Nobel della Letteratura 2021 al romanziere tanzaniano Abdulrazak Gurnah
Per “gli effetti sul colonialismo”
Il premio Nobel per la letteratura questa volta sorprenderà molti editori, italiani compresi. Abdulrazak Gurnah, 73 anni, originario di Zanzibar ma in Inghilterra dalla fine degli Anni Sessanta dove aveva studiato e si rifugiò, dopo varie peregrinazioni che lo avevano portato anche in Nigeria, per fuggire da un’ondata di violenze scoppiate nel suo paese contro i cittadini di origine araba, viene definito dall’Accademia di Stoccolma come il grande interprete del romanzo post-coloniale, e dell’era dei rifugiati e dei perseguitati. In Italia conosciamo di lui “Il disertore” (Garzanti 2006), una delle sue opere più acclamate che racconta una storia d’amore sulla costa dell’Oceano indiano fra un esploratore britannico e una ragazza locale, destinata ad avere effetti per tre generazioni.
Gurnah si impose presto all’attenzione della critica, con “Paradise” (1994), romanzo di formazione che narra la storia di un ragazzo venduto a 12 anni dal padre per pagare un debito, e che cresce in un’Africa ancora precoloniale mirandosi di volta in volta coi tempi nuovi, tra guerre, violenze, corruzione, ma aveva esordito già nell’87 con “Memory of Departure”, in sostanza la sua storia di profugo. Professore all’Università del Kent è stato uno dei fondatori della branca di studi cosiddetti «postcoloniali», e come tale ha lavorato specialmente su autori che come lui si sono ritrovati a dover scegliere tra lingue e destini apparentemente contrastanti, da Joseph Conrad all’amico Salman Rushdie, al quale ha anche dedicato un’importante raccolta di saggi critici.
Gli accademici del Nobel sottolineano come nei suoi libri non vi sia una pura e semplice nostalgia per una inesistente paradiso perduto, ma la ricerca attraverso la narrazione di quella che dovrà essere «un’altra Africa». Per certi versi la scelta di uno scrittore con queste caratteristiche ricorda quella, nel lontano 1986, del nigeriano Wole Soyinka, ancora poco noto all’estero, che come Gurnah aveva scelto di scrivere non nella lingua madre, lo swahili, ma in inglese. Anche allora la scelta destò qualche stupore e fu per molti versi sorprendente, anche perché portò per la prima volta sulla scena mondiale una grande voce africana. Con una differenza rispetto a oggi: quello di Soyinka era un mondo coloniale e di rifugiati semmai politici, quello che Gurnah racconta è il nostro, di mondo, dove le migrazioni sono diventati altra cosa, oltre che un fenomeno di massa.
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