Ambiente Clima

Cambiamento climatico rimodellerà radicalmente la vita sulla Terra: il rapporto shock

L’allarme nella bozza del rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC)

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Secondo una bozza del nuovo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) della quale è entrata in possesso l’Agence France-Presse (AFP), «Nei prossimi decenni il cambiamento climatico rimodellerà radicalmente la vita sulla Terra, anche se gli esseri umani riusciranno a domare le emissioni di gas serra che provocano il riscaldamento del pianeta». Le minacce del cambiamento climatico alla vita sulla Terra sono sistemiche, interconnesse e su una scala senza precedenti nella storia umana e quello che ci aspetta sono: estinzione delle specie, malattie infettive più diffuse, caldo invivibile, collasso dell’ecosistema, città minacciate dall’innalzamento dei mari. Devastanti impatti climatici che, insieme ad altri, stanno accelerando e sono destinati a diventare dolorosamente evidenti prima che un bambino nato oggi compia i 30 anni.

L’IPCC avverte che «Le scelte che le società fanno ora determineranno se la nostra specie prospererà o semplicemente sopravvivrà». Ma, purtroppo, le pericolose soglie che l’umanità non può permettersi di superare sono più vicine di quanto si pensasse e le terribili conseguenze a breve termine derivanti da decenni di sfrenato inquinamento da carbonio sono inevitabili. Il rapporto lascia poco spazio all’ottimismo a un’umanità che si sta avviando senza troppa preoccupazione versio il precipizio; «Il peggio deve ancora venire, incidendo sulla vita dei nostri figli e dei nostri nipoti molto più che sulla  nostra».

L’AFP dice che questa preoccupante bozza è «Di gran lunga il catalogo più completo mai assemblato su come il cambiamento climatico sta sconvolgendo il nostro mondo, il rapporto si legge come un atto d’accusa di 4.000 pagine contro la gestione del pianeta da parte dell’umanità». Un documento che influenzerà le decisioni politiche essenziali per il nostro futuro e delle specie che condividono con noi il pianeta Terra, ma che verrà pubblicato solo a febbraio 2022, troppo tardi per i vertici Onu su clima, biodiversità e sistemi alimentari che si terranno quest’anno, ed è probabilmente per questo che qualche scienziato ha deciso di far girare la bozza che arriva in un momento di “risveglio ecologico” globale e rappresenta un promemoria sulla realtà rispetto alla sfilza di promesse sul net zero da parte di governi e grandi imprese di tutto il mondo che più passa il tempo e più sembrano colossali operazioni di greenwashing.

L’AFP fa notare che le sfide che evidenzia il rapporto «Sono sistemiche, intessute nel tessuto stesso della vita quotidiana. Sono anche profondamente ingiuste: i meno responsabili del riscaldamento globale soffriranno in modo sproporzionato». E la bozza di rapporto dimostra anche che se continuiamo a emettere quantità record di gas serra nell’atmosfera, miniamo la capacità delle foreste e degli oceani di assorbirli, trasformando in nemici i nostri più grandi alleati naturali nella lotta contro il riscaldamento globale. L’IPCC avverte che «I precedenti importanti shock climatici hanno alterato drammaticamente l’ambiente e spazzato via la maggior parte delle specie, sollevando la questione se l’umanità stia seminando i semi della propria scomparsa. La vita sulla Terra può riprendersi da un drastico cambiamento climatico evolvendosi in nuove specie e creando nuovi ecosistemi. Gli umani non possono farlo».

La bozza di rapporto, che ha subito un’importante revisione ed è improbabile che cambi prima della sua pubblicazione, presenta almeno 4 conclusioni principali:

Con 1,1 gradi Celsius di riscaldamento registrato finora, il clima sta già cambiando. Un decennio fa, gli scienziati credevano che limitare il riscaldamento globale a due gradi Celsius sopra i livelli della metà del XIX secolo sarebbe stato sufficiente per salvaguardare il nostro futuro. Questo obiettivo è sancito dall’Accordo di Parigi del 2015, adottato da quasi 200 nazioni che hanno promesso di limitare collettivamente il riscaldamento a “ben al di sotto” di 2° C, se possibile, di 1,5 gradi.

