Opinionisti Giulia Gambacci

Matilde di Canossa: contessa, duchessa, marchesa e vicaria imperiale, ma regina di fatto

Una donna che ha superato circostanze anche tragiche

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Vissuta nel I secolo dopo Cristo, Matilde di Canossa è una fra le figure femminili più potenti della storia. Diverse le leggende attorno alla sua figura: il potere era destinato nelle mani di suo fratello, che però scomparve prematuramente e lei lo seppe esercitare con fermezza. Tante le vicissitudini di questa persona, il cui carattere determinato l’ha fatta entrare nella storia anche per un modo di dire adoperato nel nostro gergo: “andare a Canossa”. Il significato metaforico è legato al lavoro di mediazione che fece fra Enrico IV, re e imperatore dei Romani e papa Gregorio VII: Enrico IV si recò a Canossa per sottomettersi alla pubblica penitenza e da quel momento “andare a Canossa” significa tornare sui propri passi, riconoscendo un errore commesso. Anche se poi non fu un pentimento sincero.

Matilde di Canossa è il nome più famoso per il quale è da sempre conosciuta, ma era anche Mathilde, Matilde di Toscana e anche la “Gran Contessa”, oltre che duchessa, marchesa e vicaria imperiale. Era nata a Mantova – così almeno risulta – nel 1046, ma di certo è stata una potente feudataria a fianco del papato nella battaglia per le investiture. Un ruolo di primo piano, che l’ha portata a dominare tutti i territori italici a nord dello Stato Pontificio, tanto che proprio sotto di lei il dominio dei Canossa ha toccato il massimo territoriale. A soli 30 anni, nel 1076, il suo territorio comprendeva Lombardia, Emilia, Romagna e Toscana, con il centro a Canossa, che si trova nell’Appennino Reggiano. Matilde resta di certo un personaggio autorevole del Medioevo italiano: vissuta in un periodo di battaglie, intrighi e scomuniche, seppe dimostrare una forza straordinaria, sopportando dolori e umiliazioni con un’innata attitudine al comando. Era ammirata e rispettata dai suoi sudditi per la profonda fede che nutriva verso la Chiesa. Terzogenita della famiglia feudale dei Canossa, marchesi di Tuscia, Matilde era figlia di Bonifacio di Canossa detto “il Tiranno”, unico erede della dinastia canossiana e di Beatrice di Lotaringia, appartenente a una delle più nobili famiglie imperiali e imparentata con i duchi di Svevia e di Borgogna e con papa Stefano IX. A Matilde, in quanto figlia del signore della Tuscia, spettava il titolo di marchesa e duchessa e la Tuscia era stata una circoscrizione del Regno longobardo e, come tale, definita Ducato. Di qui il doppio titolo di marchesa e duchessa. Poco è dato sapere dell’infanzia di Matilde, anche perché i documenti narrano più che mai le sue imprese da adulta. Il suo nome le fu imposto dalla madre Beatrice per affermare la superiorità nobiliare nei confronti del marito. Da piccola, Matilde cresce fra i laghi e i boschi padani e si forma una buona cultura letteraria, conoscendo fin da piccola la lingua dei Teutoni. Vive fra agiatezza e serenità nel castello di Canossa, dove si tengono feste e banchetti organizzati dal padre, che però nel 1052 (quando lei ha solo 6 anni) viene ucciso a tradimento da uno dei suoi vassalli durante una battuta di caccia. La madre rimane così sola con tre bambini piccoli; Matilde e i fratelli ottengono un privilegio di protezione personale dall’imperatore Enrico III, ma poi i due fratelli maggiori muoiono, a causa – così sembra – di un avvelenamento involontario. A papa Leone IX, parente di entrambi i genitori di Matilde, succede papa Vittore II, ospitato ad Arezzo dai Canossiani. Alla sua morte, nel 1057, subentra papa Stefano IX. Le vicissitudini non sono finite: Enrico III prende in ostaggio Matilde e la madre e le porta in Germania. Un anno e muore anche Enrico III, per cui Matilde torna in Italia e la madre si risposa con Goffredo il Barbuto, fratello di papa Stefano IX, duca di Lotaringia e uomo dedito alle armi e alle arti guerresche. Goffredo il Barbuto succede a Bonifacio come signore della Tuscia e la famiglia dei Canossa, parente dei papi e influente nei confronti degli imperatori, era in quel momento la più potente d’Europa. Il nuovo papa, Benedetto X, muore nel 1061, poi ne vengono eletti due: l’imperatore sceglie il vescovo di Parma, Cadalo, che diventa Onorio II, mentre la Chiesa opta per Anselmo da Baggio, vescovo di Lucca ed ecclesiastico dei Canossa. Si tiene allora un nuovo concilio a Mantova, dove papa Onorio II decide di non partecipare, temendo di perdere la vita e Alessandro II dimostra comunque la legalità della propria elezione. I giudici assegnano il papato al loro candidato Alessandro II e Matilde si ritrova di nuovo alleata con un papa