluzione; qualche giorno prima, nel comunicare la notizia, il quotidiano “La Nazione” – l’unico a carattere anche locale che si leggeva in quel periodo – ha evidenziato anche i punti interrogativi legati alla grande novità dal punto di vista agonistico, parlando di incognita del risultato in una zona non ancora abituata al rombo dei motori e con un numero di piloti al via ancora non quantificabile. Gli iscritti alla prima edizione sono 86 e in larghissima parte provengono dalla Toscana; per cominciare, il numero è buono e molte vetture partecipanti la domenica sono poi quelle che il lunedì servono per accompagnare il pilota sul posto di lavoro. Auto normali, come si dice in gergo, con molte Fiat 500 e Fiat Abarth, ma anche con le Alfa Romeo Giulietta e Giulia Gt. Non mancano le gran turismo e le auto di fabbricazione straniera: si passa dalle Ferrari 275 Gtb alle Porsche, dalle Aston Martin alle Bmw e anche alle Ford Cortina Lotus. L’auto è una icona, un simbolo del benessere che avanza in quegli anni e quindi la motorizzazione di massa diventa il presupposto per la diffusione dell’attività agonistica. Adriano Gradi non è solo l’organizzatore, ma è anche un pilota automobilistico che – come si usava allora – corre con uno pseudonimo nell’elenco degli iscritti al posto del nome e del cognome. Trattandosi di un funzionario del Corpo Forestale (accadeva anche per carabinieri e poliziotti, al contrario di oggi), era infatti preferibile che l’identità al secolo fosse celata da un qualcosa che apparisse come soprannome. E di pseudonimi, Gradi ne ha avuti ben quattro: “Etrusco”, “Wacholder”, “Raniero” e “Dipsacus”. Nell’edizione di apertura dello Spino, quella appunto del ’65, Gradi figura come Raniero e si classifica secondo nella classe oltre 1600 del gruppo 2 (turismo preparato) di cilindrata alla guida di una Bmw 1800, con il tempo di 8’20”2. Anche il vincitore assoluto ha uno pseudonimo: si chiama Romano Martini, ma è conosciuto come “Shangri-la” e la sua fama di primo trionfatore allo Spino è tramandata fino alle attuali generazioni. Al volante di un’Alfa Romeo Giulia Tz1, “Shangri-la” copre i 12 chilometri e 700 metri in 7’26” netti, un tempo senza dubbio ragguardevole per un pilota che farà parlare di sé: l’anno seguente, infatti, si sarebbe laureato campione italiano delle vetture sport classe 1600. Gradi ha vinto la sua scommessa: lo Spino piace e il suo percorso è talmente bello che Carlo Benelli in arte “Riccardone”, vincitore assoluto dell’edizione 1970 su Fiat Abarth 2000 prima della sua tragica scomparsa nel 1972 (durante le prove della Castione Baratti-Neviano Arduini, nel Parmense), ebbe a definire il tracciato come “un autodromo naturale attaccato alla montagna”. Una definizione che suona alla pari di una frase lapidaria e che resta la più significativa per i pievani, perché è quella che li inorgoglisce di più. Gradi gareggia allo Spino anche e soprattutto con lo pseudonimo di “Dipsacus”, dal nome latino del cardo, pianta erbacea. Dopo il quarto posto del 1968 con la Bmw 1800, nella classe 2000 del gruppo 2, vince la classe 1600 del gruppo 1 (vetture turismo rigorosamente di serie) nel 1969 su Bmw Ti e ottiene due secondi posti nel 1970 su A112, nella classe 1150 e nel 1972, di nuovo su Bmw Ti, nella classe 1600, sempre del gruppo 1, oggi gruppo N. Nel frattempo, a Pieve è stato eletto anche sindaco. Al volante della stessa vettura, che poi passerà fra le storiche, Gradi tornerà a vincere la classe allo Spino nel 1997, ma salirà poi anche con Renault Gordini e Renault 5 Gt Turbo; l’ultima sua edizione da partecipante in auto risale al 2014 e difficilmente qualcuno riuscirà a battere questo singolare record: oltre a esserne stato l’ideatore, infatti, Adriano Gradi è anche il pilota che ha corso lo Spino all’età in assoluto più avanzata, perché aveva quasi 84 anni quando si è cimentato in esso per l’ultima volta. Per la cronaca, all’età di 88 