La bozza IPCC avverte che, con i trend attuali, ci stiamo dirigendo al minimo verso i 3° C. I modelli precedenti prevedevano che non avremmo visto cambiamenti climatici che alterano la Terra prima del 2100, ma la bozza di rapporto rivela che un riscaldamento prolungato anche oltre 1,5 gradi Celsius potrebbe produrre conseguenze progressivamente gravi, lunghe secoli e, in alcuni casi, irreversibili». La cosa è preoccupante, visto che solo a maggio la World meteorological organization ha annunciato che ci sono il 40% di probabilità che la Terra superi la soglia di 1,5 gradi per almeno un anno entro il 2026.

Per alcune piante e animali potrebbe essere troppo tardi.  Dopo precedenti drastici shock climatici come quello che sta attualmente affrontando il pianeta, il ripristino degli ecosistemi, delle reti trofiche e della biodiversità ha richiesto milioni di anni e ha comportato l’emergere di specie completamente nuove. Molti ecosistemi terrestri, d’acqua dolce, oceanici e costieri sono già “vicini o oltre” i limiti della loro capacità di adattamento ai cambiamenti climatici.

Con un aumento medio delle temperature globali di 2 gradi Celsius – Per l’Accordo sul clima di Parigi la soglia di sicurezza è  1,5° C – il 15% del permafrost del pianeta potrebbe andar perso entro il 2100, rilasciando tra 36 e 67 miliardi di tonnellate di carbonio dal suolo ghiacciato: un circolo vizioso che causerebbe ancora più riscaldamento. Gli eventi estremi, insieme alle tendenze climatiche a lungo termine, stanno spingendo gli ecosistemi verso punti di non ritorno «oltre i quali possono verificarsi cambiamenti improvvisi e forse irreversibili».

Le prospettive per le specie viventi del mondo sembrano molto pericolose: i tassi di estinzione stanno accelerando drammaticamente e si stima che siano 1.000 volte superiori rispetto a prima dell’impatto delle attività umane sulla Terra nel secolo scorso. Di fronte all’aumento delle temperature, entro la fine del secolo molte piante e animali si sposteranno di centinaia di chilometri rispetto ai loro habitat naturali. Se la Terra si riscalderà da 2 a 3 gradi Celsius al di sopra dei livelli preindustriali, fino al 54% delle specie terrestri e marine sono minacciate di estinzione entro questo secolo. Particolarmente a rischio sono le specie di alta montagna e insulari. Anche in un mondo a più 2° C, gli animali polari come pinguini, foche, orsi polari e le barriere coralline di acqua calda e le mangrovie, saranno gravemente minacciati

L’ultima volta che gli oceani hanno visto i livelli di acidificazione e di impoverimento di ossigeno come quelli previsti per il 2100 in uno scenario di alte emissioni è stato circa 56 milioni di anni fa. Tra il 1925 e il 2016, le ondate di caldo marine – che possono danneggiare e uccidere coralli, foreste di alghe e piante sottomarine e invertebrati – sono diventate il 34% più frequenti e il 17% più lunghe. Si prevede che dal 70 al 90% delle barriere coralline del mondo diminuiranno con appena 1,5° C in più di riscaldamento globale. Oltre questa soglia subiranno perdite più estese.

L’IPCC dice che «Il mondo deve affrontare questa realtà e prepararsi all’assalto». Si tratta del secondo importante aspetto della bozza di rapporto: «Gli attuali livelli di adattamento saranno inadeguati per rispondere ai futuri rischi climatici». Le proiezioni di metà secolo – anche in uno scenario ottimistico di +2° C, dimostrano quanto sia ardua la sfida che ha di fronte l’umanità per salvarsi: entro il 2050, decine di milioni di persone in più rischiano di dover affrontare la fame cronica e, se si permette che la disuguaglianza si approfondisca ancora, altri 130 milioni potrebbero sperimentare la povertà estrema entro un decennio.

