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E’ morto a 88 anni l’attore Jean-Paul Belmondo

Nel 2001 era stato colpito da un ictus, ma si era ripreso

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Se fosse vero l'antico proverbio giapponese per il quale si vive solo due volte, la prima quando si nasce e poi quando si guarda la morte in faccia, Jean-Paul Belmondo (classe 1933) ha già superato questo traguardo. Il divo francese è morto ieri all’età di 88 anni ma può vantarsi di aver vissuto già molto di più: agile come un gatto nella vita e sul set, ha nella sua faretra almeno sette vite diverse da vivere e solo una parte è già stata consumata. Nel 2001 è stato colpito da un ictus e per otto anni è scomparso da ogni apparizione pubblica. Ma con incrollabile forza di volontà si è ripreso, dando il via a una nuova fase della vita, idealmente sancita nel 2011 dalla consegna della Palma d'oro alla carriera a Cannes. Nato a Neuilly sur Seine, alle porte di Parigi, ha sangue italiano nelle vene giacché il padre era uno scultore di buona fama, Paolo Raimondo. Dopo un esordio a teatro, Belmondo si fa apprezzare come 'jeune premier' in 'Peccatori in Blue Jeans' di Marc Allegret (1958), ma dà anche fiducia al giovanissimo Claude Chabrol in 'A doppia mandata' (1959). Comincia da li' il suo percorso parallelo con Alain Delon che sta folgorando il pubblico con 'Delitto in pieno sole'. Ma 'Bebel' (così si fa chiamare per sottolineare il suo stile stravagante e canzonatorio) è rapido a cambiare registro affidandosi a Jean-Luc Godard che lo vuole protagonista di 'Fino all'ultimo respiro' (1960) e poi di 'Pierrot le fou' (1965). Lavorare con il maestro indiscusso della Nouvelle Vague rappresenta per Belmondo una sfida: deve tenere insieme i canoni della recitazione classica e il loro stravolgimento. E ci riesce, contribuendo da solo all'inatteso successo commerciale dei due film. 

Rispetto a Delon, di due anni più giovane, Bebel ha il vantaggio dell'innata simpatia comunicativa, un bel naso schiacciato da boxeur fallito, una innata predisposizione a stupire, tanto il suo 'gemello' gioca invece la carta del bel tenebroso, divorato da dilemmi interiori. Hanno esordito (o quasi) con lo stesso maestro, Allegret, hanno flirtato entrambi con la nouvelle vague, hanno successo con le donne e con gli spettatori, si dividono il campo come Coppi e Bartali. In qualche modo li accomuna anche l'Italia, giacche' entrambi vengono adottati - molto giovani - dal nostro cinema.

Ed ecco allora Belmondo vestire i panni di Michele ne 'La ciociara' di Vittorio De Sica e poi di Amerigo ne 'La viaccia' di Mauro Bolognini (1961). Ma è sul mercato francese e, in particolare, nel cinema poliziesco (il polar) che combatte la grande battaglia per la popolarità con Delon. Belmondo recita con Claude Sautet in 'Asfalto che scotta' (1960), 'Quello che spara per primo' di Jean Becker (1961), 'Quando torna l'inverno' di Henri Verneuil (1962), fino a 'Lo spione' del maestro Jean Pierre Melville, lo stesso che portera' a vette assolute Delon in 'Frank Costello'. 

Il sodalizio con Melville dura tre film e dà a Belmondo tutti i 'quarti di nobilta'' di cui ha bisogno presso la critica. Ma il giovane mattatore vuole il gran successo popolare. Per questo, in una sorta di terza vita artistica, si affida a Philippe de Broca e interpreta 'L'uomo di Rio' (1964), cocktail di commedia gialla, film d'avventura, parodia di generi in voga: Bebel recita a velocità supersonica, compie peripezie spericolate da stuntman (fino in tarda eta' non vorra' mai una controfigura) e conquista i francesi. Conquista anche il riottoso Delon che si rassegna all'idea di far coppia col suo rivale. Avverrà nel 1970 con 'Borsalino', successo planetario e inizio di una quarta fase nella carriera di Belmondo che intanto ha lavorato con tutti i registi più apprezzati e popolari, da Claude Lelouch a Francois Truffaut ('La mia droga si chiama Julie') e ha coniato una coppia di sicura simpatia con la perfetta 'spalla' Lino Ventura.

Belmondo si è sposato due volte (con la ballerina Elodie che gli ha dato tre figli e l'attuale compagna Natty), legandosi anche a lungo con Laura Antonelli. Sul set raccoglie l'eredità di Gerard Philippe interpretando eroi acrobatici e romantici, di Jean Gabin incarnando lo spirito francese più nazionalista e orgoglioso, di Yves Montand regalandosi ampie licenze tra cinema e teatro. Nel 1974 sente il richiamo del cinema d'autore e accetta la parte del truffatore Stavisky nel raffinato film omonimo di Alain Resnais.

Non rinuncia ai ruoli che hanno fatto la sua carriera e ai registi-complici di sempre (Gerard Oury, Philippe Labro, Henri Verneuil, Jacques Deray, Georges Lautner), ma cerca altro. In teatro ripassa tutti i grandi classici, veste perfino i panni del mattatore Kean e aspira a un finale di carriera da 'padre nobile', guadagnandosi intanto il Premio Cesar come miglior attore nel 1989 per ''Una vita non basta'' di Claude Lelouch.

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
07/09/2021 05:35:14


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