anni compiuti si è iscritto alla Uisp per poter ancora correre. Domenica 21 ottobre scorso ha disputato uno slalom con sapore di… salita a Reggello al volante della Renault 5, classificandosi quarto. È stato protagonista e vincitore (come già ricordato) del Rally delle Vallate Aretine e un’impresa particolare da lui rievocata è stata quella al Rally internazionale delle Tre Nazioni: “Ci presentammo io e il navigatore con una modesta Fiat 850 Spider – racconta – per affrontare un durissimo percorso Slovenia-Italia-Austria. Erano gli anni ’90 e gli altri piloti ci guardavano come per dire: “Ma questi dove vogliono andare?”. Sulle strade, per noi sconosciute, delle montagne di Kranisca Gora e in mezzo ad acqua e grandine fummo gli unici a giungere con un tempo eccezionale, mentre gli altri accusarono ritardi apocalittici. Vi fu poi un annullamento della prova, a nostro avviso ingiusto e così perdemmo la vittoria finale: secondi assoluti e primi di classe, perché nelle prove successive le auto potenti ebbero la meglio. In quella tremenda giornata, ci imbattemmo anche in un centinaio di pecore senza pastore, che non si scansavano nemmeno con i colpi dati dal paraurti della 850”. 

CORRIDORE CICLISTA IN GIOVENTU’ E AMICIZIA CON GINO BARTALI NATA DA UNA LITIGATA

Il passato giovanile di Adriano Gradi era stato da corridore, ma in bicicletta, fermo restando che negli ultimi anni ha gareggiato allo Spino anche in moto e che ha pure un parentesi di calciatore con i ragazzini del Siena, giocando allo stadio che allora si chiamava “Rastrello”. Oltre alle quattro ruote, quindi, vi sono anche le due - a pedale come a motore - e il pallone. In bicicletta, era tesserato per la società Cimatti di Montevarchi ed era pure un promettente ciclista: sul suo conto, c’è un grande articolo riportato sul quotidiano “La Nazione” a proposito di una gara svoltasi a Montevarchi nel dopoguerra. E assieme c’è anche una bella foto: d’altronde, a quella gara partecipava il grande Gino Bartali e si correva nella pista dello stadio “Brilli Peri”, non dimenticando che il popolare “Ginettaccio” era stato a suo modo eroe nazionale, vincendo nel 1948, a 34 anni, il Tour de France e salvando l’Italia dal pericolo di una guerra civile nel mese dell’attentato a Palmiro Togliatti, datato 14 luglio; il giorno successivo, con l’attacco sul Col de l’Izoard, Bartali recuperò gran parte dei venti minuti di ritardo che accusava dal leader Louison Bobet e successivamente si prese la maglia gialla. Ma cosa successe in un giorno del 1951 nella città valdarnese? “E’ bene intanto ricordare – afferma Gradi - che Bartali passava tutti i giovedì per Montevarchi, in quanto era giornata di allenamento nella quale era previsto il seguente tragitto: Firenze, Valdarno, Arezzo, Monte San Savino, Colonna del Grillo, Siena e di nuovo Firenze. In quegli anni, io avevo fatto parte della Ciclistica Cimatti di Montevarchi, assieme ad altri tre ragazzi della categoria Allievi e ogni giovedì aspettavamo l’arrivo di Bartali. Successivamente, la Cimatti interruppe l’attività e passammo come dilettanti a un altro sodalizio cittadino, l’Aquila, che organizzava annualmente una gara internazionale sulla pista sterrata dello stadio Brilli Peri, caratterizzata da due curve piuttosto strette, ma avevo imparato a pedalare in curva e a controsterzare leggermente, riuscendovi bene e mantenendo la massima velocità possibile, il che mi permetteva di uscire dalle curve rimanendo alla “corda”. A nessuno avevo confidato questa mia tecnica. Quando gareggiavamo al Brilli Peri, venivano anche i ciclisti professionisti e c’era anche la squadra di Gino Bartali, che aveva come gregario velocista il bravo Giovanni Corrieri. Non mancavano nemmeno i gregari di Fausto Coppi. Ebbene, quella volta accadde che, quando suonò la campana dell’ultimo giro, iniziai a forzare, andai in testa con alla ruota Corrieri ed effettuai la controsterzata, rimanendo in traiettoria, mentre Corrieri si allargò e toccò la mia ruota, andando per terra e trascinando il resto. E siccome ero davanti, mi ritrovai da solo a proseguire vittorioso verso l’arrivo, salvo venire bloccato dal commissario con la bandiera rossa, che mi disse: “Non vedi cosa hai combinato? Guarda laggiù!”