Opinionisti Giorgio Ciofini

Mattio...

Mio padre mi diceva sempre che, per sapere chi sei, devi sapere da ‘n do’ sei venuto

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Un giorno che s’era a caccia di ricordi per le vie del Granducato, Vittorio m’ha raccontato di quando partiva con nonno Mattio a piedi da Santa Firmana per Arezzo. Era un viaggio pieno di storie.   

Mattio

         Mio padre mi diceva sempre che, per sapere chi sei, devi sapere da ‘n do’ sei venuto. M’è toccato invecchiare, per capire quant’aveva ragione. Lipperlì la risposta mi pareva troppo semplice, per pigliallo sul serio. Si sa tutti da dove si viene. Il difficile mi sembrava sapere ‘n do’ si va, a meno d’essere veggenti. Invece no, aveva ragione ‘l mi’ babbo. Bisogna guardare indietro, per sapere dove andare e scavare sotto le radici, dove si trova la nostra parte più profonda. Mattio Beoni è stato ‘n capostipite, anche se,  ‘l su’ sangue, unn’era blu ma rosso, come quel liquido che si fa con l’uva nera e che ci mise ‘l su’ zampino, per battezzare la casata. Aveva mani che parevano due vanghe e du’ piedi come Guido Monneco ‘n piazza Padella. Una volta andò a’opera da ‘n contadino propietario e ‘n due presero ‘na zuppiera di quelle ‘n do’ ci condiva l’insalata una famiglia d’una decina di cristiani. Ciafettaron drento un pane de du’ chili e ci fecion culizione. Era come un di que’ cipressi dritti ti e nodosi dell’Ottocento e un gli saltava manco ‘na mosca al naso. Una volta era vito a caccia senza patente, fecion ‘na soffiata e Mattio trovò du’ carabinieri a’ spettallo al cartello de’ Santa Firmina. Gli vulivono sequestrare ‘l fucile. Ne prese uno pe’ la tromba dei calzoni e lo volò a contare le ranocchie ‘n un fosso. L’altro pensò bene de svignassela. Il giorno dopo arivaron ‘n sei a prelevallo a casa sua. Lo presero e lo portarono in caserma ‘n una carrozza co’ la scorta, che pareva il bandito Giuliano. Passò la notte ‘n prigione. Scarcerato, la mattina dopo, la prima cosa che fece andò ‘n chiesa a pregare ‘l Signore, di perdonare la forza pubblica. Era ‘n tipo dimolto religioso, che non saltava una messa e ‘na funzione. Quando ‘ntonavano i salmi, ‘l su’ vocione scappava dalla chiesa per tutto ‘l paese, com’un avvertimento. A Santa Firmina non c’era uno stinco di santo manco a cercallo col lumicino, ma con Mattio rigavon tutti dritti come fusi. Bono e bravo si, ma andava preso pel verso del pelo. Oramai adulto, diventò lettore. Ci teneva a quel titolo, quant’a uno dei suoi figlioli. Quella fu, per lui, ‘na sorta d’emancipazione, una scalata sociale, quando era appena finita la guerra e la Chiana era ancora ‘n canale maestro, come la vita. Mattio ciandava a pescare tinche, carpe, barbi, anguille e cavedani, co’ lo strascico, ma anche co’ le mani.  Era un gran nuotatore. Tufava sott’acqua a pigliare i pesci co’ le su’ manone, stando sott’acqua qualche minuto bono, com’i pescatori di perle. Una domenica ariva uno vistito tutto rifinito e ‘ngravattato. Andava a sposasse! Siccome, ne’la Chiana, i ponti erano radi come le mosche bianche e un c’erano traghetti, li chiese de dagli ‘n passaggio, cioè di pigliallo a buggiulocco e de portallo da’la parte de’la sposa. Mattio lo carcò su’le spalle, com’una balla de grano e s’aviò pe’ la corrente. Tutto procedette per il meglio, fin’a quando, propio ‘n mezzo a’la Chiana, posò ‘l su’ piedone s’uno di que’ sassi traditori, che paion saponette, sguillò e finì a mollo col passeggero e tutto. Non ve dico i rosari che disse lo sposino, che furon de più di quanti ne dicon le dunnine, pe’ la novena di Natale. Ma quand’arivò da’la parte opposta, Mattio gli gridò: “D’acqua te n’ho fatta bere quanto te pare, vol dire che quando vengo a casa tua me n’offrirai altrettanto de quel bono!” Ma lo sposino un gli rispose neanche e se n’andò scrollandosi tutto, come fanno i cani dopo ‘l bagno. ‘N altra volta era afogato un ragazzo ne’la Chiana. ‘Na bomba aveva scavato una gran buca e l’acqua era dimolto profonda in quel punto. ‘Nsomma un l’artrovavano. Andarono a cercallo a casa, come que’ sei carabinieri. Mattio, oramai, viaggiava ‘ntorno ai settanta, ma non disse bai, tufò ne’la Chiana com’ai bei tempi e armase sotto più di du’ minuti, perché voleva prenderlo “senza sciupagli i bei capelli biondi!” Quand’andava a’Rezzo a trovare la sorella, si portava dietro anche Vittorio, ch’era ‘n cittarello e, per arivare, si faceva le stazioni del Mighela, quand’arivava a ‘Rezzo da Quarata. La prima e l’ultima erano a’la bottega del mi’ zi’ Ghigo a Santa Maria. In que’ brindisi, c’era anche il destino di due casate limitrofe, dei Beoni e dei Ciofini, col mi’ babbo che partì dal Tucciarello per andare a sposasse al paese di Mattio e mi trasmise ‘n po’ di quei geni che, a Santa Firmina, mi fanno sentire a casa mia.   

Redazione
© Riproduzione riservata
02/05/2021 09:19:59

Giorgio Ciofini

Giorgio Ciofini è un giornalista laureato in lettere e filosofia, ha collaborato con Teletruria, la Nazione e il Corriere di Arezzo, è stato direttore della Biblioteca e del Museo dell'Accademia Etrusca di Cortona e della Biblioteca Città di Arezzo. E' stato direttore responsabile di varie riviste con carattere culturale, politico e sportivo. Ha pubblicato il Can da l'Agli, il Can di Betto e il Can de’ Svizzeri, in collaborazione con Vittorio Beoni, la Nostra Giostra e il Palio dell'Assunto.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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