Il Sagrantino, un vino per le feste o "divino"
Ideale con carni bianche e rosse, anche grigliate e formaggi maturi
Il Sagrantino é un vino più che storico, addirittura “divino”, se, come pare, il suo nome deriva dall’uso sacro a cui era destinato, cioè durante la messa per celebrare i “sagramenti”, e dal fatto che veniva conservato, appunto, in sagrestia. Per altri invece il nome potrebbe risalire all’origine popolare, come vino della festa, consumato nel giorno delle sagre, bevuto alla fine dei pasti perché dolce delicato, ottenuto dall'uva fatta passire e vinificata ai primi freddi dell'inverno incipiente. Anche sulle origini dell’uva le ipotesi sono diverse, nessuna certa ma tutte plausibili: potrebbe essere arrivata in Umbria, in particolare nella zona di Montefalco, con una comunità di frati francescani provenienti dall’Asia minore; oppure, secondo la ricostruzione di altri storici dell’ampelografia, a portare il vitigno nel cuore d’Italia potrebbero esser stati i monaci bizantini provenienti dalla Grecia; per altri ancora si tratta di un’uva autoctona riconducibile a quell’Itriola già citata nella Naturalis Historia di Plinio il vecchio nel I secolo. La sua storia è legata comunque in qualche modo alla religione perché erano i frati a coltivare le vigne. Di certo qualunque ne sia l’origine, il Sagrantino ha nell’area di Montefalco, Bevagna, Gualdo Cattaneo, Castel Ritaldi e Giano dell’Umbria, tutti in provincia di Perugia, la sua zona d’elezione e ne è in assoluto il vitigno più coltivato. In documenti del 1088 già si legge dei vigneti di Montefalco, e risalgono al Duecento molte testimonianze che attestano la cura che “i vignaioli riservano al campo piantato a vigna”. Fin dalla prima metà del Trecento, inoltre, in diversi capitoli degli statuti comunali si tutelavano vite e vino. Ma la data cruciale per questo rosso sempre più apprezzato anche all’estero, è il 1540. In quell’anno un’ordinanza comunale stabilisce ufficialmente la data d’inizio della vendemmia a Montefalco. Ed è un provvedimento così importante che la Confraternita del Sagrantino ogni anno a settembre organizza in piazza un raduno pubblico durante il quale si dà lettura del prezioso scritto nel periodo della vendemmia. Il prodotto è sempre stato fonte di ricchezza, così i governanti che si sono succeduti nei secoli hanno voluto stabilire leggi per la sua salvaguardia e per la tutela delle vigne, prevedendo punizioni esemplari a chi le rovinasse. Così, il 23 settembre 1521, il podestà di Montefalco, Girolamo Verisi, fece arrestare il nobile Bernardino per aver vendemmiato prima della data stabilita (“venemiabit ante terminum statuti”) e in un bando del 1622 emanato dal cardinale Boncompagni, legato di Perugia, addirittura si minaccia la morte: “Se alcuna persona tagliasse la vite d’uva, incorra nella pena della forca”. Non meraviglia che la terra sia così curata da averne fatto un vanto paesaggistico tanto che la patria del Sagrantino è chiamata ringhiera dell’Umbria. Il panorama abbraccia le colline ricoperte di ulivi e vigneti, dominando l’ampia valle che da Perugia si estende sino a Spoleto, tra i rilievi dell’Appennino, del monte Subasio e dei monti Martani. Ma non sempre è stato tutto rose e fiori: negli anni Sessanta la vecchia tradizione del Sagrantino passito sembrava essere scivolata nell’oblio, il mercato sembrava lo stesse dimenticando e lo stesso vitigno stava per essere abbandonato. La produzione era limitatissima, una damigiana, a volte due, o solo qualche decina di litri per uso casalingo. Fu allora che pensarono di creare il Sagrantino secco. La vendemmia del 1972 rappresentò la prima prova di vinificazione di Sagrantino secco. In quel periodo fu presentata la richiesta della denominazione di origine controllata, fissando il disciplinare e la delimitazione della zona di produzione. Il Sagrantino si preparava a risorgere. Una rinascita che porta indiscutibilmente la firma di Arnaldo Caprai che nel 1971 comprò i primi ettari e soprattutto del figlio Marco che dal 1988 ha preso in mano vigna e cantina. Seguito via via da altri vignaioli illuminati. Se oggi il Sagrantino non è un’uva scomparsa o un vino per il consumo locale, quelle date sono decisive. Ed ecco che arriva sulle nostre tavole un vino perfetto da abbinare a piatti di carni bianche e rosse, anche grigliate, e formaggi maturi, di buon contenuto alcolico, ricco di estratti e polifenoli, adatto a invecchiare abbastanza a lungo, di colore rubino scuro tendente al granato con l’invecchiamento, dai profumi fruttati e speziati, fini e persistenti, molto armonioso al palato, dal finale asciutto. La Doc, arriva nel 1979 e la Docg nel 1992. Così dal Duemila a oggi la produzione del Sagrantino è addirittura quadruplicata (da 666mila a oltre 2,5 milioni di bottiglie) e sono state costruite decine di nuove cantine, la superficie di vigneto iscritta a Docg è quintuplicata (da 122 a 660 ettari). Numeri chr parlano anche di un successo sui mercati internazionali: il 70% del vino qui prodotto viene esportato, in particolare negli Stati Uniti (26%), Germania (10%) e Cina (8%). Ma crescono anche i mercati di Svizzera (4%), Inghilterra (5%), Danimarca (2%), Giappone (4.5%). Paradossalmente, la “scoperta” della versione secca ha fatto nuovamente apprezzare anche il passito. Che si usa accompagnare con dolci a base di cioccolato. Ha sentori di frutta matura e di confettura e la sua dolcezza contenuta si bilancia magnificamente con la struttura tannica.
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