amico, ma che per questioni personali diverrà poi un suo nemico. Vi è poi una clausola nel contratto di matrimonio fra Beatrice e Goffredo il Barbuto, ovvero che il figlio di quest’ultimo, Goffredo il Gobbo, avrebbe sposato la figlia di Beatrice, ovvero Matilde, per consolidare il potere suo e quello dei Canossa, senza dover dividere in seguito i possedimenti. Le nozze vengono anticipate al 1069, perché Goffredo il Barbuto è in punto di morte; suo figlio ha alcuni difetti fisici (la gobba e il gozzo) e Matilde le sta accanto. Dal rapporto fra la coppia nasce una bambina che viene chiama Beatrice come la nonna, ma il parto è tutt’altro che facile e la bimba muore dopo pochi giorni nel gennaio del 1071. Qualche mese più tardi, la madre di Beatrice erige il monastero di Frassinoro, nel Modenese, per la grazia dell’anima della defunta nipotina. La permanenza di Matilde nella bassa Lotaringia è breve e rischiosa, anche perché il casato la accusa di essere portatrice di malocchio, non avendo dato un erede maschio al marito, che era il compito principale per le mogli dell’epoca. Matilde allora fugge e rientra a Canossa dalla madre, né servono i tentativi di riconquista da parte del marito ed è in questo frangente che emerge l’immagine della donna forte e rigida. Goffredo il Gobbo muore nel 1076, vittima di una imboscata nei pressi di Anversa. Alcuni le imputano di essersi macchiata del crimine (di essere stata insomma la mandante), anche se il colpevole viene indicato in un’altra persona. Comunque sia, Matilde non versa obolo, né fa recitare una messa o gli dedica un convento, come si faceva allora. Sempre nel 1076, il 18 aprile, muore Beatrice, per cui la 30enne Matilde diventa l’unica sovrana incontrastata di tutte le terre che vanno da Corneto (oggi Tarquinia) fino al lago di Garda, ma con titoli anche in Lorena. Un documento del 1124 attribuisce a Matilde la fondazione dell’Abbazia di Orval, in Vallonia, ma di lei si ricorda la regolamentazione della corretta distanza e disposizione delle piante di castagno secondo quello che è il “sesto d’impianto matildico”, ossia queste piante vengono disposte a distanza di 10 metri e sfalsate a triangolo. D’altronde, il castagno era fondamentale come risorsa alimentare per le popolazioni montane prima dell’avvento della patata. Nel 1073 sale al trono pontificio Gregorio VII, al secolo Ildebrando di Soana e il nuovo imperatore Enrico IV si era rivolto verso i suoi possedimenti in Italia. Ne esce fuori una sorta di “braccio di ferro” fra Chiesa e Impero e nel 1076 il papa decide di scomunicare l’imperatore, che dall’iniziativa papale subisce un doppio danno, perché viene tenuto fuori dai riti religiosi e allo stesso tempo non ha più sudditi. Matilde si schiera a fianco di papa Gregorio VII, pur essendo parente con l’imperatore. La scomunica induce Enrico IV a venire a patti con il papa e a scendere nel gennaio del 1077, quando il pontefice era ospite di Matilde a Canossa; l’imperatore, per vedersi cancellata la scomunica, è costretto a stare per tre giorni e tre notti davanti al portale d’ingresso del castello e inginocchiato, con il capo cosparso di cenere. Ecco dunque il significato metaforico del termine “andare a Canossa”. Alla fine, la scomunica viene revocata, pur rimanendo la decadenza dal trono. Nel 1079, Matilde dona al papa tutti i suoi domini, ma ben presto si rovesciano gli equilibri fra papato e impero: Enrico IV convoca un concilio a Bressanone nel quale fa nominare Clemente III (l’arcivescovo Guiberto di Ravenna), un antipapa, per poi scendere una seconda volta in Italia e ribadire la sua signoria sui territori, deponendo Matilde dall’impero. Nell’ottobre del 1080, a Volta Mantovana, le milizie dei vescovi-conti e di Guiberto sconfiggono le truppe a difesa di papa Gregorio VII (costretto all’esilio) e comandate dalla contessa Matilde, che subisce un grave colpo dal punto di vista militare. Si riscatterà nel 1084, quando sbaraglierà l’esercito imperiale nella battaglia di Sorbara, vicino a Modena, dove si formerà una coalizione favorevole al papato con assieme i bolognesi, contrari alla lega imperiale. Enrico IV non demorde, Matilde deve di nuovo prepararsi e allora ricorre a un matrimonio “politico”, tanto più che il papa in carica aveva scisso il potere vaticano da quello canossiano. Matilde sposa Guelfo V, appena 16enne ed erede del ducato di Baviera, nel 1089 e le nozze sono approvate da papa Urbano II per contrastare Enrico IV. In una lettera al futuro sposo, Matilde – che di anni ne aveva 43 – promette città, castelli, palazzi, oro e argento se lui saprà rendersi a lei caro. La Gran Contessa invia gli armati al confine della Longobardia per prendere il duca e lo accoglie con tutti gli