. Alla fine, insomma,  venni colpevolizzato dall’intera squadra di Bartali per quanto era successo; pure gli amici dell’Aquila mi guardarono costernati per aver combinato un guaio, anche se nessuno si era fatto male. Ero tuttavia consapevole di non aver commesso una scorrettezza e allora, dopo aver ascoltato le parole di Bartali, gli battei una mano sulla spalla e gli dissi: “O Gino, sai che ti dico? Quando non si sa stare in bicicletta, si sta a casa!”. Bartali rimase impietrito e mi guardò a lungo senza proferire parola. Corrieri chiarì come le cose erano in realtà andate e fra me e Bartali vi fu un abbraccio in mezzo alla “standing ovation” del pubblico. Alla fine, insomma, una grande risata fu il sistema più efficace per creare una profonda amicizia. E fu grazie alla squadra di Bartali che assaggiammo in anteprima la Pepsi Cola, bibita dissetante e digestiva che era stata importata dall’America; ce la portarono loro per farcela provare e per appurare le sue proprietà, ma non avevamo ancora educato la bocca a quel particolare gusto e insomma non fu un successo, tanto che Gino Bartali ci disse: “O che, un vi piace questa Pepsi Cola?”.                    

LA BATTAGLIA DA SINDACO PER IL TRACCIATO DELLA E45

Arrivato a Pieve Santo Stefano – come già specificato – nel 1957 per motivi di lavoro e qui trasferitosi nel 1961 in pianta stabile, Adriano Gradi è tornato a risiedere ad Arezzo nel 1997, dove aveva abitato una prima volta provenendo da Lucignano, ancora ragazzino, per poi tornarvi una seconda dopo aver abitato in Valdarno e ora la terza, a distanza di 36 anni, quelli vissuti a Pieve; era nel frattempo uscito dal Corpo Forestale nell’86, con la qualifica di dirigente superiore. Nei sette anni successivi, è docente universitario negli atenei di Reggio Calabria e di Padova e produce oltre 60 pubblicazioni, fra le quali un trattato di vivaistica forestale e rimboschimento, adottato come libro di testo da università straniere. Negli anni ’60, quelli di Pieve, sono nati anche i due figli di lui e di Gigliola, Luca e Silvia, che li hanno resi nonni da un bel po’ di tempo. Dal 1970 al 1975, periodi nei quali correva allo Spino, il dottor Gradi è stato anche il sindaco-pilota di Pieve Santo Stefano e nel quinquennio successivo è stato consigliere provinciale; la Democrazia Cristiana era il partito a lui più vicino e godeva di grande stima da parte di Amintore Fanfani, per quanto non fosse stato a capo di una pista politica. Dal 1999 al 2001, Gradi è stato anche rettore della Fraternita dei Laici di Arezzo. A fine 1976, ecco l’onorificenza di ufficiale al merito della Repubblica Italiana e a fine ’79 quella di commendatore. E mentre la cronoscalata aveva già iniziato a decollare nel panorama italiano della velocità in salita, il paese era guarito dalle profonde ferite lasciate da una guerra che lo aveva praticamente raso al suolo, anche se occorreva una migliore riorganizzazione dal punto di vista urbanistico. “Diciamo che ho interpretato il quinquennio da ufficiale di governo – sottolinea Gradi – e qualcuno potrebbe sorridere rispondendomi: in effetti, il ruolo del sindaco è questo. Certo, ma lo ribadisco per far capire come io abbia esercitato le mansioni di primo cittadino senza prediligere alcun favoritismo. Non ho quindi guardato in faccia a nessuno. I cinque anni di mandato a Pieve sono coincisi con un periodo di sostanziale povertà, nel senso che di soldi pubblici ce n’erano pochi e che le Regioni, come enti, si erano appena costituite. La storia dice che Pieve Santo Stefano venne distrutta nel 1944 e poi ricostruita nell’immediato dopoguerra, facendo