2020-11-20 Si fa presto a dire America
Ma il futuro dell’America, per quanto nuvoloso, non appartiene a Donald Trump
Son passate quasi 3 settimane dal giorno delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti; l’arcaico sistema elettorale di cui abbiamo già parlato, ha dato i suoi risultati. Come temevamo c’è chi non è non soddisfatto, ma forse sarà meglio usare un termine più forte, ovvero, Trump è incazzato nero e continua a dire: “Ho vinto!” Fino a questo momento tutti i brogli elettorali che avrebbero permesso la vittoria a Biden si son rivelati senza base.
E ora cosa succede?
Sono molti e non solo in America quelli che predicano un incerto futuro, quello d’un paese in balia di un personaggio autocratico, irrispettoso delle istituzioni, portato alla strafottente negligenza per la salute pubblica al punto di preferire andare a giocare a golf nel mezzo di una drammatica ondata delle infezioni di covid-19. Quel che lascia attoniti tutti coloro che augurano un migliore futuro per l’America è la sicumera che Trump ostenta per la sua permanenza al vertice della politica anche dopo la sua sconfitta elettorale.
Ma il futuro dell’America, per quanto nuvoloso, non appartiene a Donald Trump.
Sembra che Trump stia cominciando a riconoscere la vittoria di Joe Biden, pur ripetendo a suon di twitter di essere stato vittima di brogli elettorali. Lo smisurato ego di Donald Trump è legato alla creazione di un culto che da tempo assorbe una forza consistente, la cosiddetta “base”, che gli analisti politici stimano aggirarsi sui 37 milioni di sostenitori, circa la metà insomma dei quasi 73 milioni di voti che Trump ha riscosso nella consultazione. Non so quanto sia corretta questa cifra e quali siano stati i criteri che hanno portato a quel numero.
Per contro, in attesa che Donald Trump abbandoni Washington per la Florida, prendono quota le valutazioni di coloro i quali ritengono vicino il giorno in cui Trump sarà ridimensionato da un vasto ripensamento. Questa previsione è associata all’emergere di una pattuglia di giovani esponenti repubblicani - tra i quali si distinguono i senatori Tom Cotton e John Hawley. Inoltre durante questa campagna elettorale sono emersi nel media gruppi repubblicani come “The Lincoln Project” che hanno portato avanti una agguerrita campagna contro Trump, la scelta del nome Lincoln non è casuale, dopo tutto questi era repubblicano.
Trump parla che si ripresenterà come candidato per le elezioni del 2024, ma per il momento dopo il 20 gennaio, giorno che non sarà più presidente, Trump si dovrà concentrare su quale strategia seguire per recupero la sua fortuna finanziaria che dopo la sua uscita dalla Casa Bianca è esposta a grossi pericoli, dalla pesante situazione debitoria alla prospettiva di procedimenti penali a iosa da parte del District Attorney di New York Cyrus Vance, che da tempo sta investigando Trump per frode bancaria e assicurativa, e dell’Attorney General dello stato di New York, Letitia James. Vance da anni si sforza di ottenere le dichiarazioni di otto anni di redditi di Donald Trump. L’accusa di frode fiscale include i pagamenti sottobanco a due donne con le quali Trump aveva avuto relazioni extra matrimoniali. A sua volta, l’Attorney General James è da tempo impegnata in intense indagini ed azioni legali nei confronti del “business” della famiglia Trump. Nel suo mirino figura il figlio del presidente, Eric, accusato di aver commesso attività finanziarie illecite.
Il 21 gennaio, quando Trump tornerà ad essere un semplice cittadino, privo dell’immunità che gli era concessa dalla presidenza, egli verrà sicuramente implicato in indagini che potranno portare a procedimenti penali e condanne, che avrebbero enormi ripercussioni politiche.