Nel 2050, le città costiere in “prima linea” nella crisi climatica vedranno centinaia di milioni di persone a rischio di inondazioni e mareggiate sempre più frequenti rese più mortali dall’innalzamento dei mari. Circa 350 milioni di persone in più che vivono nelle aree urbane saranno esposte alla scarsità d’acqua a causa di gravi siccità già a 1,5° C di riscaldamento, 410 milioni a 2° C. Un mezzo grado in più che significherà anche 420 milioni di persone in più esposte a ondate di caldo estreme e potenzialmente letali. La bozza IPCC mette ancora in guardia: «Si prevede che i costi di adattamento per l’Africa aumenteranno di decine di miliardi di dollari all’anno con un riscaldamento superiore a 2 gradi».

Il terzo punto della bozza di rapporto riguarda il punto di non ritorno  e delinea il pericolo di impatti composti e a cascata, insieme alle soglie di non ritorno nel sistema climatico che gli scienziati hanno appena iniziato a misurare e comprendere. Recenti ricerche hanno dimostrato che un riscaldamento di 2° C potrebbe accelerare lo scioglimento delle calotte glaciali della Groenlandia e all’Antartico occidentale, immettendo bnegli oceani abbastanza acqua da farli innalzare di 13 metri se verrà superato il punto di non ritorno.

Un pericoloso mix di temperature più elevate, condizioni di siccità e siccità prolungate significa che le stagioni degli incendi boschivi in ​​tutto il pianeta sono più lunghe e le aree potenzialmente bruciabili sono raddoppiate. Elevate emissioni di gas serra potrebbero significare siccità e incendi che trasformerebbero metà della foresta pluviale amazzonica in praterie, un punto di non ritorno che rilascerebbe ulteriore carbonio. Nella tundra artica e nella foresta boreale, l’area bruciata dagli incendi è aumentata di 9 volte in tutta la Siberia dal 1996 al 2015. Il ripristino delle foreste può stoccare carbonio e contribuire a ridurre la vulnerabilità umana ai cambiamenti climatici. Ma piantare alberi in luoghi al di fuori delle foreste naturali, come nelle praterie e nelle savane, può danneggiare la biodiversità e aumentare i rischi climatici

In un futuro più immediato, alcune regioni – Brasile orientale, Sud-est asiatico, Mediterraneo, Cina centrale – e le coste in quasi tutto il mondo potrebbero essere colpite da più calamità climatiche contemporaneamente: siccità, ondate di caldo, cicloni, incendi, inondazioni.

Ma gli impatti del riscaldamento globale sono amplificati anche da tutti gli altri modi in cui l’umanità ha infranto l’equilibrio della Terra e che includono: «Perdita di habitat e resilienza, sfruttamento eccessivo, estrazione di acqua, inquinamento, specie non autoctone invasive e diffusione di parassiti e malattie».

Nicholas Stern, ex capo economista della Banca mondiale e autore della famosa Stern Review on the Economics of Climate Change, che non ha contribuito al rapporto dell’IPCC, ha commentato: «Non esiste una soluzione facile a un tale groviglio di problemi. Il mondo sta affrontando una serie complessa di sfide intrecciate. A meno che non li affrontiamo insieme, non riusciremo a farcela». La bozza di rapporto contiene davvero pochissime buone notizie, ma l’IPCC sottolinea che «Si può fare molto per evitare gli scenari peggiori e prepararsi a impatti che non possono più essere evitati. La conservazione e il ripristino dei cosiddetti ecosistemi blue carbon, ad esempio le foreste di alghe e mangrovie, migliorano gli stock di carbonio e proteggono dalle mareggiate, oltre a fornire habitat naturali, mezzi di sussistenza costieri e sicurezza alimentare. Anche il passaggio a diete maggiormente a base vegetale potrebbe ridurre le emissioni legate al cibo fino al 70% entro il 2050».

Ma il rapporto IPCC conclude spiegando che la soluzione al disastro climatico e ambientale non potrà arrivare semplicemente dai tanti piccoli impegni volontari personali: «Cambiare semplicemente le auto a benzina con quelle elettriche, o piantare miliardi di alberi per compensare il business-as-usual, non servirà a tagliare le emissioni. Abbiamo bisogno di un cambiamento trasformazionale che operi su processi e comportamenti a tutti i livelli: individuo, comunità, imprese, istituzioni e governi. Dobbiamo ridefinire il nostro modo di vivere e di consumare».

Notizia e Foto tratte da Tiscali
© Riproduzione riservata
28/06/2021 06:08:40


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