Zaki, lettera dal carcere alla fidanzata
“Continuerò a combattere finché non torno a Bologna”
«Combatterò finché non tornerò a studiare a Bologna». Lo afferma Patrick Zaki in una lettera alla fidanzata pubblicata dalla pagina social “Patrick Libero” e consegnata alla famiglia durante una visita nel carcere egiziano dove lo studente è detenuto. «La mia indagine è ripresa, il che potrebbe significare che un giorno andrò in tribunale e avrò un processo e questo è molto peggio di quanto mi aspettassi. Dopo un anno e mezzo, non potevo fare a meno di pensare che avrò presto la mia libertà, ma ora è chiaro che non accadrà presto», scrive.
«È passato molto tempo dall'ultima volta che ci siamo incontrati, è stato solo per pochi minuti, ma mi lascia sempre un enorme impatto positivo e mi dà la voglia di andare avanti con maggiore determinazione», continua lo studente. «So che nei nostri sogni più sfrenati non avremmo mai potuto immaginare questo scenario, e da quando sono partito per Bologna abbiamo fatto così tanti progetti, il primo dei quali è che tu venga a trovarmi lì e giriamo l'Italia insieme. Mi rende estremamente triste il fatto che non posso vedere questo accadere presto, dato che la mia situazione sta peggiorando di giorno in giorno».
Per Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, «è uno dei messaggi più importanti in questo ormai anno e mezzo di detenzione illegale. E' un messaggio che non è stato frequente in questi 18 mesi, che guarda al futuro, che di nuovo pensa a Bologna come il punto in cui la vita di Patrick si è interrotta e dal quale vuole riprenderla. E' di grande incoraggiamento per tutti noi, è il messaggio di una persona determinata a resistere fino a quando non tornerà nel luogo scelto per studiare e per vivere». Zaki, studente egiziano dell'università di Bologna è stato arrestato al suo arrivo in Egitto, dove era tornato per una vacanza, con l'accusa di istigazione al «rovesciamento del regime al potere». Ora si trova in carcere in Egitto. La sua famiglia sostiene che sia stato picchiato e torturato per conoscere «i suoi legami con l'Italia e con la famiglia di Giulio Regeni».
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