un po’ alla meglio, come si dice dalle nostre parti. Incaricai allora l’architetto Giovanni Cecconi di Sansepolcro perché redigesse il piano regolatore e uscì fuori un documento accettabile, con le inevitabili proteste di coloro che avevano precisi interessi e che, per una questione di correttezza nell’applicazione del regolamento, non vennero accontentati”. Cos’altro c’è di saliente da ricordare, nella sua parentesi di primo cittadino? “Sono stato l’unico sindaco ad aver rilasciato la concessione edilizia all’Anas per la costruzione della E45, che aveva preparato il progetto tirando un rigo sulla carta. Pensate: era un progetto che prevedeva la realizzazione della quattro corsie in sopraelevata e in mezzo al paese di Pieve Santo Stefano. In quel periodo, non vi era una coscienza ecologista e ambientale radicata come quella di oggi: di ecologia, allora, si intendeva probabilmente il solo Fanfani. Presi l’architetto Cecconi, l’ingegner Zeno Cipriani, un altro ingegnere del quale mi sfugge il nome e un geometra: a queste persone spiegai attentamente la situazione e dissi per filo e per segno costa stesse succedendo. I Comuni avevano potere in tal senso, perché a essi spettava il rilascio delle licenze nel caso di opere infrastrutturali realizzate nei territori di loro competenza; affidai a queste quattro persone il progetto della superstrada, il cui asse venne spostato verso sinistra, dove effettivamente si trova oggi. Il progetto superò tutti i passaggi formali: commissione edilizia, giunta e consiglio comunale. La legge urbanistica n. 765 del 1967 stabiliva che nelle opere pubbliche avrebbero dovuto essere interessati gli enti territoriali (lo Stato non era ancora autonomo) e, come Comune di Pieve Santo Stefano, rilasciammo all’Anas la licenza con il progetto già fatto, ma l’ingegnere capo dell’allora azienda delle strade ebbe a che ridire nel merito. Il progetto non gli piaceva, anche se – rimarca Gradi – il problema non era a mio avviso di natura tecnica, perché immaginare una E45 che passa sopra i tetti di Pieve, come lui pensava di fare, era assurdo e anche più costoso. La sua tesi mi fece insomma pensar male e il bello è che lui, per sostenerla, accusava me: “Sindaco, lei vuol fare come gli pare!”. E io replicavo: “Non faccio come mi pare, faccio solo ciò che ritengo giusto per la mia comunità”. Un bel giorno, mentre mi trovavo per un congresso a Bergen, in Norvegia, mi arriva una telefonata dal vicesindaco, che mi dice: “L’ingegnere capo dell’Anas è stato costretto a licenziare 150 operai, perché il progetto della E45 a Pieve Santo Stefano è irrealizzabile”. Non ci pensai due volte: lo convocai per le 10 di un lunedì mattina, al mio ritorno dalla Norvegia. E insieme a me, c’erano anche i tecnici del Comune che avevano redatto il progetto della E45 più attaccata alla montagna. L’ingegnere capo mi ripetè il ritornello: “Lei sindaco vuol fare come gli pare e questo progetto che ha partorito non può essere realizzato”. Senza scompormi, detti la parola ai miei ingegneri, che gli spiegarono come invece questo progetto fosse fattibile e a costi inferiori, cosa che probabilmente l’ingegnere non voleva sentirsi dire. Scusate se lo dico, ma il fatto che questo ingegnere si ostinasse in favore di una soluzione più onerosa e largamente impattante mi induce a pensare che vi fosse alla base una finalità ben precisa. Lascio ai lettori ogni interpretazione”. E come è andata a finire, lo possiamo vedere con i nostri occhi da più di 30 anni. “Non solo passò il nostro progetto – aggiunge Gradi - ma imposi all’ingegnere di riassumere i 150 operai licenziati. Il buon senso prevalse su ogni fronte e oggi abbiamo una E45 sempre vicina al paese, ma sicuramente meno impattante di come avrebbe potuto essere”.            

Notizia tratta dal periodico Eco del Tevere
© Riproduzione riservata
02/01/2019 17:08:15


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