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Gabrio Ganovelli, un genio del fermodellismo

Ha tradotto in realtà la sua passione con l’allestimento di un grande plastico

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Non tanti pezzi, come è nel caso classico, ma un unico grande plastico che fa collezione da solo. Tutto ruota attorno a una passione altrettanto classica, che in genere subentra ancora da bambino senza mai più andarsene: quella per i trenini elettrici, che Gabrio Ganovelli ha trasformato in qualcosa di eccezionale. I trenini hanno bisogno di una ferrovia e di un percorso e allora il fermodellista costruisce attorno ai binari e agli scambi tutto un contesto paesaggistico nel quale può sbizzarrirsi a suo piacimento e mettere a frutto una creatività che lascia a bocca aperta. Ganovelli lo ha fatto in uno dei vani di casa con un plastico che ancora deve essere completato e che di fatto è in continuo divenire. Un plastico in scala N, che nel modellismo ferroviario corrisponde a 1:160; una miniatura più piccola rispetto a quella normale, cioè la scala H0, pari a 1:87. Ganovelli, 69 anni e oggi titolare di un ufficio di pratiche amministrative dopo aver svolto la professione di consulente di aziende commerciali, è originario di Città di Castello ma vive a San Giustino dal 1990 e qui ha potuto realizzare il sogno che coltivava da ragazzo.

Ganovelli, perché si diventa appassionati dei trenini? Quale fascino particolare riescono ad esercitare?

“La passione è nata quando ero ragazzino. Avevo il padre che, per motivi di lavoro, viveva in Svizzera e per andare a trovarlo, prima che prendessi la patente, mi spostavo in treno. Peraltro, la Svizzera è un Paese nel quale i treni sono molto adoperati per gli spostamenti e i paesaggi elvetici sono presi come esempio dai fermodellisti per costruire i plastici. A ispirarmi è stato poi anche Amleto Bambini del vecchio Emporio 45 di Città di Castello: lui aveva realizzato piccoli plastici e in quel periodo in Italia c’erano le due grandi case di modellini, la Lima e la Rivarossi, ora acquistate dagli inglesi. In questo vano della mia abitazione ho potuto riattivare e riconvertire il plastico che avevo iniziato negli anni ‘90”.

Fatta la premessa, mentre il convoglio passeggeri comincia a girare (ovviamente, vi sono anche vagoni merci, cisterna e frigo), il nostro occhio è catturato da ogni particolare: gallerie più o meno lunghe, ponti in ferro e in cemento; tre stazioni, delle quali una centrale con più binari, una di passaggio e un’altra terminale; cabina di comando, piattaforma girevole, convogli fermi, sottopassaggi, rimessa per le locomotive vecchie e moderne, magazzino merci e silos per l’acqua. Accanto alla parte più propriamente ferroviaria, un contorno altrettanto minuzioso: passaggi a livello con barriere, edifici delle stazioni con accanto la parte staccata dei bagni pubblici, edicola, fiume e diga, chiesina in altura, casa colonica, casa cantoniera, distributore di carburante, serre, torre e - all’altezza della stazione terminale - un piccolo borgo antico arroccato, da completare probabilmente con un castello. E poi la strada normale, lungo la quale troviamo dai palazzi moderni a quattro piani alla falegnameria e altre fabbriche. Il tutto allestito da Ganovelli, rigorosamente in scala N. E di roba con la quale implementare il plastico ne manca ancora diversa.

“Gli edifici di tipologia italiana erano difficili da trovare in scala N – dice Ganovelli – però un artigiano italiano ha prodotto vari edifici e accessori tra i quali casa cantoniera, cascine, passaggi a livello, stazione di servizio carburanti mentre alcuni pezzi li ho fatti direttamente io, vedi la tettoia della stazione principale, una cascina e il ponte con gli archi, non dimenticando che io comunque dipingo le case e gli immobili. L’Emporio 45 aveva tutto, ora invece i negozi nei quali fornirsi sono quasi spariti, anche se ci sono a Perugia, a Foligno e in primis… su internet”. 

Qual è la cosa più complicata dell’intero impianto?

“Senza dubbio la parte elettrica: ogni scambio ha tre fili che debbono andare ai comandi, poi vi sono i sezionamenti elettrici dei binari. L’impianto elettrico è ovviamente fondamentale, come è altresì necessario tenere sotto controllo tutta la ferrovia, anche e soprattutto la parte coperta: nei due grandi anelli che ho creato, sono diversi i tratti in galleria, quindi coperti, nei quali il treno potrebbe “deragliare” o fermarsi per un qualsiasi motivo. Per risolvere questi eventuali inconvenienti, vi sono più moduli staccati che, uniti fra di essi, compongono il paesaggio. È sufficiente alzare quello interessato e riposizionarlo dopo aver fatto ripartire il trenino. I moduli aiutano poi anche qualora un domani si potesse prospettare l’ipotesi di uno spostamento logistico del plastico”.

In Italia è sviluppata la cultura fermodellistica?

“Di persone come me ci sono, ma le nazioni più forti sotto questo profilo sono Germania, Austria e Svizzera. Ad Amburgo esiste poi il plastico più grande del mondo in scala H0: è il Miniatur Wunderland, un allestimento di oltre mille metri quadrati di superficie all’interno di un vecchio edificio del porto. Lì possiamo ammirare anche le auto che si muovono, le luci e quindi una versione diurna e notturna: un vero spettacolo”.

Un plastico già ammirevole così, il suo. Viene quasi voglia di tornare bambini e di non muoversi da qui, ma quanto c’è ancora da lavorarvi?

“Compatibilmente con il tempo a disposizione, debbo completarlo con la vegetazione, gli alberi e le zone boscate, anche se per esempio vi sono già la colorazione verde dei campi e una piccola vigna. Per fiume, torrente e diga esiste una speciale resina con la quale si ottiene il colore dell’acqua, mentre ho intenzione di ingrandire il borgo antico con la stazione terminale mettendovi un vecchio castello oppure una villa con un parco. Manca poi quell’animazione data dai personaggi in stazione, nell’area di rifornimento e, per esempio, anche nelle fabbriche, così come mancano auto e mezzi pesanti sulle strade, ma i margini di arricchimento dello scenario sono molto ampi”.

Qual è la dote principale che deve avere un vero fermodellista?

“La pazienza. Per realizzare un plastico occorre una pazienza infinita, fermo restando che se alla base non vi è una grande passione tutto diventa impossibile. È quella che ti muove ed è quella che ti fa diventare falegname, elettricista, pittore e modellatore di polistirolo per costruire le colline, passando con lo stucco e poi con polveri colorate e vinavil per creare l'effetto rocce. Insomma, debbo ancora finirlo, ma nello spirito dei fermodellisti c’è poi sempre un qualcosa da aggiungere per arricchire il tutto, per cui un plastico non è mai da considerare finito”.   

Notizia tratta dal periodico l'Eco del Tevere
© Riproduzione riservata
14/11/2022 10:10:28


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