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Macron: “Abbiamo ucciso il capo dell’Isis in Sahel”

L’operazione aggiunge un tassello al mosaico del Paese africano

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Poche ore dopo la notizia diffusa da Reuters secondo cui il governo del Mali sarebbe vicino a un accordo per assicurarsi i servizi dell’azienda privata di mercenari russi “Wagner Group”, arriva il tweet di Emmanuel Macron, che nella notte ha annunciato che «Adnan Abou Walid al Sahraoui, il leader del gruppo terroristico Stato islamico nel Grande Sahara, è stato neutralizzato dalle forze francesi». L’uccisione di al Sahraoui Al Sahrawi è una vittoria per la tanto criticata operazione Barkhane in Sahel, che è costata ai francesi oltre 50 vittime militari. Egli era stato designato come "nemico prioritario", perchè considerato la mente dietro molti degli attacchi perpetrati tra Mali, Niger e Burkina Faso. La Francia potrebbe aver accelerato la diffusione della notizia anche per controbilanciare l’impatto mediatico avuto da Wagner nei giorni scorsi. Tuttavia è difficile che  l’operazione francese intaccherà il riposizionamento strategico delle forze militari annunciato in estate, con la Russia che sembra pronta ad approfittare se si creeranno margini per irrobustire la propria influenza nella regione. Martedì mattina, l’esclusiva di Reuters aveva scatenato l’irritazione della Francia, che ha subito annunciato prese di posizione. Sebbene la notizia sia interpretata come l’ennesimo tentativo da parte di Mosca di estendere la propria influenza ricorrendo ai mercenari, gli analisti geopolitici concordano sul fatto che, se la Russia ha potuto approfittare di una nuova zona grigia nelle relazioni internazionali con Sahel, molto lo deve a un tentativo di riposizionamento delle priorità strategiche dei Paesi europei - Italia compresa - che passa un ridimensionamento della centralità del Mali, la cui stabilità politica è da anni vessata da continui colpi di stato. 

Il gruppo paramilitare con cui Bamako ipotizza un accordo da 10.8 milioni di dollari al mese è considerato “la mano invisibile” del Cremlino. «Come già dimostrato in Repubblica Centrafricana e in Siria, la finalità della Russia è essenzialmente una: riempire lo spazio lasciato libero dalle potenze occidentali a fini strategici», commenta Edoardo Baldaro, ricercatore dell’Ispi e esperto di Sahel. La società di contractors è finanziata da Yevgeny Prigozhin. Soprannominato “lo chef di Putin” Prigozhin è un uomo d’affari con poco pelo sullo stomaco e molte condanne alle spalle.

«I mille soldati russi che prevederebbe l’accordo - sul quale né il governo maliano né l’ufficio di Wagner si sono ancora pronunciati - andrebbero a rafforzare una presenza che, seppur in misura molto ristretta e, se possibile, ancora più informale, in Mali c’è già», continua Baldaro. «Tempo fa Mosca aveva concluso un affare per la vendita di alcuni elicotteri militari. Come personale di addestramento utile ai militari maliani, meno esperti nell’utilizzo di certe strumentazioni, era stato inviato un piccolo gruppo di contractors; si tratta di un’entità senza un formale ordinamento giuridico che opera in maniera slegata dal governo russo. Ciò da loro un ampio margine operativo». 

In questo modo la Russia ha rafforzato un modus operandi ben noto agli analisti. «Mosca utilizza una vecchia formula: fornisce armi in cambio di risorse. È già successo in Guinea, poi in Nigeria, dove la Lukoil ha utilizzato il golfo del Niger per le proprie attività estrattive», prosegue Baldaro. «Wagner permette quindi alla Russia di agire senza figurare», adottando quella che gli accademici chiamano la “smentita plausibile”, ovvero una scusa inverosimile ma supportata, seppur in modo opaco, dalla cornice formale entro cui i fatti accadono. 

La notizia di Reuters è presto circolata in Francia, facendo infuriare il ministro per gli Affari esteri Jean-Yves Le Drian: «Questa mossa è incompatibile con la presenza francese sul territorio», ha detto il ministro, aggiungendo come «Wagner abbia già dato prova di essere una milizia macchiatasi in passato di abusi e violazioni». Per tutta risposta, il governo francese ha annunciato un’azione diplomatica per impedire l’accordo con i paramilitari.

Diversi fattori hanno favorito la penetrazione russa nell’Africa occidentale. La marcia di allontanamento dal Mali della Francia di Macron è divenuta chiara lo scorso maggio, quando il governo di Parigi ha temporaneamente interrotto i rapporti militari con il Paese africano. Ciò a seguito del secondo colpo di Stato nell’arco di pochi mesi, poiché il “golpe nel golpe” - così è stato definito - era stato preceduto da un altro rovesciamento condotto dai colonnelli maliani, che il 18 agosto del 2020 avevano costretto alle dimissioni l’allora presidente eletto Ibrahim Boubacar Keita. Inizialmente quella svolta di governo - condotta dai colonnelli Ismaël Wagué e Asimi Goita - aveva addirittura incontrato l’approvazione di Macron, soddisfatto dei rapporti con l’esecutivo di transizione controllato dal Comité National pour le Salut du Peuple istituito dai golpisti. 

Nei mesi successivi, gli interessi francesi hanno però cominciato a divergere, isolando progressivamente Bamako: da un lato, prima della notizia dell’uccisione del capo di Daesh avvenuta questa notte,  il bilancio tante volte criticato dell'operazione Barkhane, la costosissima ”War on terror” in salsa francese, aveva sostanzialmente deluso. «La Francia avrebbe dovuto neutralizzare la minaccia jihadista nelle regioni settentrionali del Mali, impedendo la nascita di califfati. Ma le azioni militari sono state spesso oggette di critiche - specie da parte della società civile francese - come dopo lo sciagurato raid aereo nel villaggio di Bounti che uccise decine di persone che stavano festeggiando un matrimonio», prosegue Baldaro. Quell’evento ha aggregato l’opinione locale contro la presenza di Parigi, come testimoniano le proteste anti-francesi che si sono succedute. L’aver comunque impedito il consolidamento delle entità jihadiste presenti sul territorio, non ha fatto di Barkhane un’operazione di successo, specie al netto dell’ingente peso economico della missione, che consuma oltre un un terzo del budget allocato dal ministero della Difesa per le missioni all’estero.

«La notizia dei contractors potrebbe essere un modo per il Mali di lanciare un messaggio alla Francia e alle forze occidentali presenti nel Paese. La Francia in particolare ha approfittato dell’instabilità del governo dei golpisti per dare una scossa al proprio riposizionamento strategico in Africa Occidentale», conclude Baldaro. Le attenzioni francesi si sono quindi spostate, plasmate dalla linea della nuova Task Force Takuba - dove l’Italia fornisce il secondo contingente per numero di unità, 200 circa - e premiando il lavoro di diplomazia del Niger, Paese chiave per comprendere il riorientamento strategico nel Sahel. Venuti meno i già fragili presupposti alla presenza militare nelle basi maliane di Kidal, Tessalit e Timbuctù, a inizio luglio Macron ha annunciato un piano per la chiusura delle basi e un massiccio rientro di militari entro la fine dell’anno. 

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
16/09/2021 13:58:17


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