E’ scontato che Trump si sforzerà di mantenere in piedi il gigantesco apparato costruito attorno alla sua figura di miliardario portabandiera di una massa di americani disgustati dalla “palude” di governi elitari, e per associazione corrotti, di matrice democratica. Le radici del perverso fenomeno rappresentato da Trump sono di fatto vecchie e profonde. La più eclatante è quella del razzismo sistemico che non è mai cessato negli Stati Uniti ma si è fatto sotterraneo e meno diffuso nella pubblica percezione.
Nondimeno, il razzismo è la componente più forte del risentimento di quella massa di bianchi, presente negli stati rurali ed in quelli del Sud, che Trump ha abilmente sfruttato. L’americano medio nega infatti di essere razzista o cela il fatto di esserlo quando viene interpellato in merito alla sua fede conservatrice. In realtà, le intense proteste nazionali del movimento Black Lives Matter non hanno scalfito le resistenze ad una piena integrazione delle comunità di minoranza nere e di altre etnie. L’incorreggibile brutalità della polizia ci ha messo il resto.
Lo stesso Collegio Elettorale, concepito in un’epoca in cui i padri fondatori cercavano l’equilibrio tra gli stati in via di formazione, è in pratica uno strumento di potere repubblicano. Basti pensare che ancor oggi gli stati che rappresentano il 17 per cento della popolazione eleggono una maggioranza dei senatori. Si stima che entro il 2040 i quindici stati più popolosi conteranno il 67 per cento degli americani ma saranno rappresentati dal 30 per cento dei senatori. Ed ancora, dal 2000 ad oggi il candidato repubblicano ha conquistato la Casa Bianca con un numero di suffragi inferiore a quello del candidato democratico. Biden ha prevalso su Trump con cinque milioni e mezzo di voti in più.
Pur accantonando il declino dell’influenza politica del trumpismo, resta il fatto che per molto tempo ancora il panorama politico americano resterà imprevedibile per una serie di motivi, primo fra tutti la consistenza del partito democratico. I democratici sono tornati alla Casa Bianca ma con le ossa rotte, al Congresso e nelle legislature statali. Dopo aver preconizzato grossi avanzamenti nella consultazione del 3 Novembre, hanno accusato la mancata conquista del senato e la perdita di dieci seggi alla Camera (ma saranno probabilmente di più).
I moderati hanno accusato i liberals di aver scompaginato il messaggio del partito. I liberals si sono difesi oppugnando che era loro dovere incentivare la base progressista. Tra le accuse che incendiano il partito primeggia quella di non aver saputo neutralizzare la campagna con cui i repubblicani hanno affibbiato l’etichetta di socialisti ai candidati democratici. Lo Speaker Nancy Pelosi sta lanciando disperati appelli all’unità. Tra non molto sarà anche lei sotto tiro, anche perche’ conta 80 anni. Per concludere, il partito democratico ha davanti a se un compito estremamente difficile, quello di trasformare una disordinata coalizione anti-Trump in una stabile maggioranza elettorale. Anche senza lo spettro di Donald Trump, il presidente Biden ha dinanzi a se una missione quasi impossibile.
Fausto Braganti
Fausto Braganti - Pensionato, attualmente residente nelle Corbieres (sud est della Francia, vicino a Perpignan). Nato e cresciuto a Sansepolcro. Dopo il liceo ha frequentato l’Università di Firenze, laureandosi in Scienze Politiche al Cesare Alfieri. Si è trasferito a Londra nel 1968, dove ha insegnato italiano all’Italian Center per poi andare a Boston negli Stati Uniti, dove ha lavorato per Alitalia per 27 anni con varie mansioni e in diverse città, sempre nel settore commerciale. Dopo Alitalia è rimasto nel campo turistico per altri 15 anni per promuovere l’Italia agli americani. Ha pubblicato un libro di memorie, “M’Arcordo…” sulla vita a Sansepolcro nel dopo guerra, ottenendo un discreto successo. Ama la Storia: studiarla, raccontarla e scriverla.
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