Processo crac Banca Etruria: "Nessun comitato riservato", dichiara Giovanni Inghirami

Nessun comitato informale che dirigeva Banca Etruria: il cda non era certo un organo di ratifica. Lo ha dichiarato l’imprenditore Giovanni Inghirami di Sansepolcro, ex vicepresidente di Bpel, che è fra gli imputati sentiti nei due giorni di udienza (giovedì e ieri) del processo per il crac. Si era parlato di direttorio riservato nella memoria presentata all’inizio dell’udienza preliminare davanti al Gup Giampiero Borraccia dal procuratore Roberto Rossi e dall’allora Pm Andrea Claudiani. Ma Inghirami ha negato tutto, con toni risoluti, dicendo che esistevano delle riunioni preliminari alle quale prendevano parte presidente, vicepresidente e direttore generale, il cui scopo era solo quello di occuparsi delle pratiche di fido, senza prevaricare alcuna decisione del cda. La questione relativa all’uscita del presidente “storico” della banca, Elio Faralli, non è stata affrontata da Inghirami, ma da Alberto Bonaiti, già presidente della Popolare Lecchese, che al momento della fusione era stato indicato come i consigliere. Bonaiti si sofferma soprattutto sulle due ispezioni di Bankitalia del 2010 e del 2013, confermando che nella prima, guidata da Vincenzo Cantarella, c’era stata una proposta di sanzioni poi annullata dal direttorio di via Nazionale, ancora presieduto da Mario Draghi, sulla base delle controdeduzioni degli amministratori. I rilievi, racconta però andando oltre quanto aveva già detto la settimana prima il sindaco revisore Franco Arrigucci, riguardavano solo il presunto danno reputazionale.