onori, organizzando una festa di 120 giorni; il duca, stando alla cronaca di allora, avrebbe rifiutato il letto nuziale, così come sarebbe rimasto interdetto quando Matilde si presentò nuda davanti a lui e, indignata, lo cacciò prendendolo a ceffoni e sputandogli addosso. I due non avranno quindi figli e il matrimonio viene annullato nel 1095. Enrico IV prepara nel 1090 la sua terza discesa in Italia per tentare di sconfiggere la Chiesa; la battaglia si tiene nei pressi di Mantova e Matilde si garantisce l’appoggio degli abitanti, togliendo loro le imposte sulla circolazione dei mezzi di consumo e il tributo per poter disporre della riva di laghi o fiumi. Mantova resiste fino al “tradimento del giovedì santo”, quando i cittadini vengono convinti da Enrico IV, che concede a essi alcuni diritti. Matilde si arrocca allora a Canossa e l’eremita Giovanni la incita nel continuare la guerra contro Enrico IV. Il potere dei Canossa era basato su una serie di castelli, rocche e borghi fortificati della Val d’Enza, dai quali era stato ricavato un efficace sistema difensivo contro gli attacchi sull’Appennino. I vassalli di Matilde, molto informati sulla zona, distruggono l’esercito imperiale, preso a tenaglia; Enrico IV si rende conto di non riuscire a penetrare in quei luoghi impervi, fatti di sentieri e calanchi, con le rocche turrite a protezione e le case torri dalle quali gli abitanti scoccano dardi, frecce e olio bollente su chiunque si avvicinasse. Dopo la vittoria di Matilde, città quali Milano, Cremona, Lodi e Piacenza si schierano con lei per evitare il controllo imperiale. Nel 1093, il figlio secondogenito dell’imperatore, Corrado di Lorena, viene incoronato Re d’Italia con l’appoggio del papa e di Matilde, che dà rifugio persino alla moglie dell’imperatore, Prassede, la quale al Concilio di Piacenza aveva denunciato le “inaudite porcherie sessuali” che Enrico IV aveva preteso da lei. Enrico IV muore sconfitto nel 1106; la lotta contro la Chiesa viene ripresa dall’altro figlio, Enrico V di Franconia, Matilde cambia atteggiamento nei confronti della casa imperiale e nel 1111, mentre sta per tornare in Germania, Enrico V la incontra nel castello di Bianello, vicino a Reggio Emilia e lei gli conferma i feudi che aveva messo in dubbio quando era vivo Enrico IV, il padre, chiudendo una vicenda durata più di 20 anni. “In vice regis”, recita Donizone: qualcuno lo ha interpretato come se Enrico V avesse conferito alla Gran Contessa il titolo di viceregina, ma gli storici negano. La fine dell’esistenza di Matilde non è però lontana e nel 1115, a causa della gotta, muore a Bondeno di Roncore (l’attuale Bondanazzo di Reggiolo) il 24 luglio, proprio alla vigilia della ricorrenza di San Giacomo, al quale aveva fatto erigere negli ultimi tempi una chiesa davanti alla sua camera da letto per poter assistere alle funzioni religiose, dal momento che era divenuta inferma. Dopo la sepoltura iniziale in San Benedetto Po, nel 1632 la sua salma viene traslata a Roma, in Castel Sant’Angelo, per volere di papa Urbano VIII e nel 1644 portata nella Basilica di San Pietro. Di donne, assieme a lei, a riposare in San Pietro vi sono soltanto la regina Cristina di Svezia e la principessa polacca Maria Clementina Sobieska. La tomba, scolpita dal Bernini, è detta “Onore e Gloria d’Italia”. Il suo ricordo è leggenda, nel senso che divide ancora in due le opinioni fra chi, di parte ecclesiastica, la esalta come donna di contemplazione e di fede e chi invece ne evidenza le forti passioni spirituali e carnali, fino a indicarla come amante dei papi Gregorio VII e Urbano II. Tanti i “si dice” sul suo conto, come quello secondo cui conservasse anche un anello vescovile per calmare i frequenti attacchi di epilessia. Di lei hanno scritto anche due illustri letterati: l’aretino Francesco Petrarca (“conduceva con animo virile le guerre, imperiosa verso i suoi, ferocissima verso i nemici, molto liberale verso gli amici”) e Ludovico Ariosto (“la contessa gloriosa / saggia e casta”). Di certo, resta il ricordo di una gran donna.             

Giulia Gambacci
© Riproduzione riservata
20/02/2023 16:41:29

Giulia Gambacci

Giulia Gambacci - Laureata presso l’Università degli Studi di Siena in Scienze dell’Educazione e della Formazione. Ama i bambini e stare insieme a loro, contribuendo alla loro formazione ed educazione. Persona curiosa e determinata crede che “se si vuole fare una cosa la si fa, non ci sono persone meno intelligenti di altre, basta trovare ognuno la propria strada”. Nel tempo libero, oltre a viaggiare e fare lunghe camminate in contatto con la natura, ama la musica e cucinare.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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