Sterminatori seriali, a causa dell’uomo rischiano l’estinzione anche i tonni
Stanno scomparendo da tutti i mari del pianeta. La colpa? E’ della pesca industriale
La popolazione aumenta, di anno in anno, a ritmi vertiginosi e la sua impronta sul pianeta è sempre più evidente. Pur disponendo di risorse limitate che dovremmo preservare e tutelare con attenzione, continuiamo a vivere come se le nostre azioni non comportassero alcuna conseguenza. Viceversa, il nostro impatto sta compromettendo e devastando irreparabilmente gli ecosistemi e molte delle specie che ne fanno parte. È innegabile come quello marino sia tra gli ecosistemi più colpiti e danneggiati. Un recente studio mostra ancora una volta gli effetti della pesca eccessiva e sregolata, che sta causando l’impoverimento degli oceani e mettendo in serio pericolo la sopravvivenza di molte specie. Tra queste il tonno, che sta ormai scomparendo da tutti i mari del pianeta.
Il drastico calo dei tonni
Ormai da tempo è scattato l’allarme per la pesca intensiva, insostenibile e dannosa per gli oceani. Negli ultimi 60 anni le catture del tonno sono cresciute a dismisura, addirittura del 1.000%. È il dato allarmante che emerge dallo studio internazionale che ha visto coinvolti i ricercatori delle Università della British Columbia canadese e del Western Australia, e pubblicato sulla rivista scientifica Fisheries Research.
La passione di molti per il tonno, che sia sotto forma di sushi, in scatoletta o a tranci, lo colloca tra i pesci più consumati e, per questo, più cacciati, con conseguenze devastanti sulla specie e sull’equilibrio marino di tutto il mondo. La pesca del tonno, infatti, avviene in molte parti del globo. L’Oceano Pacifico detiene il triste primato della quantità di tonno pescata con circa il 67% del totale, seguono l’Oceano Indiano e l’Atlantico, entrambi con il 12%. Oggigiorno si è arrivati a pescare 6 milioni di tonnellate di tonno all’anno. Le due specie più catturate sono il tonno pinna gialla e i tonnetti striati, per un totale di 4 milioni di tonnellate prelevate ogni anno.
Le altre specie in pericolo, danneggiate anche dal bycatch
Nell’elenco delle specie in pericolo di estinzione dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, il tonno è solo una delle tante a rischio. Dalla ricerca emerge infatti una preoccupante situazione che riguarda anche altre specie fondamentali per l’ecosistema marino, è il caso degli squali, che varie fonti presentate nello studio attestano tra il 12 e il 25% degli altri pesci catturati accidentalmente durante la pesca del tonno.
Si stima che negli ultimi 60 anni siano stati catturati accidentalmente circa 6 milioni di tonnellate di squali.
I danni del bycatch – ovvero della cattura accidentale – sono enormi. Le reti, specialmente quelle a strascico, e la maggior parte dei metodi di pesca non consentono di scegliere a priori quali pesci catturare. Va da sé che con questi sistemi molte specie finiscano per sbaglio nelle reti e molte di loro vengano considerate inutili e inadeguate per il commercio. Il bycatch sta colpendo gravemente molte specie che popolano il Mar Mediterraneo e si tratta principalmente di pesci cartilaginei, come squali, razze e chimere. Delle 86 specie presenti nei nostri mari, la metà sono a rischio a causa della pesca intensiva di tonni e pesci spada – anch’essi in declino per la pesca eccessiva.
Quella del bycatch è una pratica che viene messa in conto da parte di chi pesca; nella maggior parte dei casi i pesci considerati non idonei vengono reimpiegati come fonte di cibo per i pesci allevati a scopo alimentare. Non a caso, gli allevamenti ittici costituiscono un’altra grande causa di esaurimento degli stock marini.
Il legame tra gli allevamenti ittici e le pesca intensiva
Gli allevamenti ittici sono strettamente legati alla pesca industriale e all’impoverimento degli oceani. I pesci allevati sono principalmente carnivori e questo fa sì che gli allevamenti dipendano in buona parte dal pescato. Per cui, il bycatch rappresenta un punto imprescindibile per l’alimentazione dei pesci allevati, basti considerare che nel 2013, circa il 16% – 15 milioni di tonnellate – della produzione ittica mondiale era destinato all’acquacoltura. I pesci d’allevamento costituiscono più della metà dei pesci consumati globalmente, si può quindi intuire il forte effetto sugli stock di pesci selvatici.
L’impatto è devastante: per esempio, per produrre 1 kg di salmone allevato, ci vogliono fino a 3 kg di pesci selvaggi.
A oggi oltre il 20% del pescato, ovvero circa un quinto del totale, non finisce sulle tavole, ma viene utilizzato per produrre farina e olio di pesce per sostentare i pesci d’allevamento, mentre il resto è usato come mangime per altre specie di cui ci nutriamo, come polli e suini. Si tratta di un sistema controverso che dimostra come l’allevamento intensivo di pesci non sia in alcun modo la soluzione per ridurre la pesca in mare, ma ne aggravi ulteriormente l’impatto. Purtroppo, gli allevamenti presentano molti altri aspetti negativi che abbiamo portato alla luce con le indagini realizzate dal nostro team investigativo.
Le nostre indagini e la campagna #AncheiPesci
Nel 2018 Essere Animali ha realizzato, all’interno dei principali allevamenti ittici del nord e centro Italia, la prima indagine in Europa negli allevamenti intensivi di pesce. Il team investigativo, che ha portato a termine un’altra indagine andata in onda su Report lo scorso dicembre, ha documentato più volte le terribili crudeltà riservate ai pesci, animali troppo spesso dimenticati. Le immagini mostrano gli animali privati della possibilità di soddisfare qualsiasi bisogno etologico proprio della specie, lasciati in condizioni critiche in gabbie sovraffollate, per tutta la loro vita, che si chiude in genere con una morte lunga e dolorosa per asfissia. Problematiche che non possiamo più trascurare.
È nata così la campagna #AncheiPesci che, accompagnata da una petizione on line, chiede alle catene di supermercati italiani di adottare policy di allevamento più severe al fine di tutelare questi animali.
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