Opinionisti Alessandro Ruzzi

Eutanasia, suicidio, accompagnamento al...ect.

Approcci che non mi convincono

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Il tema del fine vita è argomento che la società italiana gestisce in maniera conflittuale. Facile ricordare le grandi contestazioni e mobilitazioni per l'introduzione di norme che permettessero la gestione del fine vita quando affidata alle macchine dell'ospedale. Più recentemente le sentenze assolutorie per coloro che si erano in qualche modo adoperati per il suicidio assistito (eseguito in strutture adeguate fuori Italia), mi riferisco a Marco Cappato e altri, ove la corte ha anche espressamente invitato il parlamento a legiferare per evitare l'inutile ricorso alle procedure giudiziarie dinanzi alla sussistenza di particolari prerequisiti (succintamente, l'evidenza scientifica e medica circa l'impossibilità di risoluzione, la volontarietà del gesto espressa con strumenti opponibili contro terzi).
L'invito è caduto nel vuoto, il parlamento non legifera trattandosi di argomento che ha schieramenti fortemente contrapposti, ma trasversali. Gli schieramenti sono riconducibili, utilizzando la categorizzazione di due secoli fa, all'ambito reazionario ed all'ambito illuminista, ma la composizione di questi non ricalca evidentemente individuate aree politiche in Italia. Infatti la visione progressista che spinge per una legislazione che individui le casistiche sinora esaminate nelle aule di giustizia e che offrano un percorso utilizzabile da chi vuole assistere (i termini che adopero sono puramente esemplificativi in quanto il termine stesso può fare ricadere il caso dentro o fuori le pronuncie) non trova omogeneità poiché le donne progressiste sono anche madri e, come tali, sono disposte ad addossarsi qualsivoglia sacrificio di evitare quel passaggio. Parimenti nell'ambito conservatore si trovano individui che su questi temi si esprimono diversamente, in libertà di coscienza. Una situazione forse speculare a quella che ha visto svilupparsi in Italia la legislazione sull'aborto. L'intervento del libero arbitrio, appunto.
Mentre sull'aborto ritengo che il mio giudizio debba prestare particolare attenzione alle valutazioni provenienti dall'universo femminile, sul suicidio eutanasia eccetera devo utilizzare criteri che offrano valutazione più neutra sottraendola alla naturale inclinazione materna.
Criteri che li sottraggano anche alle posizioni bigotte che troppo agitano la nostra società. Per bigotto intendo chi predica bene e agisce male, persone che pare conoscano il Vangelo solo per fare il contrario di ciò che raccomanda. Ogni riferimento alle opere di carità, all'amore verso gli altri è assolutamente pertinente. Non sono neanche andato vicino a temi estremamente complessi e divisivi quali il sesso nella sua accezione più ampia, mi sono limitato a indicare precetti evangelici validi senza discussioni. Come la attualità dei migranti: cristianamente devono essere accolti senza se e senza ma, ma oggetto di enormi tensioni che affollano le piazze, il parlamento, le strutture messe in piedi dal governo italiano, tribunali compresi.
Siccome in Italia la stragrande maggioranza della popolazione si dichiara cattolica, è questo il gruppo sociale che devo seguire con la più profonda attenzione quando si affrontano temi che interferiscono con la sfera religiosa. Ma quando costoro non conoscono i precetti (più banalmente direi che fondamentalmente ignorano il Vangelo) e vogliono obbligare tutti a seguire delle norme stilate in base al catechismo cattolico, posso soltanto dire: andate a Lucca. Sono stato abbastanza esplicito?
Ho avuto il piacere di confrontarmi con persone che avevano adeguata conoscenza di altre confessioni: mi è capitato con ebrei, poi con musulmani adesso ho piacevoli scambi di opinione con testimoni di Geova. Che il canone lo conoscono, eccome. Sarà successo solo a me, nessuno di questi ha mai cercato di convertirmi trovando anche per loro fruttuosa la riflessione su temi centrali delle loro convinzioni; e non ci siamo neanche mai accalorati persino quando mi impunto sul discernimento che la mente umana applica opposto alla (per me vaga) controproposta incentrata sulla volontà divina o sull'intervento del demonio.
Per inciso: per me esiste Dio, esiste il diavolo.
Intanto dico che qualunque individuo può peccare, coscientemente o meno, e di questo atto sarà chiamato a rispondere (partendo dal principio che esista "il giudizio universale"). Se l'aborto introduce il tema della vita di un embrione ossia se questa debba essere considerata tale, qualunque tentativo di infiltrarsi nelle dinamiche del divorzio dimostra la inconsistenza della motivazione stessa mancando il danno a terza persona. Perché la legge si pone proprio l'obiettivo di tutelare persone siano essi minori o comunque dipendenti da questo rapporto matrimoniale. Situazione che si potrebbe delineare anche nel caso di accompagnamento al suicidio o eutanasia per la presenza dei rapporti di parentela, ma che vedo invocare principalmente non per motivi di sussistenza economica patrimoniale, bensì per motivi etici. Mi riferisco a recente fatto di cronaca in Francia.
La legge impone limiti o tutele in tutti i casi in cui il peccato si trasformi in reato che coinvolge terzi; non vedo perché qualcuno mi dovrebbe rompere i coglioni se questo atto avviene per la richiesta pienamente cosciente e nelle forme di legge di una persona fisicamente impedita a dare seguito alla propria volontà, senza conseguenze se non emotive per altri.
La 2ª e conclusiva parte di questa riflessione proseguirà da qui.

Alessandro Ruzzi
© Riproduzione riservata
09/10/2020 19:30:58

Alessandro Ruzzi

Aretino doc, ha conseguito tre lauree universitarie in ambito economico-aziendale, con esperienza in decine di Paesi del mondo. Consulente direzionale e perito del Tribunale, attento osservatore del territorio aretino, ha cessato l'attività per motivi di salute, dedicandosi alla scrittura e lavorando gratuitamente per alcune testate giornalistiche nelle vesti di opinionista. alessandroruzzi@saturnonotizie.it


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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